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«La vita è breve. Si dava il caso che io avessi un vantaggio negato alla maggior parte degli uomini. Negli anni Cinquanta mio padre aveva investito i suoi soldi in società di computer. Ero già molto ricco, ma anche frustrato al punto da esser pronto a rischiare tutto. Voi, ora, cominciate a vedere alcuni risultati di tutto questo nella forma del PSS-One, quello che la stampa, a quanto sembra, preferisce chiamare Salter Station. Potrei ospitare facilmente, lassù, almeno duecento persone.

«Ma questo è soltanto un inizio. Malgrado la Natura possa aborrire il vuoto, la moderna tecnologia lo ama. Lo ama, sì, e ama un ambiente a microgravità. Intendo usarli entrambi al massimo. Costruirò una successione di grandi stazioni spaziali, abitate in maniera permanente, utilizzando il materiale degli asteroidi. Se qui, oggi, una qualsivoglia nazione desidera prendere in affitto spazio o impianti da me, o acquistare i miei prodotti realizzati nello spazio, sarò lieto di prendere in concreto esame la cosa, a tariffe commerciali. Inoltre invito gli uomini di tutte le nazioni della Terra a unirsi a me. Siamo pronti a intraprendere tutti i passi necessari perché la razza umana cominci l’esplorazione del nostro universo.

Era ormai passata mezzanotte quando de Vries finì di leggere per la seconda volta l’intera dichiarazione, per poi saltare di nuovo al commento con il quale Salter Wherry aveva concluso il suo discorso. Erano parole che erano rimaste legate al suo nome in maniera permanente, e gli avevano assicurato l’impotente amicizia di ogni nazione sulla Terra:

— La conquista dello spazio è un’impresa troppo importante per poterla affidare a dei governi.

De Vries scosse la testa. Salter Wherry era un uomo formidabile, pronto a sfidare i governi del mondo… è a vincere. Judith era attrezzata per giocare nella categoria di Wherry?

Chiuse la cartella. Il suo volto paffuto era del tutto serio. Trasferirsi sulla Stazione Salter: sarebbe stato affascinante. Ma l’indignazione del governo e l’ipocrisia riguardo le azioni di Wherry continuavano ancora, per niente diminuite (forse addirittura aumentate) a causa del suo successo. La popolarità delle arcologie e la marea dei candidati che volevano imbarcarsi su di esse non facevano altro che aggiungere combustibile alla collera ufficiale. Se l’Istituto si fosse trasferito, tutti quelli che ci lavoravano avrebbero dovuto capire che la decisione di unirsi all’impero di Wherry avrebbe fatto crescere le grida di scalpore. Sarebbero stati tutti tacciati di tradimento dalla stampa ufficiale dell’ONU.

E una volta che fossero andati fuori, cosa sarebbe successo? Per la maggior parte di loro non ci sarebbe stato mai più un ritorno a casa. Per loro, la Terra sarebbe stata perduta per sempre.

L’edificio ronzava quieto del mormorio di mille esperimenti che proseguivano durante la notte. Jan de Vries rimase seduto a lungo sulla sua poltrona, riflettendo, sbirciando fuori della finestra nella notte umida, ma coglieva soltanto la visione rannuvolata del proprio futuro. Dove l’avrebbe condotto? Si sarebbe trovato lui stesso nello spazio fra dieci anni? Come sarebbe stato, là fuori?

Gli riusciva difficile afferrare quelle idee che sgusciavano via alla deriva dalla periferia del suo cervello affaticato. Sbadigliò e si alzò lentamente in piedi. Dieci anni, troppo lontano per riuscire a veder bene. Meglio pensare a cose più vicine: l’elenco di Judith Niles, il bilancio, il rapporto del suo viaggio, ancora non completato. Dieci anni rappresentavano l’infinito, qualcosa al di là della sua portata.

Non era possibile che Jan de Vries lo sapesse, ma aveva messo a fuoco nella maniera sbagliata la sua sfera di cristallo. Avrebbe dovuto guardare molto più avanti.

CAPITOLO QUINTO

— O m’incontrerò con lui di persona, o non ci sarà accordo, Hans.

— Ti sto dicendo che non è possibile. Non tiene più colloqui faccia a faccia; non qui, né giù sulla Terra.

