I read-out si adattarono automaticamente ad una gradazione più fine, passando dai chilogrammi ai grammi per centimetro quadrato. Adesso la pressione si andava riducendo a un ritmo assai lento, a una velocità ridotta controllata da Charlene. Ci vollero altri venti minuti prima che il valore della camera scendesse tremolando fino a zero. Adesso l’altitudine barometrica, dopo essere salita in modo costante fino a cento chilometri, si rifiutava di andare più oltre.
— Qualcosa di nuovo? — Judith Niles si era spostata, avvicinando il volto alla finestra della camera.
— Niente di brutto. — Wolfgang Gibbs mosse lentamente la testa da lato a lato. — Avevi ragione a proposito delle chiusure del collo: adesso sento un po’ di pressione, come se in quel punto la tuta sì sia gonfiata un pochino.
— È il nuovo modello. L’hanno introdotto all’incirca un anno fa. È una chiusura ermetica migliore, ma non così comoda. Il rigonfiamento è causato dalla caduta della pressione esterna, creando una piega nella parte interna del bloccaggio. Ti ci abituerai. Nessuna sensazione di sonnolenza?
— Neanche un po’.
— Bene. Comincia a muovere i blocchi, e parla mentre lo fai. Stabilisci tu il ritmo.
Wolfgang, in maniera goffa a causa dei guanti che non gli erano familiari, cominciò a spostare un mucchio di blocchi di plastica colorata da un banco che gli arrivava all’altezza del petto a un altro. — Non ho fatto niente del genere da quando avevo diciotto mesi. Allora mi pareva più difficile. Se li sposterò tutti in maniera giusta, riceverò in premio un grappolo d’uva, non è vero?
Nessuna delle due donne replicò, mentre Wolfgang spostava con attenzione i blocchi di plastica. Terminò in meno di un minuto.
— Ti senti ancora bene? — chiese Judith Niles, una volta che ebbe terminato il compito.
— Perfettamente a posto. Nessun dolore né sofferenza, nessun desiderio di dormire. Sento sempre un po’ di pressione sul collo, ma tutte le altre giunture non mi danno nessun fastidio. Devo passare alle telecamere?
— Quando sei pronto.
Wolfgang Gibbs annuì. La visiera della tuta lentamente si oscurò. Il suo volto divenne grigio-scuro e scomparve un po’ per volta alla vista quando la visiera raggiunse l’opacità totale. Gli osservatori udirono un brontolio attraverso la radio della tuta. — Colori schifosi qua dentro. Se il mio televisore non funzionasse meglio di così lo manderei a riparare.
La figura in tuta ruotò lentamente puntando la propria telecamera anteriore così da guardare attraverso la finestra della camera a pressione. — Charlene, sei diventata verde.
— Proprio così. Ci occuperemo più tardi del bilanciamento dei colori della telecamera. Sei in grado di muovere di nuovo i blocchi? Continua a parlare, mentre lo fai, proprio come hai fatto prima.
— Un giochetto da bambini. — La figura voluminosa cominciò a riportare con movimenti misurati i blocchi di plastica sul loro banco originario. — Mi ricorda il lavoro che ti davano da fare nell’esercito quando ci davano l’addestramento di base. Avrebbe dovuto stancarci e tenerci fuori dai guai. Prima sposti un mucchio di terra da qui a lì, e poi, una volta che hai finito, qualcun altro lo rimetterà dov’era. Poi…
Accadde fulmineamente. Non vi fu nessun sonnolento strascicarsi del discorso. Un istante prima la figura in tuta stava lavorando con completa efficienza, il timbro deciso della sua voce arrivava limpido attraverso la radio della tuta. Poi si trovarono a guardare una statua immobile e silenziosa, pietrificata, con un blocco di plastica rossa appoggiata sul palmo del guanto all’estermità del braccio proteso.
Charlene Bloom proruppe in un grido d’allarme, mentre Judith esalava un lungo, fremente respiro. — Ci siamo. Non c’è motivo di lasciarsi prendere dal panico, Charlene, è quello che ci aspettavamo. Comincia a far risalire la pressione, lentamente. Non vogliamo problemi. Mi assicurerò che il letto sia pronto. Calcolo che resterà privo di sensi per almeno mezz’ora.
