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Dev scosse la testa e rispose: «All’esterno, sento solo il vento tranquillo della vita. A bordo dello Shriwirr, lutto e confusione tra i tuoi nuovi figli».

Firwirrung accarezzò il braccio di Dev, la sua soffice pelle priva di scaglie si arrossò un po’ sotto il tocco dei tre artigli. Dev sorrise: sapeva che cosa provava il suo padrone. Firwirrung non aveva a bordo compagni di schiusa; la vita militare comporta lunghe ore solitarie e terribili rischi. «Padrone», chiese Dev, «forse che, un giorno.., potremo tornare su Lwhekk?»

«Io e te non torneremo mai a casa, Dev. Ma presto consacreremo un nuovo pianeta nella tua galassia. Faremo arrivare la nostra famiglia...» Firwirrung guardò la sua cuccia e una zaffata di acre alito di rettile sfiorò la faccia di Dev.

Dev non ebbe alcun moto di disgusto. Era abituato a quell’odore. L’odore del suo corpo invece disgustava gli Ssi-ruuk e quindi lui beveva dei solventi speciali con i quali, inoltre, si lavava quattro volte al giorno. In particolari occasioni, si radeva completamente. «Una covata tutta sua», mormorò.

Firwirrung piegò la testa e lo fissò con un occhio nero. «Il tuo lavoro mi aiuta ad avvicinarmi sempre di più a quella covata. Ma per adesso, sono stanco.»

«La sto tenendo sveglio», esclamò Dev, pentito. «La prego, riposi. Io arriverò subito.»

Una volta che Firwirrung fu sistemato nel suo nido di cuscini, il corpo intiepidito dai generatori del ponte sottostante e le tre palpebre che proteggevano i begli occhi neri, Dev fece il bagno serale e bevve i suoi farmaci deodoranti. Per distrarsi dai crampi all’addome che immancabilmente seguivano l’assunzione delle medicine, avvicinò la sedia a un lungo banco-scrivania curvo. Tolse dalla libreria un libro non ancora finito e lo caricò nel suo lettore.

Da mesi stava lavorando a un progetto che gli avrebbe permesso di servire l’umanità ancora meglio di quanto la serviva ora (in effetti, temeva che gli Ssi-ruuk avrebbero finito per intecnarlo in un circuito che avrebbe completato questo lavoro, invece che nel droide da combattimento che lui sperava di ottenere).

Anche prima che gli Ssi-ruuk lo adottassero sapeva leggere e scrivere, sia in lettere sia in notazione musicale. Combinando le due simbologie, stava escogitando un sistema per scrivere lo ssi-ruuvi in simboli umani. Sul pentagramma annotava l’altezza dei suoni. Con alcuni simboli inventati da lui annotava se il fischio era labiale, linguale, semilinguale o gutturale. Le lettere mostravano le vocali e i passaggi finali. Per scrivere «Ssi-ruu» ci voleva un’intera riga di notazioni. Un fischio semilinguale saliva di una quinta perfetta mentre la bocca formava la lettera «e». Poi un fischio labiale giù di una terza minore. Ssi-ruu era la forma singolare. Il plurale, Ssi-ruuk, finiva con uno schiocco in gola. La lingua ssi-ruuvi era complessa ma dolcissima, come il canto degli uccelli che Dev ricordava dalla sua infanzia sul pianeta G’rho.

Dev aveva un buon orecchio, ma il compito di codificare il linguaggio alieno era complesso e invariabilmente, all’ora tarda in cui si metteva a lavorare, se ne sentiva sopraffatto. Appena i crampi e la nausea furono passati, spense il visore e strisciò nel buio verso l’odore vagamente fetido del letto di Firwirrung. Usò alcuni dei cuscini per isolare il suo corpo dal sangue troppo freddo dal calore del ponte sottostante. Poi si accucciò nell’angolo più lontano dal suo padrone e pensò alla sua casa.

I doni di Dev avevano attirato l’attenzione di sua madre già in tenera età, quando ancora erano su Chandrila. Sua madre era un’apprendista Jedi, che non aveva completato il suo addestramento e che gli aveva potuto insegnare solo poco sulla Forza. Ma l’avevano sempre usata per comunicare, anche a grande distanza.

Poi era arrivato l’Impero, che aveva perseguitato e ucciso i Jedi. La sua famiglia era fuggita su G’rho, un pianeta isolato sull’orlo della galassia.

