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Mi hai visto? Stavo immobile come una morta e tenevo gli occhi chiusi, ma mi è sembrato di avvertire la tua sofferenza nel guardarmi così ridotta. Ho quasi pianto e rammento che ho avuto paura di farmi cogliere con il volto bagnato di lacrime. Finalmente ho sentito i tuoi passi, così ho bendato il braccio e mi sono ripulita la faccia e il collo. Dopo un po’ è arrivato il Maestro Gurloes e mi ha portata via. Perdonami.

Mi piacerebbe rivederti, e se Padre Inire riuscirà a ottenere il perdono, cosa che si è solennemente impegnato a fare, non ci sarà più motivo perché restiamo divisi. Vieni subito da me… sto aspettando il messaggero della Casa Assoluta e quando arriverà dovrò correre ai piedi dell’Autarca, il cui nome è un balsamo tre volte benedetto per le fronti riarse dei suoi schiavi.

Non dire niente di tutto questo a nessuno, dirigiti da Saltus verso nord-est fino a quando troverai un ruscello che corre verso il Gyoll. Seguilo controcorrente e arriverai all’ingresso di una miniera.

A questo punto è necessario che ti riveli un grande segreto, che non dovrai divulgare per nessun motivo. La miniera è un deposito di tesori dell’Autarca e contiene grandi quantità di monete, lingotti e gemme, messi da parte per il giorno in cui egli potrebbe venire scacciato dal Trono della Fenice. Tali tesori sono custoditi da certi servitori di Padre Inire, ma tu non hai motivo di averne paura. È stato ordinato loro di obbedirmi e io ho parlato di te spiegando che devono lasciarti passare. Una volta entrato nella miniera, segui il corso d’acqua fino al luogo in cui sgorga da una pietra. Io ti aspetterò là, e da quel posto ti sto scrivendo, nella speranza che riuscirai a perdonare la tua

Thecla

È impossibile per me descrivere la gioia che provai nel leggere e rileggere la lettera. Jonas, vedendo la mia espressione, balzò dalla sedia, probabilmente convinto che stessi per svenire; quindi si ritrasse come se mi credesse impazzito. Quando finalmente ripiegai la lettera e la riposi nella cintura, non mi domandò niente (era un vero amico) ma la sua espressione mi fece capire che era pronto ad aiutarmi.

— Ho bisogno del tuo animale — dissi. — Lo posso prendere?

— Certo, ma…

Io avevo già aperto la porta. — Tu non mi puoi accompagnare. Se andrà tutto bene farò in modo che ti venga restituito.

Mentre scendevo di corsa le scale e mi precipitavo nel cortile, la lettera mi parlava con la voce stessa di Thecla e quando entrai nella scuderia ero veramente impazzito. Ero intento a cercare il merichippo di Jonas quando mi vidi davanti un grande destriero con il dorso più alto dei miei occhi. Non riuscivo a immaginare chi avesse potuto portarlo in quel pacifico villaggio, e non persi tempo a riflettere. Senza un istante di esitazione gli balzai in groppa, sguainai Terminus est e con un unico colpo tranciai le redini che lo tenevano legato.

Non ho mai visto una cavalcatura migliore di quella. D’un balzo eravamo fuori dalla scuderia e avevamo raggiunto la strada del villaggio. Per il tempo di un respiro ebbi paura che potesse inciampare nelle corde di qualche tenda, ma ben presto notai che si muoveva con la sicurezza di un danzatore. La strada portava a est, verso il fiume.

Non appena fummo lontani dalle case, spinsi l’animale sulla sinistra. Scavalcò un muricciolo come un bambino scavalcherebbe un fuscello e mi ritrovai al galoppo su un prato nel quale i tori sollevavano le corna nella luce verdognola della luna.

