Judith Niles lo fissò severamente. — Sii più specifico, Jan. Cosa c’è di sbagliato?
— È troppo semplice. Quando mi servi la spiegazione su un piatto d’argento, come hai appena fatto, è chiaro che non ci sarebbe bisogno di noi per risolvere il problema. Ricordati che mi hai detto che pensavi di conoscere la risposta già quando hai dato un’occhiata alle tute e alle anamnesi la prima volta. Tutto quello che i medici della Stazione Salter dovevano fare era di andarsi a rileggere un minimo di precedenti, ed eseguire pochi esperimenti ben congegnati. Come minimo avrebbero notato la correlazione fra le nuove tute e il momento in cui il problema ha cominciato a manifestarsi.
— Proprio così. Allora, perché non l’hanno fatto? — Judith Niles smise di andare su e giù e si fermò davanti a de Vries. — Anche se non ci fossero arrivati con la stessa velocità con cui l’avremmo fatto noi qui, all’Istituto, dopo un po’ avrebbero comunque dovuto dedurlo. Jan, sono preoccupata. Dobbiamo andare sulla Stazione Salter. I nostri esperimenti lo richiedono, e comunque ho bruciato troppi ponti qui, durante gli ultimi giorni, per fermarmi adesso. Ma sento che le cose sono sfuggite al controllo.
D’un tratto Judith sollevò la mano sinistra e cominciò a sfregarsi delicatamente l’occhio; la sua fronte si corrugò.
Jan de Vries parve preoccupato. — Cosa c’è che non va, Judith? Mal di testa?
Judith scrollò il capo. — Niente del tipo che ho mai avuto prima. Ma vedo offuscato con quest’occhio… è molto sconcertante. Non è che veda proprio doppio, ma non ci manca molto. È una strana sensazione.
De Vries si accigliò. — Non correre rischi. Anche se è soltanto la tensione per il troppo lavoro, lascia che uno specialista ci dia un’occhiata. — De Vries non lo disse, ma era stupefatto. Mai, da quando l’aveva conosciuta, Judith Niles aveva mostrato un qualsivoglia segno di tensione o di fatica, non importava sotto quali pressioni aveva dovuto lavorare, non importava come avesse imposto a se stessa di lavorare.
— Mi rimetterò — disse Judith. — Scusa, Jan, cosa stavi dicendo?
— Sono d’accordo con te che le cose potrebbero essere sfuggite al controllo. — L’ometto si agitò sulla poltrona, spostandosi in avanti così da potersi rizzare. — E lascia che, come Salter ha detto nel suo discorso sulle colonie spaziali, non ti dia «niente per il tuo conforto». Ho fatto le altre indagini che avevi chiesto su Salter Wherry. Sapevi che la maggior parte delle sue spese non riguardano affatto lo sviluppo delle arcologie? Riguardano altri due campi: motori a fusione efficienti, costruiti nello spazio, e i robot. Corre voce che in questi campi sia avanti di anni rispetto a chiunque altro. E ci credo. Ma cos’hanno a che fare i nostri progetti con queste ricerche? Se riesci a vedere il rapporto, ti prego d’illuminarmi. E poi c’è la questione dell’ampiezza dell’influenza di Wherry e delle fonti della sua ricchezza. Ricordi che ti avevo detto che il costo delle assicurazioni per il personale della stazione era enormemente cresciuto durante lo scorso anno?
— Sì. A causa dell’aumentato tasso d’incidenti.
— Così avevamo pensato. Ma questo pomeriggio ho ottenuto ed esaminato i rendiconti finanziari della Global Insurance, l’organizzazione che emette le polizze per il personale della Stazione Salter. Risulta che un singolo individuo possiede più dell’ottanta per cento dello stock della Global, ed esercita il più completo controllo sulla gestione della società. — De Vries esibì un tetro sorriso. — Ti è permesso tentar d’indovinare soltanto una volta l’identità di quell’individuo. Allora, mia cara Judith, dovremmo forse decidere chi davvero manipola… e cosa.
CAPITOLO OTTAVO
I pesci erano nervosi. Muovendosi in gruppi regolari, sfrecciavano avanti e indietro in mezzo alle fronde delle alghe che si arricciavano attraverso i grandi serbatoi di Workwheel. Quando i banchi di pesci si rigiravano nelle acque torbide, le loro scaglie argentee intercettavano la luce del Sole virata al verde, riempiendo l’interno dei serbatoi con vividi lampi di luce.
