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Cripplemaker incrociò le braccia sulla scrivania ed era così vicino ad Axxter che poteva sentirne il respiro. — Ny… vogliamo qualcosa di grosso. Vogliamo che tu ci prepari una nuova insegna di morte.

Bingo! Axxter chiuse gli occhi e si appoggiò allo schienale. La rabbia si trasformò in esaltazione. Soldi. Ecco, ce l’ho fatta. Da qualche parte nell’accampamento, smorzato dagli strati di tende, proveniva il suono di una banda militare, con i suoi tamburi e tromboni. Lui la prese per la sua fanfara personale. Sorrise: posso farcela, amico. Sei venuto dall’uomo giusto.

— Stiamo mandando in pensione il nostro megassassino. — Cripplemaker allargò le mani. — Si trova all’accampamento principale in questo momento: ci vuole parecchio tempo per smontare tutta quell’armatura e quelle protesi… Ah! Ho sempre pensato che sarebbe stato divertente togliere tutti quegli armamenti da battaglia e non trovare poi niente all’interno. Come se quell’enorme meccanismo si fosse mosso da solo, seminando terrore durante gli ultimi venti anni. Sì, da ben vent’anni è l’uomo di punta della tribù. Ed è stato molto in gamba; davvero un fottutissimo terrore. — Il Generale rovistò un po’ sulla scrivania poi allungò alcune foto ad Axxter. — Ecco, dai un’occhiata a queste. Visto che ormai sta per essere messo a riposo non c’è ragione per cui tu non le possa vedere.

Axxter prese le foto e le guardò. Qualcosa di enorme e nero, tanto largo quanto alto, che al posto degli occhi aveva dei puntini rossi: un megassassino. Ne aveva già visto uno in un filmato e gli era sembrato spaventoso, ma quello era del tutto diverso. I pannelli del torace erano aperti e lasciavano intravvedere all’interno l’icona della morte.

Un disegno un po’ banale, ma efficace, tipico della DeathPix, pieno di denti e pugnali. Ma, in fondo, non doveva essere il miglior disegno del mondo: era solo l’ultima immagine che gli avversali avrebbero visto prima che la loro testa venisse tagliata. Vedere quell’icona significava respirare gli ultimi secondi di una vita che sarebbe stata stroncata da una bieca inevitabilità; ecco il significato di quell’immagine. La paura che si provava vedendola doveva essere in qualche modo superiore alla paura di quello che sarebbe seguito.

Ma l’icona che stava guardando aveva ormai fatto il suo tempo. — Io penso… che sarò capace di darvi quello che volete. Qualcosa di davvero… speciale.

— Bene, molto bene. Sono felice di sentirtelo dire. — Il Generale tamburellò sulla scrivania, seguendo il tempo della musica lontana. — Anche il nuovo megassassino sarà qualcosa di speciale. Ho visto i progetti per i suoi congegni di guerra; il lavoro di chirurgia comincerà a giorni. Sarà un capolavoro, assolutamente invincibile. E noi vogliamo che porti la tua icona — Disse puntandogli un dito contro il petto. — La tua creazione sarà l’ultima cosa che un gran numero di persone vedrà prima di morire.

— Accidenti… grandioso! Non vedo l’ora di mettermi al lavoro! — Si rese conto di essersi alzato dalla sedia. Guardò verso il basso e vide una mano grinzosa afferrargli il gomito. Il vecchio guerriero era tornato con l’ordine di riaccompagnarlo indietro. L’udienza con il Generale era terminata.

— Questo è il biglietto. — Cripplemaker si dondolò sulla sedia, incrociando le mani dietro alla testa. — Ci vedremo ancora. Ci saranno altri lavori per te. Questa è una promessa.

