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A mezzogiorno, cominciò veramente a preoccuparsi e mandò una macchina a casa di Stormgren. Dieci minuti più tardi, l’urlo della sirena di un’auto della polizia che percorreva velocemente la Roosevelt Drive lo fece sussultare. Le agenzie di stampa erano evidentemente in buoni rapporti con i poliziotti di quell’autopattuglia perché, mentre ancora Van Ryberg stava guardando l’auto dalla finestra, la radio già annunciava al mondo la notizia che lui non era più semplicemente il Vice Segretario, ma il facente funzione di Segretario Generale delle Nazioni Unite.

Se Van Ryberg avesse avuto meno guai sulle spalle, avrebbe trovato interessante studiare le reazioni della stampa alla scomparsa di Stormgren. In quegli ultimi mesi, i giornali del mondo s’erano nettamente divisi in due fazioni. La stampa occidentale, in complesso, approvava il progetto di Karellen: rendere gli uomini cittadini del mondo. I Paesi orientali, d’altra parte, stavano vivendo violente crisi di orgoglio nazionale e pensavano di essere stati derubati dei loro vantaggi. Le critiche contro i Superni erano generali e violente, in questi Paesi. Dopo un periodo iniziale di estrema prudenza, la stampa si era accorta di potersi scagliare contro Karellen come e quanto voleva perché tanto non sarebbe successo niente. Ora stava superando se stessa. In massima parte, gli attacchi, anche se verbosissimi, non erano la voce della massa popolare. Lungo quelle frontiere che stavano per scomparire per sempre, le guardie confinarie erano state raddoppiate, ma ogni uomo di sentinella guardava gli altri con un’amicizia ancora inespressa. Politici e militari potevano andare su tutte le furie, ma i milioni di uomini che aspettavano in silenzio avevano la sensazione precisa che finalmente un lungo e cruento capitolo della storia umana stava per concludersi. E ora Stromgren era scomparso. E nessuno poteva dire dove. Il tumulto si placò di colpo, appena il mondo si rese conto di aver perduto il solo uomo mediante il quale i Superni, per chi sa quali loro strani motivi, parlavano alla Terra. Stampa e radio parvero colti da paralisi, ma nel silenzio si poteva sentire alta la voce della Lega della Libertà ansiosa di proclamare la sua innocenza.

Tutto era buio quando Stormgren si svegliò. Per un istante, intorpidito dal sonno, non ci fece caso. Poi, tornato perfettamente lucido, si levò a sedere di scatto e cercò l’interruttore accanto al letto. Nel buio, la sua mano sfiorò una parete di pietra, fredda al tatto. Stormgren si sentì gelare corpo e cervello paralizzati dall’inatteso. Quindi, non credendo ai suoi sensi, si mise in ginocchio sul letto e cominciò a esplorare con la punta delle dita la parete così penosamente sconosciuta. Era in quella posizione da qualche istante, quando udì uno scatto e tutta una sensazione di tenebra scivolò di lato. Stormgren vide la sagoma d’un uomo stagliarsi su uno sfondo vagamente luminoso. Poi l’apertura si richiuse e tornò il buio. Tutto era avvenuto con tale rapidità che lui non aveva avuto il tempo di vedere niente della camera in cui si trovava. Un istante più tardi, fu abbagliato dalla luce di una potente torcia elettrica. Il raggio indugiò sulla sua faccia per qualche secondo, quindi scese a illuminare il letto: un materasso sorretto da nude tavole, come poté vedere adesso.

Dalle tenebre uscì una voce cortese, che disse in inglese perfetto, ma con un accento che Stormgren non poté identificare subito: «Bene, signor Segretario… lieto di vedervi sveglio. Mi auguro che vi sentiate del tutto a posto.»

Qualcosa nell’ultima frase attirò l’attenzione di Stormgren e gli fece morire sulle labbra le domande che, furibondo, stava per fare. Guardò nel buio verso la voce, e disse, calmo: «Quanto tempo sono rimasto fuori conoscenza?»

L’altro rise.

«Alcuni giorni. Ci avevano garantito che non ci sarebbero stati postumi. Sono lieto di constatare che è vero.»

Un po’ per guadagnare tempo, un po’ per saggiare le proprie reazioni, Stormgren mise le gambe giù dal letto.

Indossava ancora il pigiama, stazzonato da far pietà e diventato incredibilmente sporco. Appena si mosse, ebbe un capogiro, non tale da preoccuparlo ma sufficiente a rivelargli che l’avevano drogato. Si voltò verso la luce.

«Dove sono?» chiese seccamente. «C’entra per caso Wainwright in que-sta storia?»

«Andiamo, non vi agitate» rispose la figura in ombra. «Non stiamo a parlare di questo, adesso. Immagino che abbiate fame. Vestitevi e venite a mangiare qualcosa.»

