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L’uomo verde mi fissò, e fu come se un’erba altissima avesse aperto gli occhi rivelando un aspetto umano. — Ti credo — disse. — Per quale motivo tu solo, fra tutte le centinaia di persone che entrano nella tenda, conosci la pietà?

— Io non conosco la pietà; ma mi è stato instillato il rispetto per la giustizia, e conosco abbastanza bene l’alcalde di questo villaggio. Un uomo verde è pur sempre un uomo; e se è schiavo, il suo padrone deve dimostrare come lo sia diventato e in che modo ne sia venuto in possesso.

— Sono uno stupido, penso, a fidarmi di te — disse l’uomo verde. — Eppure è così. Io sono un uomo libero, venuto dal futuro per esplorare la vostra epoca.

— Non è possibile.

— Il colore verde che tanto vi stupisce, è solo quella che voi chiamate schiuma degli stagni. Noi l’abbiamo modificata in maniera da poterla introdurre nel sangue, e così facendo abbiamo finalmente posto fine alla lunga lotta dell’umanità contro il sole. In noi, le minuscole pianticelle vivono e muoiono, e i nostri organismi se ne nutrono senza pretendere altro cibo. Le carestie e le fatiche necessarie per coltivare le piante sono finite per sempre.

— Ma ti serve il sole.

— Infatti — disse l’uomo verde. — E qui non ce n’è abbastanza. Nella mia epoca il giorno è più luminoso.

Quella semplice frase mi emozionò come non mi era più successo dal giorno in cui avevo visto per la prima volta la cappella scoperchiata nella Corte Rotta, alla Cittadella. — Allora il Nuovo Sole verrà, come è stato predetto — dissi. — E se stai dicendo la verità per Urth ci sarà una seconda possibilità.

L’uomo verde rovesciò la testa all’indietro e rise. Molto tempo dopo avrei sentito il suono che emette l’alzabo quando si aggira sui tavolieri innevati delle montagne; la sua risata è terribile, ma quella dell’uomo verde lo fu ancora di più, e io arretrai. — Non sei umano — dissi. — Adesso non lo sei, anche ammesso che un tempo tu lo fossi.

Rise ancora. — E pensare che avevo fiducia in te. Sono un essere sfortunato. Ero convinto di essermi ormai rassegnato a morire qui, in mezzo a gente che non è altro che polvere ambulante; invece al più piccolo filo di speranza la rassegnazione mi ha abbandonato. Io sono un vero uomo, amico. Sei tu a non esserlo; e fra pochi mesi io sarò morto.

Mi vennero in mente i suoi simili. Avevo visto molte volte gli steli gelati dei fiori estivi lanciati dal vento contro i mausolei della nostra necropoli. — Capisco. Stanno per arrivare i giorni caldi del sole e quando se ne andranno tu te ne andrai insieme a loro. Produci i semi finché sei in tempo.

L’uomo ritornò serio. — Tu non mi credi, e non riesci nemmeno a capire che sono un uomo come te, eppure mi compatisci. Forse hai ragione, e per noi è arrivato un nuovo sole, ma dal momento che è venuto lo abbiamo dimenticato. Se mai riuscirò a tornare nella mia epoca, parlerò di te agli altri.

— Se veramente vieni dal futuro, per quale motivo non riesci a farvi ritorno e salvarti?

— Perché sono incatenato, come puoi vedere. — L’uomo allungò la gamba per mostrarmi l’anello che gli avvolgeva la caviglia. La gamba color berillo era gonfia, come mi è capitato di vedere gonfia la corteccia di una pianta cresciuta attraverso un cerchio di ferro.

Il telone d’ingresso della tenda si sollevò e apparve l’imbonitore. — Sei ancora qui? Ci sono altri, fuori. — Fissò l’uomo verde con aria significativa e si ritirò.

— Allora ti devo congedare, altrimenti chiuderà lo sfiatatoio che lascia passare la luce del sole. Metto sempre in fuga i visitatori predicendo il loro futuro e adesso lo farò con te. Sei giovane e forte. Ma prima che questo mondo abbia girato dieci volte intorno al sole, tu sarai meno forte e non recupererai più la tua forza. Se avrai dei figli, avrai generato i tuoi nemici. Se…

— Basta! — dissi io. — Quella che mi stai predicendo è la sorte di tutti gli uomini. Rispondi sinceramente a una sola domanda e me ne andrò. Sto cercando una donna di nome Agia. Dove si trova?

