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Ma quel giorno prestava poca attenzione anche al panorama. I suoi pensieri andavano ad altro. Se qualcuno giù al campo avesse saputo… ma nessuno sospettava nulla, ne era certo. Non potevano. Perché lui si era ben guardato dal parlarne.

La sua destinazione segreta si trovava a valle, lungo la sponda meridionale del fiume. Per raggiungerla doveva attraversare il ponte sospeso a pochi minuti dal campo. Si trattava di un ponte un po’ più lungo di un campo da football, abbastanza largo da consentire il passaggio di un mulo carico: un ponte prezioso, dato che era il solo mezzo per attraversare il Colorado per più di cento miglia a monte e a valle.

Le assi del ponte vibrarono cupamente quando Jake passò. Sotto, il fiume scorreva placido e profondo. Dopo il ponte il sentiero Kaibab confluiva nel canale scavato per il fiume, un canale ancora da completare. Aveva lavorato anche lui su quel tratto, lavorato duro per aiutare gli esperti a sistemare cariche qua e là oltre a spaccarsi la schiena scavando e sgombrando rocce e detriti con gli altri.

Anche se l’acqua rappresentava una necessità vitale in quel luogo torrido, Jake aveva evitato di chiedere in prestito una seconda borraccia. Se l’acqua fosse finita, ci sarebbe stato sempre il fiume. Ma per diverse miglia di sponda deserta il fiume scorreva incassato tra rocce taglienti e pericolosamente ripide, troppo sotto per potervi bere o anche solo raccogliere un po’ d’acqua con le mani. Cadervi significava dover sudare sette camicie per trovare un punto da cui risalire, e più avanti vi erano delle rapide piene di scogli a pelo d’acqua. Ma tutto questo faceva parte di quell’ambiente tanto impervio quanto affascinante.

Aveva percorso appena un centinaio di metri lungo il fiume, quando si fermò a una curva della pista. Con un lungo sospiro guardò cautamente verso il ponte sospeso per accertarsi che nessuno stesse attraversandolo. Non aveva alcun motivo di pensare che qualcuno fosse curioso di sapere dove andasse e cercasse pertanto di seguirlo, ma non si poteva mai sapere.

Ma ora ne era certo. Nessuno lo seguiva.

Accelerando il passo, Jake riprese il suo cammino.

Una volta tanto riuscì a provare una totale indifferenza verso la maestosa opera che lo circondava. Nella sua mente trovavano spazio solo le domande che lo tormentavano da una settimana. Per due domeniche di fila l’aveva trovata là: se solo ve l’avesse trovata ancora! E se ci fosse stata, forse stavolta sarebbe riuscito a convincerla.

Una volta terminato il percorso lungo il canale, la pista del fiume era più che altro questione di arrampicarsi e sudare cercando di non perdersi in quel terreno uniforme e riarso. Prima, in quel punto, non esisteva neppure un sentiero di capre, ma Jake vi era stato ormai abbastanza volte da aver tracciato una sorta di percorso tra le rocce.

Un’ora e mezzo dopo aver lasciato il campo si trovava parecchie miglia a valle e marciava speditamente nonostante il gran caldo e il sole a picco. In quel punto, il Colorado scorreva in una vera e propria forra profonda circa trecento metri e tanto stretta da nascondere alla vista le grandiose e immutabili pareti soprastanti e i lontani, frastagliati margini. Di quando in quando un canyon secondario confluiva nel principale da un lato o dall’altro del fiume. Molti di essi avevano anche un nome: tra gli altri c’erano lo Zoroaster canyon, il Bright Angel canyon e il Travertine canyon. I loro torrenti erano quasi sempre asciutti, ma in primavera quelli sul lato nord ribollivano di acque spumeggianti per il disgelo in corso sull’altopiano mentre, almeno stando ai ranger, le piogge estive li avrebbero fatti rivivere tutti per qualche settimana. Talvolta il corso di quei tributari era coperto di alberi e cespugli, indicando che l’acqua vi scorreva tutto l’anno alimentata da qualche sorgente.

