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«Su, andiamo, le cose non sono poi così brutte come le dipingete voi. In questo momento, si studiano dei rimedi.»

«È la solita storia del troppo tardi e troppo poco. Il mondo è andato (non sta andando, bada è andato) in rovina; e ne siamo stati noi gli artefici.»

Shirl rimescolò la minestra e gli sorrise. «Non state forse esagerando un pochino? Non si può veramente addossare tutti i nostri guai a un eccesso di popolazione.»

«Accidenti, se si può, scusa l'espressione. Il carbone che si prevedeva sarebbe durato dei secoli, si è completamente esaurito perché tanta gente aveva bisogno di scaldarsi. Così anche il petrolio. Ne è rimasto così poco che non possiamo permetterci di farne del combustibile. Si deve trasformare tutto in prodotti chimici, plastica e altri materiali. E i fiumi, chi li ha inquinati? L'acqua, chi l'ha bevuta? Il suolo coltivabile, chi l'ha impoverito con le coltivazioni intensive? Tutto è stato inghiottito, distrutto, consumato, esaurito. Che cos'è rimasto, qual è l'unica nostra risorsa naturale? I parcheggi in disuso, ecco che cosa è rimasto. Tutto il resto è stato consumato, e cosa abbiamo da mostrare in cambio? Un paio di miliardi di vecchie automobili arrugginite. Un tempo avevamo il mondo intero nelle nostre mani, ma ce lo siamo mangiato, bruciato. Ora è finito. Un tempo la prateria brulicava di bisonti, almeno così dicevano i miei libri di scuola quando ero bambino. Ma io non ne ho mai visti, perché ne avevano fatto bistecche e scendiletti, già ai miei tempi. E credi che questo abbia destato un'impressione qualsiasi sulla razza umana? O il fatto che le balene, i colombi viaggiatori, le gru migranti o qualsiasi altra specie di animale sia estinta? Un baffo, gli ha fatto. Negli anni cinquanta e sessanta si è parlato in lungo e in largo di costruire degli impianti tecnici per depurare l'acqua di mare e irrigare il deserto in modo da creare una regione fertile, eccetera, eccetera. Chiacchiere e nient'altro. Se alcune persone vedevano la minaccia, ben chiara, ciò non è bastato a farla vedere e capire ad altri. Per costruire un impianto atomico occorrono almeno cinque anni. Quelli che avrebbero dovuto fornire l'acqua e l'elettricità di cui abbiamo bisogno oggi avrebbero dovuto essere costruiti allora. Non l'hanno fatto. È semplicissimo, no?»

Si rimise a tossire, più a lungo, questa volta, e quando l'accesso di tosse cessò rimase immobile, esausto sul letto. Shirl gli si avvicinò per rimboccargli le coperte, e rassodare i guanciali. Quando la sua mano incontrò quella del vecchio, gli occhi le si spalancarono e mormorò:

«Siete caldo, scottate. Non avrete mica la febbre?»

«La febbre?» volle fare un risolino ma gli venne ancora la tosse, e questo colpo lo lasciò ancora più debole di prima. Quando tornò a parlare la sua voce era bassissima. «Senti, cara, io ho una malattia inguaribile: la vecchiaia. Sono ormai un sacco vuoto, immobilizzato su questo letto, chiuso nel gesso, non mi posso muovere e qui fa tanto freddo da congelare anche una scimmia di bronzo. Il minimo che mi possa capitare sono le piaghe da decubito, ma vi sono più probabilità che mi prenda la polmonite.»

«No!»

«Sì, è inutile nascondere la verità. Se me la prendo, me la prendo. Ora fai la brava e mangiati la tua minestra, io non ho fame e mi farò invece un sonnellino.» Chiuse gli occhi e adagiò la testa sui guanciali.

Andy quella sera venne a casa dopo le sette. Shirl riconobbe i suoi passi nel corridoio e gli andò incontro con un dito sulle labbra, poi lo condusse silenziosamente nell'altra stanza, indicando Sol che dormiva sempre e respirava affannosamente.

«Come si sente?» chiese Andy cominciando a sbottonare il suo cappotto inzuppato. «Che notte! Pioggia e nevischio.»

«Ha la febbre,» disse Shirl, incrociando nervosamente le mani. «Dice che ha la polmonite. Credi sia possibile? Che cosa possiamo fare?»

Andy si fermò prima di togliersi il cappotto. «È molto caldo? Ha tossito?» chiese a Shirl, e lei assentì. Andy aprì la porta, ascoltò il respiro di Sol, poi la chiuse nuovamente e si riabbottonò.