L’uomo roteò per un momento gli occhi verso l’alto, mostrando sotto le palpebre due falci sottili di un verde pallido. Fu colpito da un leggero tremito; si alzò e allungò le braccia, protendendo le dita come ramoscelli, poi disse, lentamente: — Al di sopra del suolo.

Il tremito cessò e l’uomo tornò a sedersi: sembrava molto più vecchio e più pallido.

— Allora sei solamente un impostore — gli dissi, girandogli la schiena. — E io sono stato uno stupido ingenuo perché ti ho creduto, anche se solo per poco.

— No — sussurrò l’uomo verde. — Ascolta. Nel venire qui sono passato attraverso il vostro futuro e alcuni fatti mi sono rimasti impressi, anche se in maniera confusa. Ti ho detto solo la verità… e se veramente sei amico dell’alcalde di questo villaggio, ti dirò anche una cosa da riferire a lui, qualcosa che ho appreso dalle domande dei miei visitatori. Ci sono degli uomini armati che stanno cercando di liberare un tale di nome Barnoch.

Estrassi la mia cote dalla borsa che tenevo appesa alla cintura, la spezzai sulla sommità del palo a cui era legata la catena e gliene porsi una parte. L’uomo non capì subito che cosa fosse, poi vidi che comprendeva, perché sembrò irradiare una grande gioia, come se già si potesse godere la luce più intensa del suo giorno.

IV

IL MAZZO DI ROSE

Quando uscii dalla tenda dell’imbonitore, sollevai lo sguardo verso il sole. L’orizzonte occidentale aveva già raggiunto la metà del cielo ed entro un turno di guardia o anche meno sarebbe giunto il momento di fare la mia apparizione. Agia era scomparsa e ogni speranza di raggiungerla era andata perduta negli istanti frenetici che avevo trascorso correndo da una parte all’altra della fiera; ma nonostante tutto mi consolavano la profezia dell’uomo verde che, secondo la mia interpretazione, significava che io e Agia ci saremmo incontrati un’altra volta prima di morire, e il pensiero che, come aveva assistito all’apertura della casa murata, così sarebbe forse stata presente anche all’esecuzione di Morwenna e del ladro di bestiame.

Queste riflessioni mi tennero occupata la mente durante il ritorno alla locanda. Ma prima di raggiungere la camera che dividevo con Jonas, il ricordo di Thecla e della mia elevazione ad artigiano presero il sopravvento, suscitati dalla necessità di spogliarmi per rivestire la cappa di fuliggine della mia corporazione. Tanto grande era la forza dell’associazione esercitata da quell’abito quando era ancora appeso nella stanza e da Terminus est che era sempre nascosta sotto il materasso.

Quando ancora ero al servizio di Thecla, mi divertivo a prevedere gran parte dei discorsi che avrebbe fatto, specialmente l’inizio, basandomi sul dono che avevo per lei entrando nella sua cella. Se si trattava di qualche pietanza gustosa sottratta in cucina, per esempio, ne nasceva una descrizione dei pranzi nella Casa Assoluta e il genere di cibo che avevo portato rievocava addirittura le caratteristiche del pranzo descritto: in caso di carne, un pranzo di caccia con le grida e i barriti della selvaggina catturata viva che salivano dal recinto del macello, le conversazioni sui bracchetti, i falchi e i leopardi da caccia; in caso di dolci, Thecla raccontava un pranzo privato offerto da una delle grandi castellane per pochi amici, deliziosamente intimo e colorato dai pettegolezzi; in caso di frutti, una festa serale nell’immenso giardino della Casa Assoluta, illuminato da mille torce e animato da giocolieri, attori, ballerini e dai fuochi d’artificio.

Thecla mangiava frequentemente in piedi, camminando avanti e indietro per la cella, e reggeva il piatto con la mano sinistra mentre con l’altra gesticolava. — Così, Severian, zampillano nel cielo e riversano piogge di scintille verdi e violette, mentre quelle marroni rombano come il tuono!

Ma la sua povera mano non poteva mostrarmi in maniera soddisfacente l’ascesa dei razzi, perché il soffitto della cella non era molto più alto di lei.