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In ogni caso, Zane Gort era un tipo straordinario, d’una classe unica fra il popolo metallico. Era un robot indipendente che si dedicava soprattutto a scrivere romanzi d’avventure per gli altri robot; aveva una vasta conoscenza del mondo, una grande comprensione e un netto atteggiamento bruncio verso la vita (bruncio era l’equivalente robotico di “virile”) che lo rendevano unico su un milione.

Zane disse:

— Ho sentito dire, Gaspard, che voi scrittori umani state progettando uno sciopero… o un’azione anche più violenta.

— Non crederlo — gli assicurò Gaspard. — Heloise mi avrebbe informato.

— Sono contento di saperlo — disse educatamente Zane, con un fruscio poco convinto. Improvvisamente, una scarica elettrica saettò dalla sua chela destra fino alla fronte.

— Scusami — disse mentre Gaspard indietreggiava di scatto, involontariamente. — Ora devo scappare. Sono stato per quattro ore a lavorare sul mio nuovo romanzo. Ho messo il dottor Tungsteno in una situazione da cui non riuscivo a toglierlo. E adesso m’è venuta in mente una soluzione. Rrrrrr!

E si avviò lungo il viale come un lampo azzurro.

Gaspard proseguì, a passo tranquillo, chiedendosi vagamente che effetto poteva fare lavorare su un romanzo per quattro ore. Naturalmente, il mulino-a-parole poteva cortocircuitarsi, ma non era precisamente la stessa cosa. Era forse come essere invischiato in un problema di scacchi? O era piuttosto come le intense frustrazioni emotive che si riteneva avessero grandemente turbato la gente, perfino gli scrittori, nei brutti tempi antichi, prima della ipnoterapia degli ipertranquillanti e degli instancabili robot psichiatri?

Ma, in questo caso, come erano le frustrazioni emotive? In verità, c’erano momenti in cui Gaspard pensava di aver condotto un’esistenza un po’ troppo tranquilla, un po’ troppo bovina perfino per uno scrittore.

2

Il nebuloso rimuginare di Gaspard venne interrotto dalla grande edicola che segnava la vita di Viale del Lettorato. Era scintillante e affascinante come un albero di Natale, e lo faceva sentire come un ragazzino di sei anni in procinto di essere visitato da Papà Natale.

L’aspetto generale dell’interno dei volumetti non era cambiato molto in due secoli: era ancora stampato in caratteri neri su carta chiara. Ma le copertine erano meravigliosamente fiorite. Ciò che nella metà del Ventesimo secolo era stata soltanto una intenzione aveva proliferato ed era giunta alla sua piena fioritura.

Grazie alla magia della stereostampa e della riproduzione a quattro tempi, voluttuose fanciulle grandi come bamboline si spogliavano interminabilmente, indumento per indumento, o passavano ripetutamente, in abiti trasparenti, davanti a finestre illuminate. Mostri e criminali sogguardavano con espressione maligna, filosofi e ministri del culto si mostravano con attenzione benigna, in molte espressioni. I cadaveri macchiati di sangue crollavano al suolo, i ponti precipitavano, gli uragani sferzavano gli alberi, le astronavi saettavano attraverso finestrelle di dodici centimentri per dodici nell’infinito stellato.

Tutti i sensi venivano presi d’assalto: le orecchie da un flusso di lieve musica fatata, affascinante come il canto delle sirene e punteggiata dallo schioccare di lenti baci, dai colpi di scudiscio su carne nubile, dal sommesso sgranare delle pallottole di mitra, dallo spettrale ruggito delle bombe atomiche.

Le narici di Gaspard coglievano folate di pranzi a base di tacchino, fuochi di legno duro, aghi di pino, boschetti di aranci, polvere da sparo, un lievissimo accenno di marijuana, muschio e profumi alla moda, come il Fer de Lance e il Nebula Numero Cinque; e sapeva che, se avesse teso la mano e avesse toccato ogni singolo libro, sarebbe stato come toccare velluto, visone, petali di rosa, cuoio di Cordova, acero lucidato, bronzo patinato, sughero marino venusiano, o calda pelle di giovane donna.

