Oppure avrebbe potuto rivolgersi a Guyer, dovunque fosse sul muro. Sarebbe stato carino. Si paga, ma si ha qualcosa di… davvero piacevole.
Stava riflettendo, combattuto su quello che avrebbe dovuto fare, quando gli si illuminò una lampadina.
Chi sogna il nulla resta sempre spaventato…
Uno di quei maledetti consigli che erano stati programmati dal proprietario precedente.
…come chi denuncia colpe private, ma non si aspetta alcun riconoscimento per i suoi meriti.
Cristo, che cazzo voleva dire? Lasciò che quel discorso proseguisse.
Simili persone sono meravigliosamente superstiziose quando osservano ogni minimo fatto che accade loro; e la loro superstizione li tormenta con la forza di mille furie. Mai in questo mondo potranno godere di un giorno felice finché ne saranno schiavi. Le orecchie di questi individui non potranno mai udire davvero, o il loro naso prudere e gli occhi brillare: il loro destino è nelle mani della superstizione e fino a quando non saranno capaci di liberarsene saranno degli infelici e dei miserabili.
Le parole scivolarono via, nel silenzio. Bene, vaffanculo… lo avevano lasciato stordito.
Accucciato vicino alla sua moto e agganciato a uno dei cavi di transito, lasciò vagare lo sguardo attraverso il cielo scuro. Lei era là, l’angelo; poteva vederla in lontananza. Gli ultimi raggi del sole che si dirigeva verso l’altra parte del mondo la illuminavano ancora: come una piccolissima luna di cui ricordava ancora il viso.
8
Il Generale lo agguantò mentre si stava facendo largo tra la folla per entrare nella tenda da cerimonia. Cripplemaker gli urlò nelle orecchie, superando il rumore delle fanfare e dei tamburi. — Dove diavolo sei stato? — Axxter sentì uno sputo colpirgli il lobo. — Hai solo dieci minuti! Prima che entri!
— Sono dovuto uscire…
— Cosa? — Il viso del Generale era rosso, segnato da piccoli capillari che sporgevano. — Parla più forte!
Una fila di guerrieri che ballava il conga lo spinse quasi via e dovette togliersi un braccio peloso dalla vita per liberarsi. La fila batteva i piedi e si dimenava tra la folla, fingendo di prendere a pugni facce sorridenti.
Axxter si avvicinò al Generale. — Sono dovuto uscire per andare a prendere la mia attrezzatura. — Il Generale annuì; una parte del palco dell’orchestra era crollato, facendo cadere i suonatori di corno tra la folla, creando il caos anche all’interno della tenda. Axxter sventolò il pezzo di cartoncino quadrato che aveva in mano. — Dovevo prendere il mio invito. Il servizio di sicurezza, uff!, non mi avrebbe mai fatto entrare senza. — Si grattò la schiena dove qualcosa di duro e tondo, forse la testa di un uomo, gli aveva dato fastidio. Era scoppiata una lite furiosa e nelle mani di qualcuno si vedevano risplendere delle lame; si allontanò per evitare quell’onda d’urto che si allargava a macchia d’olio.
Non ci avrebbe messo tanto ad andare a prendere l’invito se non avesse dovuto attraversare l’accampamento due volte. Quando si era svegliato, nel buio, e aveva guardato l’orologio, accorgendosi che aveva appena il tempo di cambiarsi e precipitarsi al banchetto, era stato colto dal panico. Guardando verso l’alto del muro aveva visto una folla di guardie che proteggeva la grande tenda a strisce montata su una piattaforma che si ergeva direttamente nello spazio. Suppose che sarebbe stato più semplice lasciare la Norton e il sidecar dove si trovavano e procedere lungo un cavo di transito. Quando vide le file di veicoli e le frotte di moto che assediavano la tenda si rese conto di aver preso una saggia decisione; la Folla Devastante aveva spedito inviti a tutte le tribù alleate e a qualche rivale non particolarmente pericoloso. Non ci sarebbe stato posto per la Norton in quel groviglio di ruote e cavi.
