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Aramset stava diventando un vero diplomatico. Mi chiesi quanto i miei vecchi abiti macchiati puzzassero per lui. Alcuni servi risposero al mio batter di mani e mi prepararono un bagno. Infine, lavato, profumato, con il gonnellino nuovo, il corsetto, il mantello e il mio vecchio pugnale ancora legato alla coscia, fui scortato agli alloggi di Aramset.

Fu un cena tranquilla, solo noi due, anche se vidi quattro degli uomini di Lukka di guardia proprio fuori della porta. Alcuni servi portarono vassoi di cibo, e il principe fece assaggiare tutto.

— Temi il veleno? — gli chiesi.

Lui si strinse nelle spalle. — Ho circondato di guardie il tempio di Ptah e ho dato ordine di tenervi dentro il Sommo Sacerdote. È lì che rimugina e trama congiure. Ho suggerito a mio padre che Nekoptah e suo fratello officino alla prossima cerimonia, tutti e due insieme.

— Dovrebbe essere interessante — dissi.

— Il popolo vedrà che i sacerdoti dei due dèi si somigliano come due gocce d’acqua — sorrise il giovane. — Potrebbe tornare utile per sventare qualunque piano di Nekoptah per mettere Ptah al di sopra degli altri dèi.

Staccai un morso di melone e pensai tra me che Aramset si stava occupando della politica di corte piuttosto bene.

— Tuo padre sta… bene? — chiesi.

Il viso del principe si rabbuiò. — Mio padre non starà mai bene, Orion. La sua malattia è troppo avanzata, grazie a Nekoptah. Il meglio che posso fare è farlo sentire a suo agio e permettere al popolo di continuare a credere nel suo re.

Aramset sembrava avere il totale controllo della situazione. Non c’era più bisogno di me, lì. Entro tre giorni avrei potuto riprendere la mia ricerca di Anya, ovunque mi avesse portato. “Eppure” pensai, “sarebbe bello vedere Elena ancora una volta.”

Un servo irruppe trafelato nella stanza e cadde in ginocchio, scivolando sul pavimento lucido e andando quasi a sbattere contro il principe.

— Vostra Altezza Reale! Il Sommo Sacerdote di Ptah è morto! Di sua stessa mano!

Aramset balzò in piedi urtando la sedia dietro di sé. — Di sua mano? Il codardo!

— Chi lo dirà al re? — chiese il servo.

— Nessuno — ringhiò Aramset. — Prima vedrò questo suicidio — e si diresse alla porta.

Io andai con lui e feci cenno ai soldati ittiti di accompagnarci. Ne mandai uno da Lukka, con l’ordine di seguirci insieme a tutti gli altri.

Attraversammo il cortile illuminato dalle stelle ed entrammo nel tempio di Ptah. Percorremmo le stesse scale e lo stesso corridoio, verso lo stesso ufficio dove l’arcigno Nekoptah mi aveva ricevuto per la prima volta.

Giaceva sulla schiena, un enorme mucchio di carne con uno squarcio rosso scuro sui rotoli di grasso della gola. Nella luce tremolante della lampada vedemmo il suo viso truccato, con gli occhi che fissavano, vuoti, le assi di legno scuro del soffitto. Il medaglione d’oro gli era scivolato sulla spalla, e il sangue vi si stava già coagulando. Gli anelli sulle sue dita tozze scintillavano anche alla luce traballante della lampada.

Li fissai.

— Questo non è Nekoptah — dissi.

— Cosa?

— Guarda — indicai. — Gli mancano tre anelli. Le dita di Nekoptah sono così grasse che nessuno avrebbe potuto sfilarglieli.

— Per gli dèi! — mormorò Aramset. — Allora è suo fratello, truccato per sembrare lui!

— Nekoptah l’ha ucciso, e adesso può andare dove vuole senza essere disturbato.

— Mio padre!

Il principe saettò verso la porta. Le guardie, confuse, mi lanciarono uno sguardo interrogativo. Io feci loro cenno di seguire Aramset. Il ragazzo aveva ragione: il suo primo dovere era proteggere suo padre. Nekoptah poteva andarsene in giro per tutto il palazzo, nelle vesti di suo fratello. Dubitavo che intendesse far del male al re, ma il principe faceva bene ad andare da lui.

