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Il sole era alto sulla barriera di nuvole e si muoveva seguendo il suo corso nella zona del giorno. La luce era brillante, non più tinta di rosso. Era ora che anche lui si muovesse lungo il suo piccolo segmento di circonferenza dell’edificio. Per un istante pensò di riguardare il nastro con i due angeli. No… meglio di no. E comunque, non era necessario: poteva ancora vederli, come se qualche radiazione luminosa li avesse fissati nel cielo aperto, o nei suoi occhi.

2

Metodicamente, con elaborata cura, Axxter smontò il suo piccolo campo. Agitandosi più del necessario; lo so, si disse ancora una volta, mentre si guardava le mani che si affaccendavano in quei lavori tanto ordinari. Ogni volta che li compiva, nella sua mente risuonava una vecchia litania: Attenzione, devi essere attento. Non sei nato qui fuori come qualcuno di loro. Finché non avrai messo le corde di sicurezza anche alle gambe è meglio e più saggio essere molto prudenti. Ma in realtà non erano le parole a guidarlo: la paura, non la prudenza, rallentava i suoi movimenti. Per quanto stretti e limitati fossero i confini della cintura di sicurezza da bivacco, era comunque qualcosa che si trovava sotto di lui, una specie di pavimento curvo di plastica e tela rinforzata che aveva sotto le ginocchia quando si piegava, oppure sotto le spalle e i fianchi quando dormiva. Poi, ancora più sotto, solo l’aria. Egli sapeva bene che quella cintura era assolutamente sicura. Avrebbe potuto restare lì appeso per sempre, se la necessità di guadagnare non l’avesse costretto altrimenti.

Finalmente, riuscì a riordinare l’insieme delle sue poche cose in due sacchi e in un pacco informe più voluminoso. Per un attimo chiuse gli occhi, raccogliendo le forze, poi si alzò, mentre il tessuto della cintura si allungava sotto i piedi. Con un fischio chiamò la sua moto.

Per circa un minuto, appoggiato alla parete del muro e aggrappato a un cavo di comunicazione per mantenere l’equilibrio, non sentì nulla: nessun rombo di motore in risposta alla sua chiamata. C’era poca erba su quella parte di muro: probabilmente dipendeva dalle condizioni atmosferiche del Cilindro, pensò Axxter. La moto doveva essere andata piuttosto lontano a far rifornimento. Proprio quando stava per fischiare di nuovo, sentì il rombo del motore, che aumentava man mano che si avvicinava.

Sopra di lui, proprio di fronte al punto in cui si trovava la sua cintura da bivacco, comparvero i fari e il manubrio di una Norton Interstate 850; poi scorse la ruota anteriore e il resto della moto. Alla sinistra del veicolo — la parte superiore in quel momento, visto che si muoveva perpendicolarmente al muro di metallo — si vedeva la classica sagoma tondeggiante di un sidecar Watson Monza, la cui ruota era parallela al resto del veicolo. Il tipico mezzo di trasporto del libero professionista; l’aveva sognata talmente tanto a lungo, risparmiando ogni centesimo, quando ancora si trovava ai livelli orizzontali, che ne conosceva ogni bullone prima ancora che le sue mani si posassero per la prima volta sul manubrio. Anche ora, dopo tutto quel tempo trascorso sul livello verticale, la vista della moto senza conducente che si dirigeva verso di lui, come spinta da un impeto d’amore, lo colpiva, facendogli provare una strana sensazione. Un senso di libertà, come quello degli angeli, fossero essi vivi o morti.

