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Axxter poteva sentirli bestemmiare e muoversi a passi pesanti sulla piattaforma. Fece un lungo passo per raggiungere l’aria aperta e vacillò, mentre il muro sembrava una bocca spalancata sotto di lui; si tenne saldamente attaccato alle corde che servivano a reggere la tenda cerimoniale. Doveva essere molto veloce, altrimenti la sua agile mossa sarebbe stata inutile. Un’occhiata alla barriera di nuvole al di sotto gli fece venire un buco allo stomaco. S’aggrappò alla tenda ancora più saldamente e aiutandosi con le gambe incominciò la discesa del muro.

Nei pochi secondi prima che i guerrieri rovesciassero il tavolo, aveva avuto una visione. Uno sguardo al futuro. Al suo futuro. A quello che gli sarebbe accaduto dopo la dichiarazione al Generale e alla tribù: sarebbe diventato di loro proprietà e avrebbe perso ogni diritto. La sua libertà sarebbe stata il prezzo da pagare per la vita: il battito cardiaco e la respirazione sarebbero state le uniche cose di cui il suo nuovo padrone non avrebbe potuto disporre. E in quel futuro, la tribù l’avrebbe inviato con un contratto di lavoro a lungo termine — il che significava a vita — in qualche impianto di produzione del settore orizzontale, nelle viscere della pelle metallica del Cilindro. A una distanza infinita dalla rotazione del giorno e della notte, in una perpetua luce fluorescente, che faceva apparire tutti degli scheletri viventi. Era stata una percezione molto vivida: restare imprigionato in una di quelle industrie interne, di cui si sarebbe gettata via la proverbiale chiave, significava essere morti, porre fine alla propria vita, abbandonare per sempre qualunque opportunità questa potesse offrire. Dormire di fianco a qualche macchina di plastica per quattro ore — o almeno così dicevano: non c’era modo di stabilire se davvero si trattasse di quattro ore, visto che gli oggetti non potevano servirsi di altri oggetti, come orologi o terminal — e poi tornare al lavoro per le seguenti venti ore; e il ritmo si ripeteva all’infinito, fino a quando nell’individuo si alienava ogni capacità critica e ogni azione veniva ripetuta meccanicamente, senza più porsi domande. E, a quel punto, anche gli uomini diventavano dei congegni e la trasformazione in oggetto era completa.

Era poi così male? In fondo sarebbe stato vivo, almeno. E non tanto diverso da ogni altro povero bastardo che lavorava al settore orizzontale, sia che fosse profumatamente pagato o che fosse uno schiavo. Era una vita in cui si sapeva bene che il giorno seguente sarebbe stato del tutto identico al precedente. Quella era la natura dell’esistenza orizzontale. Era quello da cui era fuggito, erano le sue radici; adesso stava per tornarci.

Tornare indietro… Quelle parole continuavano a frullargli in testa mentre si muoveva a carponi, guardando il cunicolo che si allungava davanti a sé, e i guerrieri della Folla che cercavano di rovesciare il tavolo. Alla fine del cunicolo c’era ad attenderlo la morte ulteriore. Tornare indietro…

Poi girò la testa e un lampo di luce gli colpì gli occhi: vide un sottile spicchio di cielo argenteo vicino alla sua mano sinistra. E capì cosa fosse successo: quando il tavolo si era rovesciato aveva strappato la tenda. Un piccolo taglio, che sventolava alla brezza che accarezzava il muro dell’edificio; aveva assaporato quall’aria con le narici e la bocca aperta. Aria, e una fetta di nuvole, distanti, là nello spazio.

L’aria o il cunicolo. Il tavolo aveva cominciato a traballare, spinto da mille mani all’altro capo.

E quando si fosse rovesciato, lui sarebbe stato perso. Infilò la testa nella fessura e si guardò in giro, mentre la tela strappata gli sfregava le spalle. Non si preoccupò nemmeno di cosa ci fosse dall’altra parte, una presa o meno, il bordo della piattaorma o il grande vuoto.