Anche se la sentinella l’aveva riconosciuto perfettamente, non l’aveva lasciato entrare senza l’invito, su cui era scritto a lettere dorate su sfondo nero: Nunc est bibendum, nunc pede libero mura pulsanda. Quindi era dovuto tornare indietro, tenendo la testa bassa per evitare pugni e colpi, scivolando tra schiene e gambe sudate. Stava tornando verso l’accampamento, con la sua giacca migliore già tutta spiegazzata, quando notò una sospetta macchia beige sugli stivali.
Cripplemaker gli mise un braccio intorno alle spalle e lo spinse verso il centro della tenda. — Tu l’hai creato! Grandioso! — Axxter trasalì al grido del Generale.
C’era un posto per lui vicino al palco centrale. Accanto a lui sedevano ufficiali minori e alcuni dignitari per diritto d’eredità: quello alla sua sinistra aveva il viso in una chiazza di vino che era caduto sul tavolo e con una mano stringeva con forza l’impugnatura della brocca. — E tu chi sei? — chiese una faccia stordita alla sua destra.
In un angolo della tenda, i corni erano tornati sul palco, unendosi alle percussioni. — Sono solo un impiegato. — Aveva un sorriso sereno mentre sollevava il gomito dalla macchia di vino. — Faccio qualche lavoro di grafica qui e là.
— Già, già. Grande. — L’uomo guardò il tavolo in tutta la sua lunghezza e afferrò un’altra brocca. Bevve e fissò il vuoto davanti a sé, ignorando chiunque altro gli fosse intorno.
Axxter allungò il collo, guardando verso il palco. Con ogni probabilità si era perso la cena, perché i camerieri stavano portando via piatti unti coperti solo di ossa. Non aveva comunque fame: il suo stomaco si contorceva per l’emozione.
Poteva vedere Cripplemaker al centro dei tavoli dei dignitari: si era seduto e parlava, rideva e dava pacche sulle spalle a quelli seduti vicino a lui. Non indossavano il vestito da cerimonia della Folla Devastante, quindi Axxter suppose che si trattasse di persone importanti di tribù alleate. Le grandi pistole, vecchi bastardi grinzosi con lo stesso sguardo a fessura e guerrafondaio che aveva anche il Generale, il tipico sguardo di chi è abituato al comando e alle stragi. Quando ridevano sembravano trappole d’acciaio che si aprivano per mostrare i tremendi meccanismi al loro interno. Cripplemaker si allungò sulla sedia prendendo un enorme sigaro; i suoi occhi incrociarono quelli di Axxter. Attraverso una barriera di fumo egli vide il cenno che il Generale gli fece.
La suoneria che Axxter aveva caricato gli trillò nelle orecchie, mentre un piccolo segnale rosso si accese ai margini del suo schermo. Solo tre minuti allo spettacolo; conto alla rovescia. La banda smise di suonare la sua mortale marcia di guerra e attaccò un ostinato, sempre più preciso a ogni da capo. I camerieri cominciarono a spazzare il pavimento davanti al palco.
Attraverso la folla si formò un corridoio: puntando i tacchi sulla superficie della piattaforma, i guerrieri formarono un cordone umano per trattenere la gente. Dietro a loro, la folla, compressa in uno spazio più stretto, urlava e fremeva, stimolata dal ritmo della banda. Axxter notò che un tizio stava mordicchiando l’orecchio di una guardia, ormai diventato tutto rosso. Una gomitata alla gola lo fece cadere all’indietro, ai piedi dei suoi camerati.
I corni tennero un semi-tono, risolvendo la dissonanza in ottava; i tamburi si lanciarono in un doppio-tempo. Le luci della tenda si spensero: rimase acceso solo un riflettore che illuminava una figura all’inizio del tunnel umano.
L’hanno oliato bene… Axxter riconobbe a fatica il vecchio guerriero che camminava verso il centro della tenda. I medici della Folla, o qualche libero professionista chiamato per l’occasione, avevano pompato il vecchio con qualcosa che teneva eretta la sua spina dorsale e conferiva un’espressione fiera al suo sguardo incavato. Aveva la barba lavata, pettinata e intrecciata con fiocchi neri, alcuni dei quali erano abbastanza lunghi da arrivargli alle spalle mentre camminava; a ogni passo appoggiava a terra un bastone alto come lui, sulla cui cima di metallo era inserito un microfono per trasmettere e ricevere veloci comunicazioni al di sopra del rumore della folla. Una cappa ricamata gli arrivava fino ai lucenti stivali e copriva la sua armatura.