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Tirò un respiro di sollievo (l’aveva fatta franca per un pelo!) e si mise subito al lavoro. Portò il testo alle “linotype”, corresse la bozza personalmente, poi osservò l’impaginazione sbirciando da sopra la spalla del compositore. Sapeva di rendersi odioso, ma gli serviva per ammazzare il tempo.

Un’altra giornata di lavoro, domani, e poi, vacanza! E mercoledì…

Mercoledì, le nozze!

Ma…

Se…

La Peste, in camice verde, uscì dalla tipografia e gli lanciò un’occhiata.

— Charlie — disse — hai l’aria di un cane bastonato, per non dire di peggio. Che cosa diavolo hai? Me lo vuoi dire?

— Niente. Paula, quando rincaserai, di’ a Jane che stasera arriverò un po’ in ritardo. Devo starmene qui fino a che questi volantini non saranno tutti stampati.

— Certo, Charlie. Ma dimmi…

— No! Vattene. Ho da fare.

Con un’alzata di spalle, lei tornò da dove era venuta.

Il tecnico gli batté amichevolmente sulla schiena.

— Abbiamo montato la nuova “linotype” — disse. — Volete darle un’occhiata?

Charlie annuì e lo seguì. Esaminò l’impianto, poi sedette al posto dell’operatore, davanti alla macchina. — Come va?

— Benissimo. Queste macchine sono una cannonata. Provatela.

Charlie fece correre le dita sui tasti, componendo alcune parole senza preoccuparsi del senso. Poi tolse le tre righe intere dal compositoio. Quindi lesse quello che aveva scritto: “Perché gli uomini sono morti e i vermi li hanno divorati, e sono ascesi al cielo dove ora siedono alla destra…”.

— Oh! — disse Charlie. E gli venne in mente.

6

Jane notò subito che qualcosa non andava. Impossibile non accorgersene. Ma invece di seccarlo con domande, cercò di essere molto carina con lui, quella sera.

E Charlie, che era andato da lei col proposito di dirle tutto, sentì vacillare la sua decisione. Succede così a tutti gli uomini, quando restano soli con la donna che amano e la lampada del salotto è sapientemente schermata!

Lei gli domandò: — Charles, tu vuoi sposarmi, vero? Voglio dire, che se hai ancora qualche dubbio, possiamo rimandare le nozze a quando sarai sicuro di amarmi abbastanza da…

— Di amarti? — Charlie era allibito. — Diamine…

E dimostrò a Jane il suo amore in modo davvero soddisfacente.

Tanto soddisfacente, anzi, che dimenticò di avere avuto realmente intenzione di rimandare la cerimonia.

E non certo per il motivo cui aveva accennato Jane.

Un uomo innamorato è un po’ come ubriaco, e non si può rinfacciare a un ubriaco quello che ha fatto sotto i fumi dell’alcool. Lo si può biasimare, certo, per essersi preso una sbronza; ma nel caso di un innamorato, non si può rinfacciargli neppure questo. Con tutta probabilità è caduto in trappola senza averne colpa. Di solito, le sue intenzioni in origine erano del tutto disoneste; poi, quando quelle intenzioni hanno incontrato una certa resistenza, la sottile alchimia della sublimazione le ha convertite nella sostanza stessa delle stelle.

Comunque, Charlie non si recò da uno psichiatra il giorno dopo. Aveva una certa paura di quello che l’altro avrebbe potuto dirgli; e decise di aspettare, per vedere se fosse capitato qualcos’altro.

Forse non sarebbe successo più niente.

Secondo una consolante superstizione popolare, le cose capitano a tre a tre. E a lui, tre erano già capitate.

Era certo così. Da quel momento in poi sarebbe stato in pace. Dopo tutto, non c’era niente di irreparabile. Non poteva esserci. Da due anni a quella parte era mancato un solo giorno in tipografa: martedì.

Ormai era già venerdì pomeriggio e da ventiquattr’ore buone non gli capitava niente. Non gli sarebbe più capitato niente di spiacevole.

Infatti non gli capitò, quel venerdì. Però lesse qualcosa che lo strappò bruscamente alla sua precaria euforia.

