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— Hai mai sentito parlare di un uomo chiamato Edgar Tyrrel?

— No, direi proprio di no. Perché?

— Oh, non esiste alcuna ragione particolare per cui tu debba conoscerlo. È uno scultore, un uomo che vive facendo statue.

— So benissimo cos’è uno scultore, grazie.

— Scusami. Devi sapere che Edgar è abbastanza conosciuto tra gli addetti ai lavori. Non è famosissimo, ma molta gente lo conosce.

— E va bene. Allora vivi con questo Edgar. Scommetto che gli fai da modella.

Camilla non aveva nulla da dire su questo punto. Alzò invece il braccio con una certa grazia, indicando qualche punto quasi in verticale su di loro. — Un tempo viveva là sopra, in una casa costruita proprio sul ciglio del canyon vicino a Canyon Village. Vi ha vissuto per trent’anni. E poi un giorno ha lasciato la sua casa e la sua famiglia ed è sparito. Questo accadde prima che io lo incontrassi. A me ha detto che un giorno è sceso nel canyon e non ha mai più avuto voglia di risalire.

Camilla tacque, osservando Jake. Difficile per lui esserne certo a causa degli occhiali scuri, ma aveva l’impressione che lei gli stesse chiedendo di capire… o più che altro di capirla. C’era qualcosa sotto, qualcosa che lei non voleva dire apertamente.

Ma lui voleva sentirla raccontare tutto, dirgli chiaramente che cosa voleva da lui. — E così questo tizio ha mollato tutto ed è sparito all’improvviso.

— Proprio così. Lui dice di essersi ritirato dalla società umana.

— E questo quando è successo?

— Non lo so esattamente — replicò Camilla, esitando. — Qualche mese prima che lo incontrassi, almeno a sentire lui.

— Si sarà anche ritirato dalla società umana, ma è rimasto abbastanza socievole da vivere con te.

— Oh, è colpa mia come al solito — spiegò lei con una breve, secca risata. Lasciò la mano di Jake e sedette bruscamente. — Non so come spiegarti. È una lunga storia. Vestiamoci adesso. Ti porterò a vedere il posto dove vivo. Forse dopo capirai più facilmente.

Fino a quel momento la storia non suonava così complicata alle orecchie di Jake, che replicò: — Preferirei continuare a vedere ciò che mi stai mostrando adesso! — Ma Camilla era già in piedi, intenta a ripulirsi dalla sabbia e a raccogliere i vestiti. Lui sospirò e si alzò a sua volta.

Si vestì lentamente, osservando Camilla mentre chiudeva il cavalletto e raccoglieva le sue cose sparse tutt’intorno. — Mi dai una mano? — gli chiese. La brezza del fondo del canyon stava rinfrescando e cercava in tutti i modi di portarle via qualcosa, anche se lei aveva prudentemente fermato i suoi schizzi con piccoli sassi neri.

— Certo — rispose lui, cominciando col prendere i fogli di carta che rischiavano di volare via e infilandoli sotto il braccio con tutta la delicatezza necessaria a non piegarli. E, pensandoci bene, la storia di Camilla doveva essere vera. Non era possibile che si portasse giù tutta quella roba ogni volta che voleva dipingere: c’erano quattordici miglia da lì alla cima.

Avevano ormai raccolto quasi tutte le cose di Camilla quando lei gli chiese, come colpita da un improvviso pensiero: — Non hai detto a nessuno che dovevamo incontrarci, vero?

— Diavolo, no. Prova a raccontare a quella banda di disperati che una bella ragazza si aggira solitaria qui tra i canyon e vedrai cosa succede! Credi forse che voglia portarmeli tutti dietro?

— No, naturalmente no… Jake, guarda che l’acqua del torrente è molto meglio — commentò lei vedendolo bere dalla sua borraccia.

Lui fece spallucce e continuò a bere. — Bene. La riempirò qui allora, prima di tornare indietro.

— Dio mio! Sai una cosa? Ti avevo preparato dei panini e me ne stavo completamente dimenticando!

Adesso era come se Camilla volesse in qualche modo rimandare il momento di portarlo a casa sua, come se stesse cercano scuse per tirare in lungo la faccenda. O forse si era pentita di averne parlato.