Mi inginocchiai vicino al cadavere del povero Hetepamon per qualche minuto, e improvvisamente compresi quale sarebbe stata la prossima mossa di Nekoptah.

Scattai in piedi e mi precipitai verso gli alloggi di Elena.

45

Avevo capito i piani omicidi del Sommo Sacerdote. Il suo scopo era distruggere l’alleanza tra gli Achei e gli Egiziani, dimostrando al re che il principe Aramset aveva portato la minaccia barbara giusto nel cuore della capitale. “Chissà” pensai attraversando di corsa il palazzo verso l’appartamento di Elena, “forse convincerà Menelao a uccidere il principe.”

Sapevo che se poteva controllare Elena, poteva controllare anche Menelao. Anche se non avesse ucciso il principe, se solo fosse riuscito a far esplodere Menelao, la nuova influenza del principe Aramset su suo padre sarebbe stata finita. Nekoptah sarebbe tornato al potere con un borioso: “Ve l’avevo detto”.

Oltrepassai guardie stupite, guidato dal ricordo della pianta del palazzo. Ma la porta di Elena non aveva guardie. Anzi, era leggermente aperta. La spalancai.

Nefertu giaceva sul pavimento, con un pugnale ingioiellato infilato nella schiena.

Mi avvicinai in fretta a lui. Era ancora vivo, ma solo per poco.

— Pensavo… il Sommo Sacerdote di Amon…

I suoi occhi erano vitrei. Sangue rosso brillante gli usciva dalla bocca.

— Elena — chiesi. — Dove ha portato Elena?

— Agli inferi… per incontrare Osiride… — La voce di Nefertu era un debolissimo sospiro. Potevo sentire la sua sofferenza. Cercò di respirare, ma i suoi polmoni erano pieni di sangue e di agonia.

Non avevo il tempo di essere gentile. Mi stava morendo tra le braccia.

— Dove ha portato Elena, Nekoptah?

— Osiride… Osiride…

Scossi il povero vecchio morente.

— Guardami! — pretesi. — Io sono Osiride.

I suoi occhi si spalancarono. Debolmente, cercò di raggiungere il mio viso con la mano senza forze. — Mio signore Osiride…

— Dimmi dove il falso sacerdote Nekoptah ha portato la donna straniera — gli chiesi.

— Al tuo tempio… ad Abtu…

Mi bastava. Posai la testa grigia di Nefertu sulle mattonelle decorate del pavimento. — Ti sei comportato bene, mortale. Riposa in pace, adesso.

Lui sorrise, sospirò, e smise di respirare per sempre.

Il tempio di Osiride ad Abtu. Andai dal principe Aramset e gli dissi cos’era successo.

— Non posso lasciare il palazzo, Orion — disse. — Le spie e gli assassini di Nekoptah possono essere dappertutto. Devo rimanere qui con mio padre.

Fui d’accordo. — Dimmi solo dov’è Abtu e dammi i mezzi per arrivarci.

Abtu era a due giorni di carro a nord della capitale. — Posso farti avere cavalli freschi ogni dieci chilometri — disse il principe. Poi mi offrì Lukka e i suoi uomini.

— No, sono la tua guardia personale, adesso. Non privarti della loro fedeltà. Un auriga e cavalli freschi sono tutto quello che mi serve.

— Nekoptah non sarà solo ad Abtu — mi avvertì Aramset.

— Esatto — dissi. — Ci sarò anch’io.

Prima del sorgere del sole, ero su un carro leggero e solido, vicino a un Egiziano color nocciola che frustava i quattro destrieri lungo la strada che portava a nord.

Non avevo altro che gli abiti che indossavo e una spada di ferro, che Lukka mi aveva dato quando ci eravamo salutati. E il pugnale che era stato mio compagno per tanto tempo e che aveva lasciato la sua impronta sulla mia coscia destra.

Corremmo furiosamente sulla strada, sollevando una nube di polvere dietro di noi, con il mio auriga che grugniva e sbuffava per lo sforzo di tenere sotto controllo i quattro cavalli e i loro zoccoli che rimbombavano sulla terra battuta.