— Tu lo vedi abbastanza spesso.

— Insomma, maledizione, Judith, sono il suo assistente, perfino lui deve vedere qualcuno. Ma ho la completa autorità legale di firmare per lui. Controlla con Zurigo per qualunque problema finanziario. E se vuoi dare un’occhiata a qualunque altra cosa, qui sulla stazione, dimmelo e sistemerò le cose.

Hans Gibbs pareva quasi implorante. Erano seduti in un vano con un ottavo di gravità, a metà strada verso l’esterno partendo dal nucleo della Stazione Salter, intenti a osservare le operazioni estrattive su Elmo, un centinaio di chilometri sopra di loro. La luce delle lance termiche sfavillava e sfrigolava in sequenze casuali sulla superficie dell’asteroide in orbita intorno alla Terra, e i secchi da carico pieni scendevano pigri lungo il cordone ombelicale. Da quella distanza, era un luccicante filamento d’argento, che scendeva simile a una biscia giù fino al centro di raffinazione metallurgica della stazione.

Judith Niles strappò il proprio sguardo dall’immagine ipnotica di quell’interminabile catena di secchi. Scosse la testa e sorrise all’uomo davanti a lei.

— Hans, non sono soltanto io che cerco di complicare le cose. E sono sicura che tu ed io potremmo concludere l’affare. Non è qualcosa che voglio per me stessa, è per la mia compagine giù all’Istituto. Sto per chieder loro di rinunciare alla sicurezza di un lavoro con il Governo e di prendere il volo per andare a lavorare per un gruppo industriale privato in un impianto orbitale.

— Sicurezza? — Hans Gibbs la fissò furioso. — Judith, tu sai che è pura merda. Tu sai che è merda. Un lavoro con Salter Wherry è più sicuro di qualsiasi posto con il governo. Tutto il vostro gruppo potrebbe venir spazzato via domani se qualche somaro dell ONU decidesse di far sentire il proprio peso. E di somari, là, ne hanno in abbondanza. E non tirarmi fuori qualche insensatezza sul vostro bilancio: Salter Wherry ha informazioni migliori e più recenti delle tue sull’argomento.

— Ci credo. — Judith sospirò. — Te l’ho detto: non hai bisogno di convincermi, stai predicando al coro. Ho visto i nostri programmi distorti, tagliati e menomati anno dopo anno. Ma ho bisogno di portare quassù con me una ventina di scienziati-chiave e ti sto dicendo cosa provano alcuni di loro. Me ne torno all’Istituto, e loro mi dicono: «Salter Wherry è d’accordo?». E io rispondo: «Be’, no. Ho firmato un contratto a lungo termine, ma lui di persona non l’ho visto». Sai cosa diranno. Diranno che questo progetto sta molto in basso nella lista delle priorità di Salter Wherry, e forse faremmo meglio a ripensarci.

— Ha la massima priorità. Perfino sulla Terra la gente sa che non tiene incontri faccia a faccia.

— Lo so. — Esibi un dolce sorriso. — È per questo che farò un grande effetto sul mio staff quando sentiranno che mi sono incontrata con lui di persona. Pensaci un momento.

Judith Niles si lasciò andare contro lo schienale e ricordò l’ultima conversazione con Jan de Vries e Charlene Bloom prima della partenza. Negozia duro. Quello era stato il punto su cui tutti si erano trovati d’accordo. E se non avesse funzionato? Be’, sarebbero sopravvissuti. L’Istituto avrebbe continuato in qualche modo, perfino con i tagli ai finanziamenti decisi dal governo.

Davanti a lei Hans Gibbs gemette e si alzò in piedi. Durante i due giorni che avevano trascorso insieme si era formato le proprie impressioni sul direttore dell’istituto, andando ad arricchire la strana prospettiva che gli era stata fornita da suo cugino, nello stesso Istituto.

— È bizzarra, voglio dire, è come se non fosse stata ancora plasmata — aveva detto Wolfgang. — È piuttosto vecchia, giusto?

Hans l’aveva fissato furibondo. — Attento, figliolo, ha trentasette anni. Immagino che significhi vecchio, per te, se sei ancora bagnato dietro gli orecchi.