Gli diedero un lasciapassare per andare e venire tranquillamente dal campo. Il livello di rumore fuori dalla tenda del generalissimo era assordante; nell’officina meccanica il baccano dei motori e dei martelli era un continuo crescendo. I guerrieri fuori servizio si divertivano con rumorose bisbocce. Dirigendosi verso l’uscita dell’accampamento, Axxter passò vicino a un gruppetto che fingeva di combattere: sagome sudate e piene di cicatrici si colpivano sulla testa con aste di alluminio, ridendo con allegria demenziale. Una delle prostitute dell’accampamento che stava guardandoli, appoggiò una mano sulla coscia di Axxter e lo avvicinò alla cintura su cui era seduta, facendogli una proposta che si perse nel caos generale. La donna gli mimò la sua offerta; allibito, Axxter si allontanò velocemente fino ad arrivare in un punto dove poté fissare nuovamente le sue corde di sicurezza all’edificio. Il tumulto, unito al liquore che aveva bevuto dal Generale, gli faceva pulsare la testa in sincronia con i battiti cardiaci.

Le guardie all’uscita lo guardarono annoiati mentre passava, poi gli fecero un cenno. — Hai intenzione di tornare più tardi? — Il sole aveva già superato la cima dell’edificio, lasciandolo nell’ombra.

Scosse la testa, trasalendo immediatamente e rimpiangendo di aver dato quella risposta. — No… ho qualcosa da fare. Sarò indietro domani mattina. — In realtà aveva bisogno di un posto in cui ascoltare i propri pensieri. — Va bene?

Una scrollata di spalle, mentre grandi mani richiudevano le sbarre dei cancelli. — Se va bene a te.

Trovò la Norton che stava rifornendosi a mezzo chilometro di distanza da dove l’aveva lasciata. Salì sul sidecar, bagnò uno straccio con dell’acqua e se lo mise sulla fronte. Che branco di fottuti animali. Era la sensazione che provava ogni volta che abbandonava le sue peregrinazioni sui settori più desolati del Cilindro per occuparsi di qualche affare… ma abbandonava anche il rischio di morire di fame, doveva ammetterlo. Forse dopo quel lavoro i suoi giorni di peregrinaggi e fame sarebbero terminati. In un certo senso era un pensiero deprimente.

Appoggiò la testa sul bordo del sidecar e guardò verso il cielo. Il puntolino che aveva già visto era ancora là, fluttuante nell’aria.

— Ah! Cristo! — Sapeva chi era; non aveva bisogno dello zoom. Ormai, qualche legame invisibile li univa, il filo di un aquilone all’altro capo del quale egli sentiva la presenza dell’angelo. Lei mi sta seguendo. Quello stupido essere. Quello non era il territorio degli angeli… soprattutto non era adatto a un angelo che fosse già stato colpito da qualcuno. O qualcosa.

Si alzò in piedi nel sidecar, aggrappandosi al paravento per non perdere l’equilibrio. — Vattene da qui! — Il suo grido si perse nel vento; sapeva che lei non poteva sentirlo. Ma urlò di nuovo, sbracciandosi. — Va’ via!

L’angelo, quel piccolo punto, era sospeso nell’aria, piccolissimo e lontanissimo. Ma non se ne andò.

7

— Così noi avevamo questi ragazzi, ci sei, tutti intorno a noi ed eravamo piuttosto agitati a causa della battaglia, capisci? Ed eravamo seduti, pensando, be’, sai com’è, cosa potevamo fare con loro? Cosa potevamo fare di divertente, voglio dire. Così abbiamo chiesto agli ingegneri di portare questa bobina di cavi: è materiale davvero pesante, sai, e noi…

— Scusami. — Axxter alzò una mano nel tentativo di porre fine al monologo del vecchio guerriero. — Ehi, devo uscire solo per un minuto… — Dovette muovere le dita davanti agli occhi giallastri dell’uomo per attirare la sua attenzione. — D’accordo?

— …e noi l’abbiamo messo al collo del primo ragazzo, ma non ha funzionato, capisci, perché si è sciolto quando l’abbiamo sollevato, allora… — Lo sguardo del vecchio guerriero mise a fuoco la mano di Axxter e riuscì ad abbandonare i suoi ricordi. — Dove stai andando?

— Io… be’, devo respirare un po’ d’aria fresca — Axxter indicò l’uscita della tenda. — Siamo stati qui dentro per più di due ore e ho bisogno di schiarirmi le idee. D’accordo? — Non gli piaceva il modo in cui il guerriero lo guardava.