Per un momento l’idea di tre ore di intimità con Heloise Ibsen non gli parve più eccessiva. Avvicinandosi ai volumetti affollati che in realtà erano disposti come i palloncini su un albero di Natale (a eccezione dell’assortimento, austeramente modernista, dei libribobina per i robot), Gaspard rallentò la sua già tranquilla andatura per protrarne il piacere dell’anticipazione.

A differenza di quasi tutti gli scrittori della sua epoca, Gaspard de la Nuit godeva realmente della lettura dei libri, specialmente della produzione quasi ipnotica dei mulini-a-parole, con i suoi solidi nomi quadridimensionali e i suoi connettivi elettrici.

Ora stava pensando a due piaceri distinti che l’attendevano: scegliere e acquistare un nuovo volumetto da leggere quella sera e vedere in mostra, ancora una volta, il suo primo romanzo, Passaporto per la passione, caratterizzato soprattutto dalla fanciulla che, sulla copertina, si toglieva di dosso sette lievi indumenti colorati… tutto l’arcobaleno. Sulla controcopertina c’era una stereofoto di lui stesso, con indosso la giacca di velluto, sull’adeguato sfondo d’un salotto vittoriano, mentre si chinava su una splendida ragazza dalla pettinatura piena di spilloni lunghi una trentina di centimetri e con un bustino di merletto sbottonato (particolare interessantissimo) per tre quarti. Sotto all’immagine era scritto:

“Gaspard de la Nuit sta raccogliendo materiale per il suo opus magnum”.

Più sotto c’era questa biografia:

“Gaspard de la Nuit è un lavapiatti francese che ha fatto anche lo steward su un’astronave, ha aiutato un procuratore d’aborti (in realtà cercava di raccogliere delle prove per la Sùreté), ha fatto il tassista a Montmartre, il valletto di un visconte dell’ancien regime, ha potato gli alberi nelle foreste di pini del Canada francese, ha studiato legge divorzistica interplanetaria alla Sorbona, è stato missionario ugonotto presso i Marziani Neri e suonatore di pianoforte in una maison de joie. Sotto l’influenza della mescalina ha rivissuto le infami esistenze di cinque procuratori di femmine parigini. Ha trascorso quasi tre anni in una clinica per malati di mente, e per due volte ha tentato di uccidere a percosse un’infermiera. Come perfetto subacqueo nella tradizione immortale del suo compatriota capitano Cousteau, ha assistito ai sadici riti sessuali sottomarini dei sirenidi di Venere. Gaspard de la Nuit ha scritto Passaporto per la passione in due giornate e un terzo, su un Dominatore di Parole dell’Editrice Razzi fornito di Avverbi Fluttuanti e di Iniezione di Suspense a Cinque Secondi. Ha revisionato il romanzo in un Superjuicer della Simon. Per gli straordinari risultati conseguiti nella confezione della prosa, de la Nuit è stato premiato dal Presidio degli Editori con un viaggio di tre notti nell’antica Manhattan Esotica Inferiore. Ora sta raccogliendo materiale per il suo secondo romanzo che, ci dice, sarà intitolato Abbraccio ai peccatori”.

Gaspard conosceva a memoria quelle parole e sapeva anche che erano assolutamente false, se si eccettuava il fatto che la mulinatura del polpettone sessuale gli aveva richiesto sette turni. Non aveva mai lasciato la Terra, non aveva mai visitato Parigi, non aveva mai praticato sport più strenui del ping-pong, non aveva mai avuto un lavoro più esotico di quello di commesso in un grande magazzino, e non aveva mai avuto neppure la più lieve e trascurabile psicosi.

In quanto a “raccogliere materiale”, ecco, il suo ricordo più vivido di quella seduta in cui aveva fatto la stereografia per il volumetto erano le accecanti stereoluci e la modella lesbica che si lamentava continuamente del suo fiato pesante e faceva mosse invitanti con il suo torso snello e irrequieto verso la fotografa che era un tipo piuttosto mascolino. Naturalmente adesso c’era Heloise Ibsen, e Gaspard doveva ammettere che contava almeno per tre donne.

Sì, quelle storie erano false e Gaspard le conosceva a memoria, eppure era un piacere rileggerle, all’edicola, riassaporando ogni singola sfumatura del loro fascino disgustoso e lusinghiero.