Jake si era completamente scordato di avere uno stomaco, ma alla parola “panini” venne preso da un’autentica fame da lupo. Se Camilla voleva rimandare a un’altra volta la visita a casa sua, per lui andava bene.

Ma forse, pensò, lo voleva sazio e soddisfatto prima di portarselo a casa. Da qualche borsa lei produsse una scatola metallica con dei fiori in rilievo, come quelle che le bambine si portavano a scuola per conservarvi le merende, l’aprì e ne estrasse dei panini avvolti con cura in carta cerata, frutta e un thermos pieno di limonata.

Il pane si rivelò fatto in casa, i panini ripieni di prosciutto e formaggio. Seduto su una roccia, Jake mangiò e bevve con ottimo appetito. Proprio una gran giornata, visto che si era praticamente rassegnato a saltare la cena. Ma passare un pomeriggio così con una ragazza come quella valeva bene qualche crampo allo stomaco.

— Tu non mangi? — le chiese con la bocca piena. — Tieni, ne vuoi uno? — aggiunse, porgendole un piccolo involucro di carta cerata.

Camilla scosse la testa. — Non ho fame.

Jake non insistette. Si chiese vagamente se per caso era a dieta, anche se con un corpo come quello non vedeva a cosa potesse mai servirle.

Poi le chiese: — E da quanto tempo vivi in questo posto misterioso nel canyon? — Per diplomazia, o almeno così si disse, omise di precisare: “Con quello scultore”.

Camilla fece per rispondere, ma lasciò perdere per domandare invece con apparente noncuranza: — Sei mai stato a Canyon Village?

Lui annuì. — Certo. La prima volta che sono venuto qui, quattro mesi fa, ci hanno portato fin là in un autobus da Flagstaff per poi farci fare marciando il resto della strada. Non hai mai visto il nostro campo, qualche ora a monte da qui all’inizio del sentiero Kaibab? — chiese, dando un altro morso al panino.

Camilla scosse la testa.

Jake continuò. — Te lo farò vedere qualche volta. In quattro mesi sono salito in paese solo un paio di volte, per i week-end. Devi andare a dorso di mulo su per il sentiero del Bright Angel, o altrimenti fartela a piedi: una faticaccia solo per raggiungere quelle quattro miserabili case. — Se ricordava bene, c’erano circa una mezza dozzina di case in vista, inclusa la stazione ferroviaria dove terminava la linea da Santa Fe. E naturalmente l’hotel, tutto di tronchi d’albero, e qualche altra struttura sparsa tra gli alberi. — Insomma, perché mi chiedi di quel buco sull’altopiano?

— Anch’io sono scesa da là. Con Edgar, dopo averlo conosciuto in un bar di Flagstaff — spiegò Camilla, guardandolo da dietro gli occhiali scuri come per sfidarlo a commentare. Lui tacque.

Lei continuò: — Una di quelle case sull’altopiano era la sua. Cambiava modella molto spesso, fino a quando un giorno ne sposò una. Devi spostarti un po’ a ovest dalla fine della pista del Bright Angel per vedere la casa dove vivevano, e facilmente puoi mancarla anche se la cerchi.

Continuava a parlare di quel fantomatico Edgar Tyrrell, si disse Jake, per rimandare il momento di spiegargli il suo problema e ciò che voleva fargli fare. Quella decisione le costava molto sforzo, molto di più della decisione presa togliendosi i vestiti.

Con tono stranamente malinconico, lei aggiunse: — Saranno mesi che non vedo più il villaggio!

Poi, scuotendo la testa come per scacciare quel pensiero, chiese a Jake: — Hai finito di mangiare?

— Certo — fu la pronta replica. Tutta la faccenda stava incuriosendolo sempre più.

Lui chiuse la scatola, spargendo in giro le croste e le briciole per gli uccelli e i coyote, e la porse a Camilla. Poi i due si avviarono lungo lo stretto sentiero che saliva a monte. Camilla andava avanti e Jake la seguiva, portando diverse cose.

Non avevano percorso neppure cento passi che lei si voltò verso Jake e gridò, con una voce che tradì qualche tensione: — Ma lo sai che di tempo ce n’è fin troppo, qui in fondo al Grand Canyon?

— Cosa? — rispose lui, sbattendo le palpebre e riparandosi gli occhi per guardarla controsole. — Troppo tempo? Vuoi dire che non hai niente da fare?