L’articolo di un giornale.

Se ne stava seduto al tavolino di un ristorante, quando lo sguardo gli cadde su un giornale dimenticato dal cliente che l’aveva preceduto. E mentre aspettava che gli portassero quello che aveva ordinato, Charlie decise di dargli un’occhiata. Prima che la cameriera arrivasse aveva già scorso la prima pagina. Mentre mangiava la minestra si lesse le “comic strips”, quindi cercò pigramente la cronaca locale.

GUARDIANO DEL MUSEO TEMPORANEAMENTE SOSPESO

il direttore ordina che vengano svolte indagini

Mentre leggeva, sentì una morsa gelida attanagliargli lo stomaco…

Adesso quello che temeva era lì, nero su bianco!

L’anitra selvatica nella bacheca c’era stata davvero. E nessuno riusciva a capire come avesse potuto entrarci. Avevano dovuto rompere la vetrina per toglierla di lì, e la bacheca non mostrava alcuna traccia di manomissione: in origine era stata sigillata con lo stucco per impedire che entrasse la polvere, e le stuccature apparivano intatte.

Un guardiano, per ragioni che l’articolo non riferiva chiaramente, era stato punito con tre giorni di sospensione. Tra le righe si leggeva chiaramente che il direttore del museo si era sentito in dovere di “fare qualcosa” riguardo all’inspiegabile faccenda.

Dalla bacheca, comunque, non mancava alcun pezzo di valore. Era scomparsa soltanto una moneta cinese con un foro al centro, un “tael”, d’argento; niente d’importante. Poteva darsi che fosse stato sottratto da uno degli operai che avevano aperto la bacheca, o che l’avessero gettato via involontariamente con i resti dello stucco vecchio.

Il reporter, che riferiva l’accaduto in chiave umoristica, avanzava l’ipotesi che l’anitra avesse scambiato la moneta per una ghiottoneria e se la fosse mangiata. E dichiarava che la miglior vendetta, per il direttore del museo, sarebbe stata di mangiarsi l’anitra.

Naturalmente avevano chiamato la polizia, ma questa riteneva che tutta la faccenda fosse soltanto uno scherzo di cattivo gusto. Fatto da chi e in che modo, impossibile saperlo.

Charlie posò il giornale e si guardò attorno tristemente.

Dunque, non era stata una duplice allucinazione, non si era immaginato di vedere l’anitra e il guardiano. Solo adesso che non c’erano più dubbi, si rendeva conto di quanto avesse contato su quella spiegazione.

Ora era nuovamente da capo.

A meno che…

Ma no, era assurdo. Certo, in teoria, anche l’articolo del giornale che aveva appena letto poteva essere frutto della sua fantasia, ma… No, era davvero troppo, non poteva accettarlo. Avanti di quel passo, lo stesso direttore del museo sarebbe diventato un’allucinazione, se fosse andato a parlargli.

— Ecco l’anitra, signore.

Charlie per poco non cadde dalla sedia.

Poi vide la cameriera ritta lì accanto, col vassoio, e capì che stava aspettando perché il giornale era spiegato sul tavolo e non sapeva dove posare il piatto.

— Non avevate ordinato anitra arrosto, signore? Io…

Charlie si alzò bruscamente, evitando di guardare il cibo.

— Devo fare subito una telefonata — disse. Allungò una banconota da un dollaro alla cameriera allibita e si precipitò fuori. Aveva davvero ordinato… No, non proprio. Le aveva chiesto di portargli la specialità del ristorante.

Ma… mangiare anitra? Piuttosto avrebbe mangiato… No! Lombrichi fritti, no! Rabbrividì.

Tornò rapidamente in ufficio, malgrado fosse in anticipo di mezz’ora, e quando fu di nuovo al sicuro tra le quattro mura della “Hapworth Printing Co.”, si sentì un po’ meglio. Lì non gli era mai capitato niente di strano.

Almeno fino a quel momento.

7

Charlie Wills era un giovanotto di costituzione sana e robusta. Così, malgrado tutto, alle due del pomeriggio si sentì talmente affamato, che mandò uno dei fattorini a comprargli un paio di panini imbottiti nel bar sottostante.