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Beynes: Via, Colyns, non essere ingenuo, dovresti saperlo benissimo. C’è una ricompensa ingente per qualsiasi manufatto che potrebbe portare gli Erthumoi sulle tracce degli ex-gi. Eravamo uomini d’affari, innanzitutto. Riuscendo a trovare su Mecca qualcosa che valesse la pena di recuperare, ci saremmo potuti arricchire tutti. Inoltre non sarebbe nemmeno stato necessario rivelare il vero luogo di provenienza dei manufatti. Avremmo potuto dire di avere fatto la scoperta su un pianeta o una luna qualsiasi di uno dei tantissimi sistemi vicini. E dato che sapevamo che i Pellegrini Lontani visitavano il sistema di Epsilon Indi solo una volta nel corso dell’anno siderale, le probabilità che i Locriani scoprissero che eravamo stati là erano praticamente zero. Almeno, pensavamo di avere tutto il tempo necessario per trovare quello che volevamo e filar via.

Colyns: Dunque credevate che fosse il delitto perfetto.

Beynes: Non lo chiamerei delitto, no. Più che altro era l’occasione giusta per un affare redditizio.

Quando il Capital Explorer raggiunse Mecca, il capitano Francisco era ubriaco; niente di insolito, anche se era un comportamento offensivo nei confronti degli uomini in plancia. Non appena il mercantile era uscito dall’iperspazio all’eliopausa di Epsilon Indi nella fascia periferica del sistema di cinque mondi, il capitano aveva affidato il ponte di comando al primo ufficiale, era sceso in cabina e aveva aperto la sua prima bottiglia di vino mentre la nave penetrava nel sistema.

Otto ore dopo, quando il timoniere Ahmad annunciò che erano in orbita standard attorno a Epsilon Indi II, Francisco era ancora cosciente ma ubriaco fradicio. Tornò barcollando in plancia, disse a Beynes di togliersi dal suo seggiolino, quindi ordinò di preparare la navetta da sbarco e di formare una squadra di sei uomini.

L’ironia della situazione non sfuggì a Beynes; avevano raggiunto Epsilon Indi II seguendo delle indicazioni fornite da un ubriaco, e adesso si accingevano a scendere sul pianeta sotto la guida di un altro ubriaco.

— Se il recupero sarà abbastanza redditizio — mormorò in seguito a D’Lambert mentre si trovavano nel compartimento della navetta e osservavano i robot scavatori che entravano nella stiva del mezzo da sbarco — dovremmo prendere in considerazione l’idea di rilevare le azioni di Francisco.

L’ufficiale scientifico sorrise, accarezzandosi la barba. — Tieni a freno la lingua, Arne — disse sottovoce. — Se continui a parlare così, potrebbe cominciare a sembrare un ammutinamento.

— Ammutinamento? — Beynes sogghignò e scosse la testa. — Preferisco considerarla una modifica della nostra posizione contrattuale.

Essendo un mercantile indipendente, il Capital Explorer era di proprietà dell’equipaggio. Una volta coperte le spese generali della nave, gli utili venivano divisi in base al numero di azioni che ogni membro dell’equipaggio possedeva. Francisco era capitano del Capital Explorer non tanto per l’esperienza, quanto per il fatto di possedere il pacchetto azionario maggiore. Ma Beynes e D’Lambert insieme possedevano una quota pari a quella di Francisco. Non solo, Beynes aveva all’attivo lo stesso numero di balzi iperspaziali di Francisco e, a differenza del capitano, ii senso del comando del primo ufficiale non annegava in una bottiglia. Se quel viaggio fosse stato abbastanza proficuo, probabilmente avrebbero potuto rilevare le azioni del capitano Francisco. E da come erano andate ultimamente le cose per il Capital Explorer, Francisco avrebbe dovuto essere in pensione da un pezzo… per trascorrere le sue giornate in stato comatoso sul pavimento della birreria di qualche spazioporto, probabilmente. Non c’era molta differenza tra Francisco e Sedric, pensandoci bene.

D’Lambert osservò il capitano con disprezzo. Panciuto e non rasato, si aggirava borioso nel compartimento, urlando ordini inutili agli uomini che stavano preparando la navetta per il volo. — Non che sia una idea malvagia, in qualsiasi modo tu voglia chiamare la cosa — commentò cupo. — Naturalmente, se pensi che il capitano sia sbronzo adesso, aspetta solo che siamo sul pianeta.

