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Esattamente.

Due giorni, tre ore, dieci minuti.

Periodicità.

PERIODICITÀ.

Un nesso, finalmente. La prova che quegli strani eventi facevano parte di un tutto unico. Ogni… cinquantuno ore e dieci minuti, capitava “qualcosa di strano”.

Ma perché?

Diede un’occhiata nel corridoio.

— Infermiera! Infermiera! Che ora è?

— Le otto e mezzo, signor Wills. Posso portarvi qualcosa?

Sì. No. Champagne. O una camicia di forza. Quale dei due?

Aveva risolto il problema. Ma la risposta non aveva più senso del problema stesso. Forse, meno. E oggi…

Calcolò rapidamente.

Fra trentacinque minuti.

Gli sarebbe successo qualcosa fra trentacinque minuti!

Qualcosa come un lombrico volante o un’anitra che soffoca in una bacheca ermeticamente chiusa, o…

O forse ancora qualcosa di pericoloso? Calore bruciante, anestesia improvvisa…

O forse qualcosa di peggio?

Un cobra, un unicorno, un diavolo, un licantropo, un vampiro, un mostro spaventoso?

Alle nove e cinque. Tra mezz’ora.

Dalla finestra entrò un soffio d’aria e lui si sentì la fronte gelata. Perché era madida di sudore.

Tra mezz’ora.

Che cosa?

15

Avanti e indietro. Quattro passi in su, quattro passi in giù.

Pensa, pensa, PENSA!

In parte è risolto; e il resto? Acchiappalo, se no acchiappa te.

Periodicità; questo è accertato. Ogni due giorni, tre ore, dieci minuti…

Accade qualcosa.

Perché?

Che cosa?

Come?

Sono per forza collegati fra loro, questi fatti. Fanno parte di un tutto, e hanno un senso. Altrimenti non si verificherebbero così, a intervalli regolari.

Collega: lombrico, calore, anitra, “lei”, etere… angleworm, duck, lei, ether… O impazzisci.

Pazzo. Pazzo! PAZZO!

Collega: le anitre mangiano i lombrichi, no? Il calore è necessario per far crescere i fiori che compongono le “lei”. I lombrichi possono mangiare i fiori, ma che c’entrano con le ghirlande? E che c’entra l’etere con l’anitra? L’anitra è un animale, la “lei” è fatta di vegetali, il calore è vibrazione, l’etere è una sostanza volatile, il verme è… cosa diavolo è un verme? E perché un verme che vola? E perché l’anitra era nella bacheca? E la moneta cinese col buco scomparsa? Si somma o sottrae la palla da golf, e se si mette “x” al posto di aureola e “y” al posto di un’ala, allora “x” più “2y” più “l” lombrico è uguale a…

Un orologio batté l’ora nell’oscurità crescente.

Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove…

Le nove.

Cinque minuti all’istante fatale.

Tra cinque minuti sarebbe successo ancora qualcosa.

Cobra, unicorno, demone, liocorno, vampiro. O qualcosa di freddo e viscido, senza nome.

Qualsiasi cosa.

Avanti e indietro. Quattro passi in su, quattro passi in giù.

Pensa, PENSA.

Jane, perduta per sempre. La dolcissima Jane, tra le cui braccia tutto era felicità. Jane, tesoro, non sono pazzo, sono “peggio” che pazzo. Sono…

CHE ORA È?

Devono essere le nove e due minuti. Tre minuti.

Che cosa viene? Cobra, demone, licantropo…

Che cosa sarà, stavolta?

Alle nove e cinque… CHE COSA?

Saranno le nove e quattro, ormai; sì, sono passati almeno quattro minuti, quattro e mezzo, forse…

All’improvviso urlò. Non sopportava più l’attesa.

Non c’era una soluzione. Ma lui doveva risolvere.

O impazzire.

PAZZO.

Doveva esserlo già, pazzo. Pazzo per sopportare di vivere, cercando di lottare contro qualcosa contro cui non si poteva lottare, cercando di battere l’imbattibile. Picchiando la testa contro…

Correva ora, fuori dalla porta, nel corridoio.

Forse, sbrigandosi, si sarebbe potuto uccidere prima delle nove e cinque. Così non avrebbe saputo mai. Morire, MORIRE E FARLA FINITA. È L’UNICO MODO DI FAR FALLIRE IL GIOCO.

