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Si sporse e toccò il bordo dell’arricciatura del metallo vicino alla Norton. Il freddo che provava passò. Si trasformò in un buco allo stomaco.

Il metallo era caldo e diventava bollente verso il centro. Il calore della violenza che aveva squarciato il muro passò nei suoi palmi. Ritrasse la mano e la paura diventò più forte della sorpresa. — Ge…sù — Non fu più di un sussurro. Quando respirò di nuovo, sentì l’odore del fumo che fuoriusciva dal quel buco nero, circondato dalle parti distrutte del muro.

Se si trovassero ancora lì — quelli (e tu sai chi, si disse) che hanno scoperchiato la superficie dell’edificio e che hanno sparso quest’odore terribile nel vento; chiunque ne rimarrebbe nauseato, anche chi non l’avesse mai sentito prima, e capirebbe subito di cosa si tratta — se si trovassero ancora lì, rifletté Axxter, lì dentro, non ci sarebbe bisogno di dare gas e allontanarsi. Perché loro non agiscono in quel modo. Quanto sarebbe riuscito ad allontanarsi prima di sentire lo stesso calore che aveva deformato il metallo alle sue spalle? Non abbastanza… Cristo, pensò, nauseato e spaventato. Cos’era successo alla sua fortuna?

Naturalmente, potevano anche non trovarsi più lì, a guardarlo da quel buco con i loro piccoli occhi o con qualunque cosa avessero al posto degli occhi. E ammesso che non ci fossero più, egli avrebbe avuto la possibilità di andarsene con la sua piccola e preziosa vita.

E in questo caso — il pensiero lo fulminò improvvisamente, come un riflesso condizionato — potresti anche andare a guardare cosa c’è lì dentro. Dentro, per racimolare informazioni e poi venderle. Ecco quello che sei diventato vivendo sul livello verticale, pensò Axxter, sorpreso dai suoi stessi pensieri. L’ingordigia vince sempre la paura. Axxter scese dalla moto e lasciò che i suoi stivali si agganciassero alla superficie del muro.

Prudentemente — malgrado sapesse fosse inutile — toccò il bordo del metallo e guardò verso l’interno. Il calore gli penetrò nella giacca e nella pelle, fino ad arrivargli nello stomaco. Appoggiandosi alla specie di conchiglia che quel frammento di muro formava, poteva guardare attraverso il buco che portava all’interno dell’edificio. O all’esterno: l’esplosione, o qualunque cosa l’avesse provocata, era venuta dall’interno. Quello significava che non si era trattato dell’opera delle tribù militari che scorrazzavano sulla superficie del Cilindro, ma di qualcosa d’altro.

Attraverso il mirino della telecamera, Axxter calcolò che il buco dovesse essere largo circa un chilometro, una cavità nel fianco dell’edificio. Spostando la telecamera verso l’interno, egli inquadrò le travi contorte e sporgenti dei pavimenti dei livelli orizzontali. Più in profondità, nella totale oscurità, si intravvedevano le pareti annerite dal fumo dei corridoi distrutti.

Riattaccò la telecamera alla cintura, proprio dietro alla pistola. Un sacco di metraggio, più di quanto gliene servisse. Se aveva intenzione di venderlo — e su questo non c’era dubbio, visto che aveva bisogno di tutto il denaro in cui si potessero tradurre le sfortune altrui — non sarebbe certo stato per ragioni estetiche. Pensare alla possibile causa di una simile distruzione sarebbe stato molto difficile da sopportare per la gente, proprio come lo era per lui. La causa, quella di cui tutti avevano paura, nascosta nel buio, all’interno dell’edificio — Axxter rabbrividì. Forse, in un modo o nell’altro, questo è proprio il motivo per cui mi piace star qui fuori. Perlomeno è qui fuori. Lontano da quella cosa. Allungò il collo e tornò a guardare nel buco.

Qualcuno lo stava guardando. Egli lo avvertì prima di vederlo. Una faccia bianca, proprio al margine di quello che era stato un pavimento. Sollevò la telecamera e zumò su quell’essere.