Mentre si avvicinava, la Norton deviò passando al di sotto della cintura, per poi dirigersi verso la parte alta del muro, vicino a una delle fasce d’ancoraggio, in modo che il sidecar fosse facilmente raggiungibile. Si fermò con i fari puntati verso la lontana cima del Cilindro e il motore pigramente acceso. Axxter si aggrappò allo sportello del sidecar e guardò gli apparecchi che si trovavano tra il manubrio. La perfetta somiglianza con una vera 850 Interstate non esisteva più sotto il vetro circolare di quella strumentazione: una fila di dati indicavano lo stato dei processi interni alla macchina. Quando la Norton procedeva lungo la superficie dell’edificio, sottili corde nere uscivano dalle ruote a raggi e le testine triangolari che avevano alle estremità si agganciavano ai punti d’ancoraggio lungo i cavi di transito che percorrevano l’irregolare superficie metallica del muro da un capo all’altro: si fissavano saldamente per poi staccarsi ogni volta che le corde avevano raggiunto la loro massima estensione; rientravano nelle ruote e poi si agganciavano a un nuovo punto d’ancoraggio… Assomigliano a un covo di serpenti iperattivi, aveva pensato Axxter la prima volta che le aveva viste in qualche spettacolo televisivo per bambini, in cui un libero professionista si lanciava, sfidando la gravità, lungo l’esterno del Cilindro. Il serbatoio era quasi pieno. Si allontanò dagli strumenti della moto. Durante la notte, mentre il sole era sull’altro lato della costruzione e Axxter aveva dormito, la Norton aveva perlustrato la zona circostante con la metodicità tipica di una macchina e aveva strappato con le sue proboscidi la sottile peluria verde e i licheni. Da qualche parte del serbatoio ovoidale provenne un leggero gorgoglio e un sibilo che rivelavano il processo di trasformazione della materia organica in carburante. Nella sua attrezzatura, Axxter aveva un apparecchio in grado di rendere commestibile, o quantomeno nutriente, l’erba. Il solo ricordo del gusto di quella schifezza lo fece rabbrividire. Se la morte avesse avuto un gusto, sarebbe stato senza dubbio qualcosa di simile. Un’altra ragione per sperare di guadagnare altro denaro prima che le sue provviste si esaurissero.

Quando incominciò a caricare la sua roba nel sidecar, fissando ogni cosa al proprio posto con corde ausiliarie, udì un rumore più forte del tranquillo ronzio della Norton. Un altro motore scoppiettante, di cui si sentiva il suono delle funi che si attaccavano e staccavano dai cavi di transito. Axxter sollevò lo sguardo e vide un altro libero professionista che si stava avvicinando a lui.

— Ehi! Figlio di puttana! — Un grido e una mano coperta da un guanto che lo salutava mentre si avvicinava. — Come va, Ny?

Axxter aveva già riconosciuto lo sferragliamento della riproduzione di quel modello Indiano. — Guyer, da dove diavolo vieni?

Il conducente fissò la sua Indiana a uno dei punti d’ancoraggio. Sul lato del sidecar erano dipinte le parole GUYER GIMBLE — CONSEGNE; sul serbatoio della moto era dipinto il suo profilo di quando era più giovane e la più richiesta prostituta sulla superficie del Cilindro. Almeno sulla parte che lui conosceva, quella del giorno. Da allora, il viso della donna aveva assunto un’espressione sensuale che intimidiva molto di più, come se il fatto di trovarsi sempre all’aria aperta le avesse levigato il volto. Nello stomaco di Axxter si sciolse un crampo, ma gliene venne un altro che gli provocò un piacevole timore.

Guyer lasciò il manubrio dell’Indiana, mentre i suoi capelli argentei si muovevano al vento, contro il suo affilato profilo. — Vago qui e là — Gli rivolse un sorriso di traverso. — Sto facendo i miei soliti giri. Stai cercando di beccare il gruppo dei Violenza?

— Già… li hai visti?

— Circa una settimana fa — i suoi occhi si mossero, come se stessero seguendo il filo dei suoi pensieri. — Sì, esatto. Dovrebbero ancora essere in cammino lungo la parte bassa del muro. — Con la mano indicò la sua strumentazione. — Vuoi che proviamo a localizzarli sulla mappa?

Axxter scrollò le spalle. — Cosa c’è d’altro? — Guyer aveva delle risorse incredibili ed era diventata molto famosa per la sua posizione chiave nella rete di pettegolezzi di tutti i liberi professionisti. Non aveva affatto bisogno della mia risposta, per sapere quello che faccio qui, rifletté Axxter. — Cosa pensi di loro? — le chiese.

Il sorriso della donna, capovolto a causa della sua posizione, apparve ancora più ampio. — Ragazzi in gamba. E poi… a questo punto chi può dirlo? Sembrano tutti dei duri agli esordi. Sembra vogliano dar fuoco a tutto l’edificio. — Si sporse in avanti, appoggiando le mani sul serbatoio della moto. — Valgono un tentativo … ho preso un paio di azioni che riguardano la loro offerta iniziale e un’opzione per un intero set più avanti.