Non sono mai stato un gran cavaliere. Nonostante l’alta sella penso che con un animale diverso sarei caduto a terra prima ancora di aver percorso mezza lega; ma quel destriero, nonostante la velocità, si muoveva con la scioltezza di un’ombra. E tali dovevamo apparire, lui con il suo pelo nero, io avvolto nel manto di fuliggine. Non aveva ancora rallentato quando arrivammo al ruscello descritto nella lettera. Lo fermai, sia tirando i finimenti sia a parole, e lui mi ascoltò come un fratello. Il corso d’acqua non era fiancheggiato da sentieri e dopo un breve tratto le sponde vennero nascoste dalle piante. Allora lo feci entrare nel ruscello, sebbene fosse riluttante, e risalimmo le acque spumeggianti come un uomo risale una scala, attraversando a nuoto i tratti più profondi.

Avanzammo nell’acqua per più di un turno di guardia, avvolti da una foresta molto simile a quella che io e Jonas avevamo attraversato dopo essere stati separati da Dorcas, dal dottor Talos e dagli altri alla Porta della Misericordia. Poi le sponde si fecero più alte e accidentate, le piante più piccole e contorte. Il letto del ruscello era costellato di massi, e i loro spigoli aguzzi, chiaramente derivanti dalle mani dell’uomo, mi fecero capire che ero arrivato nella zona delle miniere; sotto di noi c’erano i resti di qualche grande città. Il fondo era scosceso e il destriero talvolta incespicava sulle pietre sdrucciolevoli, obbligandomi a smontare e a condurlo per la briglia. Oltrepassammo in tal modo una serie di piccole depressioni sognanti, oscurate dalle altissime pareti che lasciavano comunque passare la verde luce della luna e risonanti solo dello scrosciare dell’acqua; per il resto il silenzio era assoluto.

Finalmente giungemmo in una piccola valle, più angusta delle precedenti, e in fondo a essa, a circa una catena di distanza, distinsi una buia apertura dove il chiaro di luna si riversava su una ripida altura. Lì nasceva il ruscello, fuoriuscendone come saliva dalle labbra di un titano pietrificato. Nei pressi della sorgente trovai un tratto di terreno abbastanza pianeggiante da potervi lasciare il destriero, e riuscii anche a legarlo annodando quello che rimaneva delle redini intorno a un albero nano.

Sicuramente una volta lì c’era stato un viadotto di legno che portava nella miniera, ma era franato. Nonostante fosse apparentemente impossibile riuscirci, trovai qualche appiglio per puntare i piedi in quella vetusta parete e la scalai, di fianco alla cascata.

Avevo appena insinuato le mani nell’apertura quando udii, o credetti di udire, un suono proveniente dalla valle retrostante. Mi fermai e voltai indietro la testa. Lo scroscio dell’acqua avrebbe certamente soffocato qualsiasi rumore meno intenso di uno squillo di tromba o di un’esplosione, e aveva soffocato anche quello; comunque avevo sentito qualcosa… la nota di una pietra che cade su altre pietre, forse, o il tonfo di qualcosa che piomba pesantemente in acqua.

La valle appariva tranquilla e silenziosa. Poi notai il mio destriero mutare posizione: la testa orgogliosa e gli orecchi piegati in avanti apparvero per un istante nella luce. Decisi che doveva essere stato lo sfregamento degli zoccoli ferrati d’acciaio contro la roccia a produrre il rumore di poco prima, segno di protesta della bestia per essere stata legata. Mi infilai nell’imboccatura della miniera e così facendo, lo scoprii più tardi, mi salvai la vita.

Qualsiasi uomo dotato di un briciolo di buon senso sapendo di dover entrare in un luogo come quello avrebbe portato una lanterna e una abbondante scorta di candele. Io ero stato talmente sconvolto dal pensiero che Thecla era ancora viva da non aver pensato ad altro. Così procedetti lentamente nell’oscurità e non avevo ancora fatto una dozzina di passi che la luce della luna alle mie spalle scomparve. I miei stivali sprofondavano nel ruscello e continuavo ad avanzare come quando avevo guidato il destriero. Tenevo Terminus est appesa al braccio sinistro e non rischiai mai di bagnare la punta del fodero nel corso d’acqua, perché la galleria era talmente bassa che dovevo camminare piegato in due. Avanzai a lungo, sempre nella paura di aver sbagliato strada e con il pensiero che Thecla mi stesse aspettando altrove, invano.