Coltello.

Ci sarà un coltello da qualche parte. Un bisturi è un coltello.

Giù per il corridoio. Voce di un’infermiera che grida alle sue spalle. Passi di corsa.

Correre. Dove? In una direzione qualsiasi.

Manca meno di un minuto. Secondi, forse.

Forse sono già le nove e cinque. In fretta!

Porta con la scritta “Ripostiglio”… La spalancò con un calcio.

Scaffali con lenzuola. Stracci da lavare per terra e scope. Non ci si può uccidere con uno straccio o una scopa. Ci si può soffocare con le lenzuola, ma non in meno di un minuto, e con medici e infermiere alle calcagna.

Uniformi. Una crepa nel muro. Crepare, ma come?

Ah, là! Su uno scaffale.

Una scatola di cartone già aperta, con la scritta “liscivia” (lye).

Doloroso? Sì, ma di breve durata. Facciamola finita. La scatola tra le mani, l’angolo strappato, il contenuto rovesciato in bocca…

Ma niente polvere bianca, bruciante. Dal contenitore di cartone uscì soltanto una piccola moneta. Charlie se la tolse di bocca e la tenne tra due dita, fissandola come abbagliato.

Erano le nove e cinque, ormai; dalla scatola di liscivia era uscita una monetina straniera di rame. No, non era il “tael” scomparso dalla bacheca del museo, perché quello era d’argento e aveva un foro al centro, e una scritta in cinese. Questa invece, se non si sbagliava, era una moneta rumena.

Poi mani di ferro lo agguantarono per le braccia e lo ricondussero nella sua stanza; qualcuno gli parlò a lungo, pacatamente.

E lui si addormentò.

16

Si svegliò il giovedì mattina, dopo un sonno senza sogni, stranamente ristorato e allegro.

Probabilmente in quei terribili trentacinque minuti di attesa sperimentati la sera prima, aveva toccato il fondo. Ed era riemerso.

Uno psichiatra avrebbe potuto spiegare la cosa dicendo che, sotto lo “choc” di una fortissima emozione, aveva riportato un trauma temporaneo, entrando in uno stato molto vicino alla psicosi maniaco-depressiva. Gli psichiatri hanno la specialità di complicare le cose semplici.

Il fatto era che lui aveva dato i numeri per alcuni minuti. Ma poi, l’assurda doccia fredda provocata dalla comparsa della monetina di rame era stata la svolta decisiva. Cercare qualcosa di orribile, innominabile… e trovare una monetina di rame! Una vera e propria misura terapeutica, per chi avesse abbastanza umorismo da riderne.

E Charlie la sera prima aveva riso. Probabilmente per questo la sua stanza il mattino dopo gli era sembrata diversa. La finestra si apriva in un’altra parete e aveva le sbarre. Gli psichiatri spesso fraintendono il senso dell’“humor”.

Ma quella mattina si sentiva tanto allegro da non curarsi del significato di quella finestra. Ecco una nuova giornata piena di luce, col sole che entrava a fiotti attraverso le sbarre. Era un altro giorno e lui era vivo.

E, soprattutto, era certo di non essere pazzo.

A meno che…

Si guardò attorno e vide i suoi abiti piegati sulla spalliera della sedia. Si tirò su a sedere, mise i piedi a terra e si protese, infilando la mano nella tasca della giacca per accertarsi che la moneta fosse ancora dove l’aveva messa quando l’avevano afferrato.

C’era.

Dunque…

Si vestì lentamente, riflettendo.

Ora, alla luce del giorno, gli sembrava che il suo problema potesse essere risolto. Sei… ora i fatti bizzarri erano sei. E avevano senz’altro un nesso tra loro. Lo dimostrava la loro periodicità.

Due giorni, tre ore, dieci minuti.

E qualunque fosse la risposta, non poteva trattarsi di una realtà maligna. Era semplicemente impersonale. Se avessero voluto ucciderlo, ne avevano avuto occasione la sera avanti; bastava solo che nella scatola ci avessero messo qualcosa di peggio della liscivia. Perché, nella scatola, quando lui l’aveva sollevata, la liscivia c’era: l’aveva capito dal peso. Ma in quello stesso istante erano scoccate le nove e cinque, e al posto della polvere bianca era venuta la monetina di rame.