Le due figure umane, nude salvo per le leggere maschere respiratorie, nuotavamo lentamente intorno al perimetro del serbatoio, spingendo i pesci davanti a sé. L’orlo esterno della ruota era un traliccio riempito di plastica trasparente che lasciava passare la luce perpetua del giorno dentro a quel cilindro di quattrocento metri. Molto in alto, vicino al cavo dell’asse centrale, le pompe dell’ossigenazione trasmettevano una debole pulsazione attraverso il liquido in pigro movimento.
La figura femminile sfrecciò senza nessun preavviso giù verso la nitida struttura a nido d’ape della plastica sulla parete esterna, scalciò con forza contro di essa e si lanciò in alto in direzione del centro di Workwheel. L’altro, colto di sorpresa, la seguì un attimo più tardi. La raggiunse a metà strada dall’asse e allungò una mano per afferrarle il polpaccio, ma lei fuggi dimenandosi e puntò in un nuova direzione, sempre procedendo obliqua verso la superficie. Ancora una volta lui la inseguì, e questa volta, mentre si avvicinava a lei, allungò le mani per afferrarle entrambe le caviglie. Le sue dita si chiusero e in quell’istante il quadro si pietrificò. Due sculture nude, con i muscoli tesi, erano sospese in acqua fra i pesci immobili.
Salter Wherry guardò da vicino per alcuni secondi lo schermo, poi con attenzione lo fece avanzare di parecchie inquadrature. Nella registrazione era difficile cogliere con chiarezza le espressioni, e zoomò sulla faccia di Judith Niles per un primo piano ad alto ingrandimento. Perfino con la maschera infilata, la sua faccia era in contrasto con i suoi muscoli tesi. Appariva del tutto rilassata, anche se Hans Gibbs la stringeva con fermezza alle caviglie. Dopo aver studiato l’immagine per qualche altro momento, Wherry saltò avanti, a poche inquadrature per volta, osservando le espressioni che cambiavano mentre i corpi nudi si avvicinavano, si abbracciavano, per poi salire lentamente verso l’alto. Avvinghiati, si spostarono fin dentro l’ampio menisco concavo sulla superficie dell’acqua, vicino all’asse della ruota.
Salter Wherry osservò con calma le loro azioni nell’oscurità della sala di controllo. La sua attenzione, tralasciando gli abbracci della coppia, era sempre concentrata sulla faccia di Judith Niles. Infine si sporse in avanti e premette sulla consolle davanti a lui. La scena cambiò, passando a un interno vivamente illuminato. Qui c’era Judith Niles in piedi, da sola, nell’ufficio di Wherry su Spindletop, proprio accanto allo studio nascosto, in attesa del suo primo incontro con lui. Ancora una volta la sua attenzione era rivolta alla faccia della donna. Un altro minuto, un altro tasto pigiato, e Wherry la vide com’era dopo il loro primo incontro. Grugnì insoddisfatto. Le telecamere nascoste erano state disposte con attenzione, ma non potevano offrire una visuale da ogni angolazione, e questa volta una visuale piena della faccia gli era negata.
Proseguì oltre. Le successive inquadrature erano arrivate dall’interno dello stesso Istituto, giù sulla Terra. Erano in corso i primi preparativi per il trasferimento sulla Stazione Salter. Le telecamere mostravano degli animali per esperimenti che venivano messi con molta attenzione in casse ben ventilate per essere spediti su. Questa volta Salter Wherry parve contento. C’era una punta di soddisfazione nei suoi occhi azzurri quando s’inserì nella rete ricevente per il suo rapporto quotidiano sulla situazione globale.
La rete informativa della Stazione Salter attingeva da tutti i canali aperti sulla superficie del globo, più un certo numero di fonti che venivano regolarmente violate in barba ai governi locali che, se l’avessero saputo, sarebbero stati colti dal più vivo sgomento. I rapporti che giungevano dalla Terra venivano arricchiti e confermati dalla rete dei satelliti-spia della stazione, le molte centinaia di veicoli spaziali in orbita polare che permettevano una costante e dettagliata osservazione degli avvenimenti su qualunque punto del globo.