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Tenebre.

Riaprì gli occhi in un vortice di bianco, che presto si risolse in bianche pareti, bianche lenzuola, e un’infermiera vestita di bianco che diceva: — Dottore, ha ripreso conoscenza!

Rumore di passi, una porta si chiuse e il dottor Palmer si chinò su di lui.

— Ebbene, Charles, che cosa diavolo vi è successo?

Charlie rise debolmente.

— Salve, dottore. Che cosa mi è successo? È proprio quello che vorrei sapere.

Palmer avvicinò una sedia e sedette. Poi prese il polso del giovanotto e lo tenne stretto, mentre fissava il suo orologio. Infine diede un’occhiata alla cartella clinica appesa ai piedi del letto e disse: — Uhm!

— Questa sarebbe la diagnosi — s’informò Charles — o la cura? Sentite, prima di tutto ditemi che ne è stato del carrettiere. Cioè se sapete…

— Paula mi ha raccontato l’accaduto. Il carrettiere è stato denunciato per i maltrattamenti a quella povera bestia. Voi state bene, Charles. Niente di grave.

— Niente di grave? Ma che significa? Insomma, volete dirmi cosa mi è successo?

— Siete svenuto. Un collasso. E tra qualche giorno vi spellerete tutto. Perché non avete usato una lozione qualsiasi, ieri?

Charlie chiuse gli occhi e li riaprì lentamente. — Perché non ho usato una… per che cosa? — domandò.

— Una lozione contro le scottature solari, naturalmente. Non lo sapete che non si può andarsene a nuotare in una giornata di sole senza…

— Ma ieri non sono affatto andato a nuotare. E neanche l’altro ieri. Perdinci! Saranno quindici giorni, che non ci vado. Di che scottature state parlando?

Il dottor Palmer si accarezzò il menta.

— Riposate ancora un poco, Charles — disse. — Se poi stasera vi sentirete perfettamente in forma, potrete tornarvene a casa. Ma domani è meglio che non andiate in ufficio.

Si alzò e uscì.

L’infermiera rimase, e Charlie la fissò, sgomento.

— Il dottor Palmer sta per… — disse. — Sentite, che cos’è tutta questa storia?

L’infermiera lo guardò in modo piuttosto strano.

— Diamine, avete… — cominciò. Poi si trattenne. — Le infermiere non sono autorizzate a discutere la diagnosi col paziente, signor Wills. Ma non c’è niente di cui preoccuparsi; avete sentito che il dottore vi permette di tornarvene a casa stasera stessa.

— Sciocchezze. Che ora è? Oppure le infermiere non sono autorizzate a dire neppure questo?

— Le dieci e mezzo.

— Perbacco! Sono qui da quasi due ore.

Fece un rapido calcolo: ricordava di esser passato davanti a un orologio che segnava le otto e ventiquattro, proprio mentre voltavano l’angolo dell’ultimo isolato. E se era sveglio da cinque minuti, erano due ore abbondanti…

— Desiderate altro?

Charlie scosse la testa, lentamente. Ma poi ci ripensò.

— Ah, sì. Potreste portarmi un’aranciata? — disse, per mandar via la donna e poter finalmente dare un’occhiata alla cartella clinica.

Non appena l’infermiera se ne fu andata, si alzò a sedere. Lo sforzo fu doloroso e si accorse che la pelle era stranamente liscia al tatto. Rimboccandosi le maniche del pigiama che gli avevano messo addosso in ospedale, si guardò le braccia e vide che erano tutte rosa, come nel primo stadio di una leggera scottatura solare.

Sbirciò sotto il pigiama, poi si guardò anche le gambe. — Cosa diavolo… — disse. Le scottature, se poi si trattava proprio di quello, si estendevano uniformi a tutto il corpo.

Un’assurdità, perché negli ultimi tempi lui non era stato al sole tanto da potersi scottare, e, comunque, mai senza vestiti. Eppure erano arrossate perfino le parti che sarebbero state coperte dai calzoncini, se fosse andato veramente a nuotare.

Ma forse la cartella clinica gli avrebbe chiarito le idee. Si sporse ai piedi del letto e la staccò dal gancio.