Il passo di Jake e il suo battito cardiaco crebbero d’intensità quando giunse al familiare imbocco del piccolo canyon che cercava. Se aveva un nome, lui non lo conosceva. Era un canyon fresco e invitante in confronto alle scure, spente e perennemente ombreggiate rocce circostanti. Oltre la stretta apertura, il canyon (in quel punto poco più di un crepaccio con le pareti coperte da un’ombrosa vegetazione) saliva sinuoso verso il solenne profilo meridionale. Il torrente che lo aveva formato era solo un rigagnolo alto fino alle caviglie, ma l’acqua vi scorreva tutto l’anno gelida quanto le acque del Colorado stesso. E proprio il letto del torrente, che si apriva tra due colonne di pietra in cui la fantasia di Jake vedeva sempre due mostri intagliati, rappresentava il solo accesso alla parte più interna del crepaccio.

Ma dopo una decina di metri il cammino si faceva più facile per la presenza di un piccolo sentiero che correva parallelo al torrente. Da quel punto in poi non si faceva altro che salire, saltando spesso da un gigantesco masso a un altro disposti a mo’ di scala per qualche strana coincidenza. I suoi stivali restarono fradici per un po’, per poi asciugarsi all’aria secca e al sole cocente.

Mezz’ora dopo essere entrato nel canyon laterale, Jake stava arrampicandosi su per l’ultima di una lunga serie di balze. Davanti a lui si aprì un tratto di terreno verde e quasi pianeggiante, che percorse di fretta all’ombra dei salici e dei pioppi che vi crescevano. Qui la stretta gola si allargava un poco su entrambi i lati poiché aveva raggiunto uno strato roccioso più recente e più tenero chiamato, come aveva imparato al campo, strato di arenaria. E all’improvviso la sua marcia si arrestò, mentre dalla sua bocca usciva un profondo sospiro di sollievo. A meno di cinquanta metri di distanza vide e riconobbe una figura umana, la figura di una giovane donna che indossava un paio di jeans e una camicia. Camilla era là, quasi nel punto dove aveva immaginato di trovarla, intenta ad aspettarlo.

Quel giorno si era appollaiata su una comoda gobba di arenaria nella profonda ombra di una rupe, non lontano dal punto in cui il torrente precipitava in una serie di piccole cascate formate da diverse lingue di roccia. Anche a quella distanza Jake poté notare il sorprendente pallore della sua pelle. Ne avevano parlato la precedente domenica, e lei gli aveva spiegato che non poteva prendere il sole perché la sua pelle era tanto delicata da scottarsi in pochi minuti.

I lunghi e ondulati capelli rossi di Camilla si agitavano adorabili alla brezza che scendeva dalle pareti laterali del canyon. Nonostante sedesse all’ombra, nascondeva gli occhi dietro un paio di occhiali da sole. All’improvviso lei alzò una mano nascondendoli ancora di più, volgendo la testa verso di lui come se l’avesse sentito avvicinarsi nonostante la distanza e il fragore delle rapide.

Proprio come le ultime due domeniche (possibile che si conoscessero solo da due settimane?), lei sedeva dietro il suo cavalletto. Pennelli, fogli e barattoli di tempera erano sparsi sulle rocce circostanti.

Jake agitò un braccio per salutarla, venne a sua volta salutato e affrettò il passo per raggiungerla nonostante il sole bruciante. Camilla si alzò dal suo comodo sedile e mosse verso di lui fermandosi proprio al limite della zona d’ombra.

Nonostante gli occhiali scuri le nascondessero completamente gli occhi, Jake pensò di vedere qualcosa di strano nel modo in cui lei lo guardava. Ma forse era solo il modo in cui teneva la testa. Qualsiasi cosa fosse provocò in lui un attimo di ritrosia, di timidezza. Si fermò abbastanza vicino a lei da poter prendere tra le sue la piccola, candida mano che lei gli tese.