Il cono di luce si mosse per la camera, e per la prima volta Stormgren ebbe un’idea delle sue dimensioni. Non si poteva nemmeno definirla una camera, perché le pareti erano di roccia, levigata alla meglio. Doveva essere nel sottosuolo, forse a grande profondità e, se era rimasto svenuto per parecchi giorni, in chi sa quale regione del mondo.

La luce della torcia illuminò gli indumenti disposti alla meglio sopra una cassa da imballaggio.

«Mi auguro che vadano bene» disse la voce nell’ombra. «Quello della lavatura e stiratura è un grosso problema, qui, perciò abbiamo preso un paio dei vostri vestiti e una mezza dozzina di camicie.»

«Molto gentile da parte vostra» disse Stormgren senza ironia.

«Non sappiamo come scusarci per la mancanza di mobili e di luce elettrica. Questo posto offre molti vantaggi, ma purtroppo manca di comodità.»

«Quali vantaggi?» volle sapere Stormgren, mentre s’infilava una camicia. Il contatto familiare della stoffa fu stranamente rassicurante.

«Be’… vantaggi» disse la voce. «A proposito, giacché dovremo con ogni probabilità passare parecchio tempo assieme farete bene a chiamarmi Joe.»

«Nonostante la vostra nazionalità… siete polacco, non è vero?» ribatté Stormgren «credo di saper pronunciare il vostro nome vero: non sarà certo più difficile di certi nomi finnici.»

Ci fu una breve pausa, e la luce vacillò per un secondo. «Avrei dovuto aspettarmelo» disse Joe in tono rassegnato. «Dovete avere una gran pratica di queste cose.»

«È un passatempo utile per un uomo nella mia posizione. A occhio e croce direi che siete stato allevato negli Stati Uniti, ma non avete lasciato la Polonia prima di…»

«Credo che possa bastare» lo interruppe Joe in tono fermo. «Vedo che avete finito di vestirvi… perciò, se volete…»

La porta si aprì mentre Stormgren vi si avvicinava, lievemente sollevato dalla sua piccola vittoria. Joe si scostò per lasciarlo passare, e Stormgren si chiese se il suo carceriere fosse armato. Ma lo era quasi sicuramente. Comunque, lì attorno dovevano esserci altri della banda. Il corridoio era scarsamente illuminato da lampade a olio sistemate a lunghi intervalli, e per la prima volta Stormgren poté vedere Joe bene in faccia. Era sulla cinquantina e doveva pesare almeno cento chili. Tutto in lui era sproporzionatamente massiccio, smisurato, dalla divisa mimetizzata che poteva provenire da una mezza dozzina di eserciti, all’anello enorme, col sigillo, all’anulare della sinistra. Un uomo di quelle proporzioni probabilmente non aveva bisogno di portare la rivoltella. Non doveva essere difficile identificarlo, pensò Stormgren, qualora fosse uscito da quel sotterraneo. Si sentì depresso, però, all’idea che anche Joe doveva esserne perfettamente consapevole. Le muraglie intorno, anche se qua e là ricoperte di intonaco, erano soprattutto roccia viva. Evidentemente si trovavano in qualche miniera abbandonata, un posto ideale come prigione. Fino a quel momento, Stormgren non si era molto preoccupato per la sua sorte. Aveva pensato che, qualunque cosa fosse accaduta, i Superni lo avrebbero trovato e salvato grazie alle loro immense risorse. Ma adesso non ne era più tanto sicuro. Era scomparso ormai da parecchi giorni e non era successo niente. Doveva esserci un limite anche al potere di Karellen, e se lui ora si trovava sepolto nel sottosuolo in una lontana parte del mondo, forse nemmeno la scienza dei Superni poteva rintracciarlo. Due altri uomini erano seduti a tavola, in un locale spoglio, scarsamente illuminato. Quando Stormgren entrò, Io guardarono con interesse e addirittura con rispetto. Uno di loro spinse un piatto di panini imbottiti verso il Segretario che accettò con avidità. Per quanto affamato, avrebbe preferito un pranzo meno frugale, ma era chiaro che nemmeno i suoi carcerieri avevano mangiato meglio. Mentre mangiava, osservò con rapide occhiate i tre uomini che gli sedevano intorno. Joe era di gran lunga il tipo più interessante, e non soltanto per la corporatura. Era chiaro che gli altri erano dei subalterni, individui insignificanti, la cui origine Stormgren avrebbe identificato appena si fossero messi a parlare. Comparve del vino versato in un bicchiere non esattamente pulito, e Stormgren lo bevve per buttar giù l’ultimo panino. Ora che aveva mangiato, sentiva di tenere in mano la situazione. Si rivolse al gigantesco polacco.