C’era una corda, una di quelle che reggevano la grande tenda. Fortunatamente, afferrarla gli aveva evitato di cadere a capofitto dalla piattaforma mentre usciva dalla fessura. Per un confuso istante, Axxter lanciò un’occhiata alle nuvole con una gamba penzolante e una mano aggrappata al bordo della piattaforma. Dietro a sé sentiva le voci della folla che premeva. Un veloce sguardo alle sue spalle, poi azionò i cavi d’aggancio della sua cintura: si fissarono alla corda, disponendosi su tutta la sua lunghezza, mentre lui si girava sul bordo della piattaforma. Si fermò un attimo, quindi si lanciò lungo la corda.

Una foresta di metallo, strutture di supporto, altre corde: ombre che formavano disegni astratti sul muro dell’edificio. Axxter stava ancora cercando di riprendere fiato — per quanto gli permettessero la paura e la nausea che gli serravano la gola — e di riordinare i suoi pensieri, quando udì una voce sopra di lui.

— Ehi! È qui!

Guardò verso l’alto e vide un viso capovolto: baffi impomatati e la fronte di un guerriero. Niente di più, visto che il corpo era nascosto dalla piattaforma. Il guerriero sogghignò disgustosamente, poi si girò verso i suoi compagni, urlando. — È qui!

Merda… Axxter lasciò la corda, dopo averne afferrata un’altra con la mano libera. I cavi d’aggancio si fissarono a quella.

Altre urla dall’alto che si univano a quella caccia. Si allungò e afferrò una delle strutture che correvano lungo il muro formando un angolo di quarantacinque gradi. Vi avvolse le gambe e cominciò a scendere.

— Tu, piccolo rottinculo! Brutto stronzo!

Girò la testa e vide dei guerrieri arrampicarsi sulla piattaforma. La loro rabbia si era trasformata nel piacere dell’attesa del divertimento che li aspettava. Stava offrendo loro un passatempo molto più divertente di quanto si fossero aspettati; davvero spiritoso.

Figlidiputtana. Un’occhiata alle sue spalle, per cercare di capire dove stesse andando, gli fece girare la testa e provò di nuovo quella sensazione di nausea. La lingua divenne più pesante, soffocandolo. Bastardi… la paura fece emergere tutta la sua rabbia che gli annebbiò la vista. Non si era mai spinto così distante, perlomeno non avendo solo il vuoto intorno a sé, senza alcun pavimento orizzontale su cui appoggiarsi, né il muro dell’edificio per aggrapparsi.

Un forte rumore metallico gli rintronò nelle orecchie e la vibrazione che quel suono aveva provocato gli giunse fino alle dita, proprio nel punto in cui erano aggrappate alla struttura. Con la coda dell’occhio, Axxter vide uno dei guerrieri che agitava un braccio. Il coltello sibilò sopra la sua testa, colpì la struttura e vi s’infilzò. Un filo metallico uscì dall’impugnatura, per un attimo danzò come un serpente nell’aria ed individuò la corda più vicina che partiva dalla vita di Axxter e che si agganciava alla struttura stessa.

Il filo del coltello tagliò la corda; Axxter si sentì cadere all’indietro fino a quando le altre corde di sicurezza non ricrearono un equilibrio, distribuendo tra loro il suo peso. Un’ondata di panico, e le sue dita si strinsero ancor più saldamente alla struttura; spalancò gli occhi e vide il filo metallico muoversi avanti e indietro, mentre il sensore che aveva in cima cercava altri bersagli.

Si lanciò di nuovo verso una corda. Axxter lasciò la presa e cercò di afferrarlo. Il filo gli si attorcigliò intorno alle nocche, facendogliele bruciare. Il dolore gli fece ritrarre la mano e lo strattone staccò il coltello dal metallo. Un rivolo rosso gli attraversò il palmo, mentre il filo scivolava via trascinato dal peso del pugnale che cadeva nel vuoto.

La vista del coltello che precipitava verso le nuvole gli ricordò chiaramente dove si trovasse e, istintivamente, abbracciò con entrambe le braccia la struttura, mentre il cuore gli batteva all’impazzata.