«Mi avevano avvertito di questa possibilità all'ospedale. Capita quasi sempre ai vecchi costretti a letto. Ho qui gli antibiotici che mi avevano dato. Ora glieli daremo, poi vado a Bellevue e vedo se posso averne ancora. Vedrò anche se possono riprenderlo. Dovrebbe stare sotto una tenda di ossigeno.»

Sol si svegliò appena per inghiottire le pastiglie, la sua pelle scottava quando Shirl gli tenne la testa alzata. Dormiva ancora quando Andy tornò, circa un'ora dopo. Il viso di Andy era vuoto d'ogni espressione, impassibile. Shirl la chiamava l'espressione professionale e ciò significava una cosa sola.

«Niente antibiotici,» disse, «perché c'è l'epidemia di influenza. Idem per le tende d'ossigeno e per i letti. Neanche uno disponibile. Non ho visto nemmeno un medico, soltanto la ragazza della segreteria.»

«Ma non possono fare così, con quell'uomo tanto malato. È un delitto!»

«Se tu entri in quell'ospedale avrai l'impressione che mezza città sia ammalata. C'è gente dappertutto, persino fuori, per la strada. Non ci sono più medicine sufficienti per tutti, Shirl. Credo che le diano solo ai bambini. Per gli altri… be', si affidano alla fortuna.»

«Si affidano alla fortuna!» Appoggiò il capo contro il cappotto bagnato di Andy e cominciò a singhiozzare. «Qui non abbiamo neanche una probabilità di farcela. Un vecchio come quello, ha bisogno di cure, non lo si può lasciar morire così…»

La tenne stretta contro di sé. «Ci siamo qui noi, e ci occuperemo di lui. Ci sono ancora quattro compresse. Faremo tutto ciò che possiamo. Ora vieni di là e riposati. Anche tu ti ammalerai se non prendi maggior cura di te stessa.»

CAPITOLO SETTIMO

«No, Rusch, è impossibile. Non si può. E lo dovresti sapere senza bisogno di chiederlo.» Il tenente Grassioli si teneva un dito sull'angolo dell'occhio, ma ciò non frenava il suo tic.

«Mi spiace, tenente,» disse Andy. «Non lo chiedo per me. È una questione di famiglia. Sono già in servizio da nove ore. Farò i doppi turni per il resto della settimana…»

«Un agente di polizia è in servizio ventiquattr'ore al giorno. Andy represse la sua collera.» Lo so, signore, non cerco di evitare in nessun modo di fare il mio dovere.

«No, e basta.»

«Allora lasciatemi mezz'ora di libertà. Debbo andare fino a casa e torno subito. Dopodiché posso rimanere qui finché arriva il turno di giorno. Dopo la mezzanotte qui avrete pochi agenti, e se io rimango potrò finire quei rapporti che Centre Street chiede da una settimana.»

Il che significava fare due turni di ventiquattr'ore senza alcun riposo. Ma era il solo modo di ottenere qualcosa da Grassy. Il tenente non poteva ordinargli di lavorare in quella maniera se non vi era un motivo d'urgenza. Ma aveva bisogno d'aiuto. Il lavoro d'ufficio era in arretrato, perché la maggior parte degli agenti investigatori erano stati inviati di rinforzo alle squadre dell'ordine pubblico. Il Quartier Generale di Centre Street non riteneva che fosse una scusa sufficiente.

«Io non chiedo mai ai miei uomini di fare lo straordinario,» disse Grassy, abboccando, «ma credo nel “fair-play”: io ti do, tu mi dai. Prenditi mezz'ora adesso; ma non di più, capito? E te la riguadagni quando torni. Se vuoi stare qui più a lungo è affar tuo.»

«Sissignore,» disse Andy. Bell'alternativa. Sarebbe rimasto in ufficio fino al levar del sole.

La pioggia che era caduta senza interruzione in questi ultimi tre giorni, si era trasformata in neve che scendeva silenziosamente a lente e larghe falde, illuminata dai pochi cerchi di luce della 23a Strada. Si contavano pochi passanti per le vie. Sebbene vi fosse ancora molta gente rannicchiata a grappoli intorno ai pilastri di sostegno dell'autostrada sopraelevata, la maggior parte dei senza-tetto avevano trovato qualche riparo dal freddo. Anche se non si vedevano, la loro presenza, con quella degli altri abitanti, era quasi tangibile. Dietro ogni muro si addensavano centinaia di persone di cui si indovinava la sagoma scura nei portoni, o l'improvviso apparire contro il vetro di una finestra. Andy chinò la testa perché la neve non gli venisse in faccia, e camminò in fretta. La preoccupazione lo spronava e ci fu un momento in cui si dovette fermare per riprendere fiato.