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— Sapete, a guardare in terra si trovano tanti bottoni, — spiegò.

E anche quei ladri se ne andarono per i fatti loro.

Così ogni notte il sor Mirtillo era svegliato dai ladri, che suonavano il campanello, gli facevano una visita e se ne andavano senza bottino, ma contenti di aver conosciuto una persona tanto gentile.

Capitolo VI

II barone Melarancia, con Fagiolone porta-pancia

E' tempo ormai che diamo un'occhiata al Castello delle Contesse del Ciliegio, le quali, come avrete già capito, erano le padrone di tutto il villaggio, delle case, della terra, della chiesa e del campanile.

Il giorno che Cipollino fece trasportare nel bosco la casa del sor Zucchina, al castello c'era una gran confusione, perché erano arrivati i parenti.

Ne erano arrivati esattamente due: il barone Melarancia e il duchino Mandarino. Il barone Melarancia era cugino del povero marito di Donna Prima. Il duchino Mandarino, invece, era cugino del povero marito di Donna Seconda. Il barone Melarancia aveva una pancia fuori del comune: cosa logica, del resto, perché non faceva altro che mangiare dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina, frenando le mascelle solo qualche oretta per fare un pisolino.

Quando era giovane, il barone Melarancia dormiva tutta la notte, per digerire quello che aveva mangiato di giorno, ma poi si era detto:

— Dormire è tutto tempo perso: mentre dormo, infatti, non posso mangiare.

E così aveva deciso di mangiare anche di notte e di ridurre a un'ora il tempo destinato alla digestione. Da tutti i suoi possedimenti, che erano molti e sparsi in tutta la provincia, partivano continuamente carovane cariche di cibarie di ogni genere per saziare la sua fame. I poveri contadini non sapevano più cosa mandargli: uova, polli e tacchini, ovini, bovini e suini, frutta, latte e latticini, il barone mangiava tutto quanto in un momento. Aveva due servitori incaricati di ficcargli in bocca quel che arrivava, e altri due che davano il cambio ai primi quando erano stanchi.

Alla fine i contadini gli mandarono a dire che non c'era più niente da mangiare.

— Mandatemi gli alberi! — ordinò il barone.

I contadini gli mandarono gli alberi, e lui mangiò anche quelli, con le foglie e le radici, intingendoli crudi nell'olio e nel sale.

Quando ebbe finito gli alberi, cominciò a vendere le sue terre e con il ricavato comprava altra roba mangereccia. Quando ebbe venduto le terre e fu diventato povero in canna, scrisse una lettera alla Contessa Donna Prima e si fece invitare al Castello.

Donna Seconda, a dire la verità non era tanto contenta:

— Il barone darà fondo alle nostre ricchezze: si mangerà il nostro castello fino ai comignoli.

Donna Prima cominciò a piangere:

— Tu non vuoi ricevere i miei parenti. Povero baroncino, tu non gli vuoi bene.

— D'accordo, — disse allora Donna Seconda — invita pure il barone. Io inviterò il duchino Mandarino, cugino del mio povero marito.

— Invitalo pure, — rispose sprezzante Donna Prima, — quello non mangia nemmeno quanto un pulcino. Il tuo povero marito, pace al suo nocciolo, aveva parenti piccoli e magri, che quasi non si vedono a occhio nudo. Il mio povero marito invece, pace al suo nocciolone, aveva parenti grandi e grossi, visibili a grande distanza.

Il barone Melarancia era davvero visibile a grande distanza: a distanza di un chilometro si poteva scambiarlo per una collina.

Si dovette subito provvedere per un aiutante che lo aiutasse a portare la pancia, perché da solo non ce la faceva più. Pomodoro mandò a chiamare il cenciaiolo del paese, ossia Fagiolone, perché portasse il suo carretto. Fagiolone non trovò il carretto, perché lo aveva preso suo figlio Fagiolino, come sapete, e così si portò dietro una carriola a mano, di quelle che adoperano i muratori per portare la calcina.

Pomodoro diede una mano al barone a sistemare la sua pancia dentro la carriola, poi gridò:

— Arri, là!

Fagiolone afferrò le stanghe della carriola e tirò con tutte le sue forze, ma non la spostò di un centimetro.

Furono chiamati altri due servitori e tutti insieme riuscirono a far fare al barone una passeggiata nei viali del Castello. Da principio non stavano attenti ai sassi: la ruota della carriola andava a cercare i sassi più grossi e puntuti del viale, come se lo facesse apposta, e il povero barone riceveva nella pancia certi colpi che lo facevano sudare.

— State attenti ai sassi! — si raccomandava giungendo le mani.

Fagiolone e i due servitori stavano attenti ai sassi e la carriola andava a finire nelle buche.

— State attenti alle buche, per l'amor del cielo! — supplicava il barone.

Mentre lo portavano a spasso, però, non dimenticava la sua occupazione preferita e sgranocchiava un tacchino arrosto che Donna Prima gli aveva fatto preparare come antipasto.

Anche il Duchino Mandarino diede un bel da fare al Castello.

La povera Fragoletta — cameriera personale di Donna Seconda — non finiva mai di stirargli le camicie. Quando gliele riportava, il Duchino torceva il naso, si metteva a piangere e balzava in cima all'armadio, gridando:

— Aiuto! Aiuto!

Accorreva Donna Seconda con le mani nei capelli:

— Mandarino, che cosa ti fanno?

— Non mi stirano bene le camicie, e io voglio morire!

Per convincerlo a restare in vita Donna Seconda gli regalò tutte le camicie di seta del suo povero marito.

Il duchino Mandarino saltò giù dall'armadio e cominciò a provarsi le camicie.

Dopo un poco lo si udì nuovamente gridare:

— Aiuto! Aiuto!

Donna Seconda accorse con il batticuore:

— Cugino Mandarino, che cosa ti fanno?

— Ho perso il bottone del colletto e non voglio più stare al mondo!

Questa volta si era arrampicato in cima allo specchio e minacciava di buttarsi a capofitto sul pavimento.

Per farlo chetare Donna Seconda gli regalò tutti i bottoni del suo povero marito, che erano d'oro, d'argento e di pietre preziose.

Prima di sera, Donna Seconda non aveva più gioielli, il Duchino Mandarino aveva ammassato parecchi bauli di roba e si fregava le mani soddisfatto.

Le Contesse cominciavano ad essere molto preoccupate per quei loro parenti così voraci, e sfogavano l'irritazione sul povero Ciliegino, il loro nipotino, orfano di padre e di madre.

— Mangiapane a tradimento! — lo sgridava Donna Prima, — vai subito a fare i compiti.

— Li ho già fatti.

— Fanne degli altri! — ordinava severamente Donna Seconda.

Ciliegino, ubbidiente, andava a fare degli altri compiti: ogni giorno ne faceva dei quaderni intieri, in una settimana ne faceva una montagna di quaderni.

Quel giorno, le Contesse non finivano mai di fargli fare dei nuovi compiti.

— Che cosa fai in giro, bighellone?

— Vorrei fare una passeggiata nel parco.

— Nel parco ci passeggia il barone Melarancia, non c'è posto per i fannulloni come te. Va' subito a studiare la lezione.

— L'ho già studiata.

— Studiane un'altra.

Ciliegino, ubbidiente, andò a studiare un'altra lezione: ogni giorno ne studiava centinaia e centinaia. Aveva già letto tutti i libri della biblioteca del Castello.

Ma se le Contesse lo vedevano con in mano un libro subito prendevano a sgridarlo:

— Posa quei libri, incosciente. Non vedi che li consumi?