— Eh? — Beynes guardò l’ufficiale scientifico. — Cosa intendi dire?

— L’atmosfera.

— Cos’ha l’atmosfera? Non avevi detto che era ossigeno-azoto?

— Infatti — confermò D’Lambert. — Ma la pressione media è di soli sessantanove torr. Un po’ scarsa per gli Erthumoi. — Indicò con un cenno del capo l’ultimo robot scavatore che stava salendo pesantemente la rampa della navetta. — È per questo che ho raccomandato di portare i robot. Saremo tutti un po’ storditi laggiù, e il lavoro manuale sarà già fin troppo duro.

Beynes bofonchiò. — Ma immagino che l’atmosfera vada bene per i Locriani…

D’Lambert scosse la testa. — No — replicò. — Ecco cos’ha di strano questo pianeta. L’atmosfera per noi sarà anche un po’ rarefatta, ma per i Locriani è ancora troppo densa. E la percentuale di neon è leggermente scarsa per i loro gusti. Oh, certo, i Locriani potrebbero vivere senza respiratore, là… però sarebbero quasi perennemente inebetiti. — Si strinse nelle spalle. — Non capisco.

In effetti era strano. Epsilon Indi II ruotava attorno a una nana arancione di classe K5, in tutto simile al sole locriano, ma era a quasi a cinquantamila anni luce dal mondo d’origine dei Locriani che si trovava nel settore galattico di Cygnus. I Pellegrini Lontani avevano percorso una distanza considerevole per colonizzare un pianeta ai limiti dell’abitabilità per la loro razza. Tuttavia, l’esplorazione strumentale della superficie brulla del pianeta condotta da D’Lambert aveva individuato nei pressi dell’equatore un ammasso indistinto di oggetti che erano indubbiamente artificiali. L’analisi non aveva rivelato la presenza di esseri viventi — senza dubbio si trattava di un insediamento abbandonato — eppure sembrava che i Locriani avessero vissuto su quel pianeta deserto una volta. Ma perché proprio lì? La cosa non aveva…

Il comunicatore che portava alla cintura ronzò, interrompendo le sue riflessioni. Beynes lo staccò e lo accostò al viso. — Primo ufficiale — disse.

— Arne, sono Ahmad. — La voce del timoniere sembrava molto turbata. — Abbiamo un problema.

Mentre Ahmad parlava, Beynes notò che il capitano Francisco, che si trovava a breve distanza, aveva alzato lo sguardo sentendo il suono del comunicatore del primo ufficiale. Aveva un’espressione sospettosa, il capitano, e stava già cominciando a muoversi barcollando verso Beynes e D’Lambert. «Fantastico» pensò Beynes. Senza dubbio il timoniere aveva contattato il primo ufficiale perché sapeva che il capitano era troppo ubriaco per affrontare in modo responsabile qualsiasi problema; malgrado quell’intervento accorto, però, Francisco voleva immischiarsi. E non c’era nulla da fare per evitarlo…

— Di che si tratta, sentiamo — disse Beynes, mentre D’Lambert si avvicinava un po’ per origliare.

— I sensori hanno appena localizzato un satellite locriano in orbita bassa — riferì Ahmad. — Non l’abbiamo scoperto prima perché era nascosto dal pianeta rispetto alla nostra posizione orbitale, ma spostandoci sul lato opposto lo abbiamo raggiunto. Non appena lo abbiamo individuato, l’ufficiale delle comunicazioni mi ha detto che il satellite ha trasmesso un segnale iperspaziale su una frequenza locriana. Cattive notizie, Arne. Credo che sia una sentinella.

— Maledizione! — sibilò Beynes. Se il satellite locriano era una sentinella automatica, probabilmente in quel momento i Locriani stavano scoprendo che una nave non identificata stava penetrando illegalmente nel loro territorio.

Lanciò un’occhiata a D’Lambert; l’ufficiale scientifico, silenzioso, scosse il capo. Erano nei guai.

— Okay, Ahmad — disse Beynes. — Annulleremo lo sbarco. Voglio che prepari i motori per una partenza rapida e riprogrammi i computer per un iperbalzo nel sistema più vicino nel raggio di un parsec. Se…