Non lo vide più per un attimo, appiattito com’era contro il metallo scuro, poi lo scorse di nuovo. Non fu sorpreso: la nausea era più forte della paura. Le vuote cavità degli occhi guardavano la telecamera. Resti bruciacchiati di uno strano materiale, il cui odore non era ancora stato cancellato dal vento, annerivano il collo avvizzito e la cassa toracica dietro al cranio. Una mano afferrò il bordo d’acciaio distrutto.

Anche tu. Ad Axxter sembrò che quel cranio sogghignasse mentre parlava. Attento. Poi tirò fuori la lingua e gustò qualcosa che aveva ripescato dallo stomaco ancora in vita. Attento. Attento. Attento…

3

Si era addormentato tra i cadaveri. In quel settore distrutto la fatica l’aveva sopraffatto. E stava facendo sogni orribili; Axxter si prese la testa fra i polsi e appoggiò il dorso delle mani contro la cenere e il cemento. Tuttavia, stava dormento su un comodo pavimento orizzontale, anche se in parte distrutto. E sul petto aveva una presenza metallica ancor più confortante: il suo dito stringeva un grilletto. Avrebbe tenuto lontani quegli esseri ghignanti in modo che non potessero sussurrargli all’orecchio. Ma, nonostante ciò, li stava sognando.

— Anche tu! — Ballavano in cerchio intorno a lui. — Proprio come noi! Anche tu sarai così! — Dai loro visi bianchi e dalle costole a forma di ragnatela fluttuavano i resti di tessuti carbonizzati, neri brandelli. (Nel sonno, Axxter gemette e strinse la pistola). Un teschio squadrato con un copricapo da sparviero si gira verso il suo pubblico: le ossa delle mani fanno il rumore di dadi lanciati e la sottile punta dell’indice tamburella sullo sterno di Axxter. Le luci della sala si accendono, accecandolo mentre si trova nudo sul podio.

L’essere gli agita il dito sotto il naso e poi traccia una linea fino all’ombelico. — Vediamo la parte frontale. — Stranamente, la voce dello scheletro è quella di Guyer, ma per niente gentile. — Il sole sorge da questa parte. Noi vediamo solo questo lato, noi conosciamo solo questo lato.

— Noi vediamo! Noi siamo! Noi saremo! — Ghigni bianchi si muovono sulle sedie. (Tra le mani Axxter avverte l’impugnatura sudata della pistola). — Anche tu!

— Il sole sorge e tramonta — L’indice si muove verticalmente davanti agli occhi di Axxter, come se volesse tagliargli la fronte. Deve sforzarsi per sentire le parole dello scheletro; gli sembra che ci sia qualcosa che gli ricorda altre situazioni, ma non riesce a capire cosa. — Ora è dall’altra parte, sulla parte che non conosciamo. Noi non la vediamo, non sappiamo cosa ci sia… e nemmeno ci interessa!

— Non ci interessa!

— Ma, attenzione! Il centro! Il nucleo! — Uno spostamento e viene illuminato uno specchio sopra le loro teste. Axxter alza gli occhi per vedere a cosa punti quell’indice. Con nauseante sorpresa si accorge di avere un buco sulla testa. Una specie di cappello nero che in realtà è un buco parallelo alla sua spina dorsale. La luce riflessa si tuffa in quel buco lanciando solo qualche bagliore. — Noi ne sappiamo… qualcosa!

— Noi sappiamo!

(Dorme e si asciuga una goccia di sudore, mentre tutti gli esseri ghignanti al di fuori del sogno se ne stanno prudentemente tranquilli).

Il teschio con la voce di Guyer dice: — Qualcosa che non vogliamo sapere! Non vogliamo sapere quello che c’è dentro… dove c’è il buio!

— Buio! Buio! Anche tu! Buio! (Si contorce e mugugna, sudando).

L’Axxter del sogno guarda il buco nello specchio: un pozzo fondo e nero.

La lezione prosegue. — Qualcosa… è proprio dove ci sono loro! I…

Axxter grida di tacere a quella voce, che è solo un ghigno dietro alle luci. Ma questa non tace: egli sa con la certezza tipica dei sogni che non starà zitta. Sta per pronunciare il nome.