Subito dopo il loro arrivo, erano giunti gli Ssi-ruuk. La presenza di sua madre nella Forza era svanita, lasciandolo su un mondo straniero, orfano e spaventato davanti alle astronavi nemiche. Il padrone Firwirrung gli diceva sempre che i genitori di Dev lo avrebbero ucciso, se avessero potuto, piuttosto che lasciare che gli Ssi-ruuk lo adottassero. Che pensiero terrificante... il loro stesso figlio!

Ma Dev era sfuggito a entrambe le morti. Le avanguardie ssi-ruuvi lo avevano scoperto mentre si nascondeva nelle rovine. Affascinato dalle lucertole giganti con gli scuri occhi tondi, il piccolo undicenne aveva accettato da loro cibo e affetto. Lo avevano rispedito su Lwhekk, dove era vissuto per cinque anni. Alla fine, aveva scoperto perché non lo avevano intecnato subito. Le sue straordinarie abilità mentali facevano di lui uno strumento prezioso per la ricognizione di altri sistemi stellari umani. E gli permettevano anche di calmare i soggetti destinati all’intecnamento. Gli sarebbe tanto piaciuto sapere che cosa aveva detto o fatto per rivelargli i suoi poteri.

Aveva insegnato agli Ssi-ruuk tutto quello che sapeva degli umani, da come pensavano a come si comportavano, a come si vestivano (compreso il particolare delle scarpe, che li aveva divertiti a non finire). Li aveva già aiutati a conquistare diversi avamposti isolati su pianeti periferici. Ma Bakura sarebbe stato il pianeta chiave... stavano vincendo! Presto agli Imperiali che difendevano Bakura non sarebbero più rimaste navi da guerra e gli Ssi-ruuk si sarebbero potuti avvicinare al popoloso pianeta. Una dozzina di mezzi da sbarco dei P’w’eck erano già stati caricati con bombe paralizzanti, ed erano pronti a scaricarli sugli umani appena fosse venuto il momento.

Su un canale di comunicazione standard Dev aveva già annunciato ai Bakurani la buona notizia che presto sarebbero stati liberi dalle loro limitazioni umane. Il padrone Firwirrung aveva detto che una certa resistenza era normale: a differenza degli Ssi-ruuk, gli umani avevano paura dell’ignoto. E l’intecnamento era un genere di cambiamento dal quale nessuno tornava per riferire. Dev sbadigliò. I suoi padroni lo avrebbero protetto dall’Impero e un giorno lo avrebbero ricompensato. Firwirrung gli aveva promesso che sarebbe stato accanto a lui e avrebbe abbassato di persona l’arco d’intecnamento.

Dev si sfregò la gola con aria sognante. Gli aghi sarebbero entrati... qui. E qui. Un giorno, un giorno.

Si coprì la testa con le braccia e dormì.

3

Sotto gli occhi di Luke, le strisce luminose delle stelle si accorciarono e ridussero a punti sul visore triangolare di prua, mentre la Flurry e le sue sette navi di scorta uscivano dall’iperspazio. Una volta controllati gli scudi deflettori, girò la sedia per controllare il rapporto sullo stato del sistema compilato dal computer principale, mentre l’ufficiale addetto alle comunicazioni del capitano Manchisco passava in rassegna i canali imperiali standard. Luke si sentiva meglio, almeno finché si muoveva lentamente.

I sensori mostravano otto pianeti, nessuno dei quali si trovava nel posto previsto dal programma MasterNav dell’Alleanza. Era contento che Manchisco non avesse dato peso alla sua impazienza, avesse fatto i suoi piani con calma e avesse deciso di uscire dalla velocità luce all’esterno del sistema. La donna gli gettò un’occhiata piena di sottintesi. Luke si toccò un sopracciglio in segno di saluto, poi annuì al navigatore Duro, che ammiccava con gli enormi occhi rossi e gorgogliava qualcosa.

«Dovere, dice», tradusse Manchisco.

Una mezza dozzina di ovoidi bitorzoluti erano raggruppati attorno al terzo pianeta del sistema, circondati, sui suoi schermi, da una tempesta di sabbia virtuale composta di piccoli caccia. Erano tutti rossi, il che per il computer significava «possibile minaccia», ma manovravano in modo frenetico, rompendo la formazione e raggruppandosi di nuovo, avvicinandosi per poi fuggire. Era ovvio che non appartenevano tutti alla stessa parte. Luke gettò uno sguardo al figliolo prediletto della mente del generale Dodonna, l’Analizzatore Computerizzato di Battaglia. Aveva accettato di portarsi dietro un prototipo dell’ACB e adesso aveva bisogno di dati da immetterci per provarlo.