“Il paziente è svenuto improvvisamente per la strada, senza causa apparente. All’atto del ricovero, polso 135; respiro affannoso; temperatura 40 gradi. Tutto ritornato normale entro un’ora. Sintomatologia di un collasso da calore eccessivo, ma…”

Seguivano alcuni termini strettamente scientifici. Charlie non ci capì niente, e per un attimo ebbe la sensazione che non ci avesse capito niente neanche il dottor Palmer, perché quei paroloni avevano tutta l’aria di nascondere il vuoto dietro la loro altisonanza.

Udendo uno scalpiccio nel corridoio, rimise a posto velocemente la cartella e si tuffò di nuovo sotto le coperte. Con sorpresa, sentì bussare. Strano, le infermiere non bussano prima di entrare.

— Avanti — disse.

Era Jane. Più bella che mai, con i grandi occhi bruni dilatati dall’ansietà.

— Tesoro! Mi sono precipitata qui non appena la Peste è tornata a casa e mi ha detto tutto. Ma è stata terribilmente vaga. Che cosa ti è successo?

Era ormai a portata di mano e Charlie ne approfittò per stringerla tra le braccia. In quel momento se ne infischiava allegramente di tutto quello che gli era capitato. Poi cercò di spiegarle. Ma, soprattutto, cercò di spiegare a se stesso.

4

La gente cerca sempre di spiegare.

Mettete un individuo di fronte a qualcosa d’incomprensibile, e lui si sentirà infelice fino a che non sarà riuscito a classificarlo. Il cielo s’illumina stranamente; ma uno scienziato dice che si tratta dell’aurora boreale (o di quella australe) e lui accetta il fenomeno e non ci pensa più.

Qualcosa strappa i quadri dalle pareti di una stanza vuota e fa cadere le sedie per terra. Tutti sono costernati finché il fenomeno non ha un nome. Ma poi… niente, sono soltanto gli spiriti.

Classificate e dimenticate. Tutto quello che ha un nome, può essere assimilato.

Non che quello che capitò in seguito a Charlie Wills avesse qualcosa a che fare con gli spiriti. E neanche con i folletti. Però, in un certo senso, lui avrebbe preferito che si fosse trattato di un folletto invece che di un’anitra. Ci si può aspettare che un folletto si comporti in modo strano, ma un’anitra… E in un museo, per di più!

Un’anitra non ha niente di terribile in se stessa. Niente che tenga svegli la notte, facendo colare sudori freddi da scottature che cominciano a spellarsi. Tutto sommato, l’anitra è un animale simpatico, specialmente arrosto. Ma quella non era così.

La permanenza di Charlie in ospedale era durata solo otto ore; lo avevano dimesso verso sera, e lui aveva cenato in centro e poi se n’era tornato a casa. Il principale gli aveva telefonato, insistendo perché il giorno dopo facesse vacanza. E lui non aveva insistito troppo per andare in ufficio.

Spogliatosi per fare un bagno, aveva osservato pieno di stupore la sua pelle. Una scottatura di terzo grado, non c’era dubbio. E su tutto il corpo. E pronta a spellarsi.

Infatti il giorno seguente la pelle cominciava a venir via.

E lui aveva approfittato della vacanza per portare Jane a vedere una partita di baseball. Si erano sistemati in tribuna, al riparo dal sole. Era stata una bella partita e Jane sapeva capire e apprezzare il baseball.

Giovedì, era tornato al lavoro.

Alle undici e venticinque il vecchio Hapworth, il principale, entrò nell’ufficio di Charlie.

— Wills — disse — abbiamo ricevuto un’ordinazione urgente per la stampa di diecimila volantini. Ce ne manderanno una copia tra un’ora. Vorrei che seguiste voi personalmente il lavoro, dalla composizione alla stampa. C’è pochissimo tempo, e se non consegneremo alla data fissata dovremo pagare una penale.

— Certamente, signor Hapworth. Me ne occupo subito.

— Bene. Ci conto. Sentite… è ancora presto per pranzare, però sarebbe meglio che andaste a prendere qualcosa ora. Il testo arriverà proprio quando voi sarete di ritorno e potrete cominciare subito. Vi spiace anticipare la colazione?