Si avvicinò al telefono. Dietro di lei Charlene fissava con gli occhi sgranati la figura svenuta di Wolfgang Gibbs. Dovette combattere la tentazione di riportare all’istante la pressione a quella del livello del mare, precipitandosi lei stessa dentro la camera.
Jan de Vries la stava aspettando nel suo ufficio, intento a leggere con calma una cartella contrassegnata Confidenziale — Riservato al Direttore. Sollevò lo guardo quando lei entrò.
— Come sta?
— Si è ripreso. È rimasto privo di sensi per quasi un’ora, e non ricorda niente dell’intero episodio. Per quello che lo riguarda, non ha neppure cominciato la prova con il video della tuta. — Judith Niles non si sedette, ma invece si mise a camminare avanti e indietro davanti alla poltrona dove aveva preso posto Jan de Vries. — Adesso non ci sono effetti postumi, e c’è la massima prontezza di riflessi.
— Così la tua ipotesi è corretta. Avevi previsto quello che sarebbe successo, e il soggetto si è comportato esattamente come richiesto. — De Vries chiuse la cartella, sbattendola. — Adesso ogni cosa può procedere esattamente come hai progettato di fare. Trasferiremo l’Istituto in orbita, passeremo un mese o due a compiere una presunta analisi del problema, e poi consegneremo a Salter Wherry la soluzione del suo maggiore problema: dopo di che, saremo in grado di mandare avanti le nostre ricerche, come è consentito in maniera esplicita dal nuovo contratto dell’Istituto. Magnifico. La manipolazione è completa, proprio come è stata concepita. — La sua bocca si storse in una smorfia. — Allora, mia cara, dov’è il giubilo? Non hai l’aria di una persona i cui piani stanno per avere il più completo successo.
— Non sono soddisfatta per niente. — Judith Niles fece una pausa, abbassando interrogativamente lo sguardo sulla figura minuscola di de Vries affondato nelle profondità della grande poltrona. — Ascolta questa sequenza, poi dimmi cosa ne pensi. Elemento uno: un anno fa c’è stato un leggero cambiamento nel tipo di tuta spaziale indossato nella Stazione Salter per i lavori di costruzione esterni. Quella nuova utilizza una serie di anelli e blocchi leggermente diversi nella sezione del collo.
«Elemento due. — Lo spuntò sulle dita della sua mano destra. — Per certe posizioni della testa, la nuova tuta causa un aumento di pressione sulla carotide di colui che l’indossa.
— Una leggera pressione?
— Non così leggera. Abbastanza forte perché chi indossa la tuta se ne accorga. Elemento tre: l’aumento della pressione all’interno della carotide può causare momentanei svenimenti.
«Elemento quattro: quando una tuta è regolata sulla normale funzione visiva, la perdita dei sensi è momentanea, troppo breve per essere avvertita. Ma quando la tuta è regolata sul remoto e usa le telecamere invece della visione attraverso la visiera, la velocità di scansione sul televisore dà un feedback al cervello che rinforza la perdita dei sensi. Risultato: narcolessia. Colui che l’indossa non sarà in grado di uscire dal ciclo a meno che non ci sia qualche interruzione esterna. Che te ne pare?
De Vries rimase seduto in silenzio per alcuni istanti, poi annuì. — Plausibile, più che plausibile, quasi certamente corretto.
— Va bene. Sono d’accordo. Così, abbiamo l’elemento cinque. — Judith chiuse il pugno. — Tutto questo è noto da quarant’anni. L’aumento della pressione sulle carotidi è un classico caso di narcolessia. Il rinforzo dell’onda cerebrale è un meccanismo positivo standard di rinforzo. Cosa ti dice tutto questo?
De Vries si abbandonò ancora di più sullo schienale, sollevando lo sguardo al soffitto. Scosse la testa. — Judith, detto in questi termini, vedo a cosa stai mirando, ma devo ammettere che non mi sarebbe mai venuto in mente se tu non me l’avessi sventolato sotto il naso.