Adesso Salter Wherry cominciava la sua routine giornaliera, passando, grazie alla lunga pratica, da una fonte di dati all’altra. A seconda dell’umore, riandava agli avvenimenti dell’inizio dello scorso anno, per poi tornare di nuovo al presente. Con pazienza procedeva a zig zag lungo la superficie del globo, talvolta mille miglia sopra la superficie del globo, talvolta attraverso una telecamera manuale per strada, di tanto in tanto tramite riprese video effettuate all’interno di edifici governativi o di case private. Le immagini continuavano ad affluire.
— Africa Orientale. Il corso di quattromila miglia del Nilo verso nord, fino al Mediterraneo, mostrava un fiume rattrappito e sminuito dalle incessanti siccità. Il Sudan era un arido deserto, i grandi complessi agrìcoli lungo il fiume erano tutti scomparsi. Khartum, alla confluenza del Nilo Azzurro col Nilo Bianco, non era altro che un ammasso di edifici ridotti in cenere. La telecamera si spostò a nord, alta sopra il fiume di fango. Vicino al Mediterraneo, il Cairo era una città fantasma dove branchi di cani affamati pattugliavano le strade polverose. Il nilometro sull’isola di Roda spuntava altissimo sopra il rigagnolo a cui si era ridotto il fiume. Il rifornimento idrico e i sistemi fognari avevano smesso di funzionare da molto tempo. Adesso soltanto le mosche avevano conservato tutta la loro energia sotto il mostruoso calore di mezzogiorno.
— Alaska. La lunga linea della costa meridionale era avvolta nelle nebbie perpetue che indicavano il punto d’incontro delle correnti calde con quelle fredde. Nell’entroterra la penisola che si andava scaldando esplodeva all’improvviso di nuova vita. Il permafrost si era fuso. La vegetazione dilagante cresceva fino ad ostruire gli acquitrini, e nuvole di zanzare e di mosche nere ronzavano e turbinavano sopra quella morbida superficie. La popolazione, dapprima deliziata da quella tendenza del clima a diventare temperato, stava adesso lottando per difendere i propri spazi contro la marea montante della vita animale e vegetale. Durante tutto il giorno aerei carichi di pesticidi irroravano decine di migliaia di chilometri quadrati. Avevano ben poco successo.
— Londra. Le calotte polari in continua fusione avevano fatto innalzare il livello del mare, lentamente, inesorabilmente, di qualche pollice all’anno. Adesso le maree lambivano la sommità delle dighe, premendo verso l’interno per tutto il tratto da Gravesend fino al Ponte di Waterloo. Le telecamere installate nelle strade inquadravano file di lavoratori volontari che continuavano la loro lunga fatica con i sacchetti di sabbia e i contrafforti di cemento. Guadando l’acqua che arrivava loro alle caviglie, combattevano la quotidiana battaglia contro la marea. Il lavoro procedeva con calma, perfino con allegria. Il morale era alto.
— Giava. La catena di vulcani lungo l’isola come per solidarietà con il clima estremo del globo si era risvegliata una settimana prima a una vita malefica. Molte delle centinaia di milioni di persone ammassate sull’isola avevano cercato la fuga in direzione nord attraverso le acque basse del mare di Giava. Le telecamere in orbita nello spazio avevano colto ogni dettaglio di quelle fragili imbarcazioni sovraccariche, mentre puntavano verso il Borneo e Sumatra.
Ma non soltanto la terra era sismicamente attiva. Quando il tsunami aveva colpito, non una sola imbarcazione era rimasta a galla. L’onda di marea alta sessanta piedi aveva colpito Giakarta e tutta la sponda settentrionale di Giava assicurandosi che quelli che erano rimasti sulla terraferma se la cavassero non molto meglio dei loro parenti che avevano affrontato il viaggio per mare. Oggi le telecamere inquadravano grappoli isolati di sopravvissuti che venivano raccolti dalle squadre di soccorso e spediti in campi profughi in montagna, fra gli altipiani centrali.
— Mosca. I rapporti dal principale oblasts agrìcolo stavano arrivando all’ufficio centrale della pianificazione. Là veniva mantenuta una calma glaciale a mano a mano che arrivavano le notizie che i raccolti del grano e dell’orzo erano inariditi e riarsi, quelli della segale e del riso completamente falliti, e dei venti in costante aumento che strappavano via il terreno superficiale secco, riducendolo in polvere e sollevandolo fino agli alti strati dell’atmosfera.
Salter Wherry se ne stava rannicchiato immobile sopra la sua consolle, assorbendo costantemente nuove informazioni, collegandole a quelle vecchie. Soltanto la sua bocca e i suoi occhi parevano vivi. Dopo le scene di Mosca, passò infine all’interno del palazzo delle Nazioni Unite. L’ufficialità rituale nella sala affollata non poteva nascondere le sotterranee correnti di rabbia e di tensione che arrivavano dal mondo esterno stressato. L’ambasciatore dell’Unione Sovietica, la faccia fervida e severa, stava concludendo il discorso preparato in precedenza.
— Quello che vediamo nel mondo, oggi, non è un incidente della natura, né è attribuibile puramente alle vicissitudini del clima planetario. Assistiamo a una deliberata modifica del clima, a dei cambiamenti diretti contro l’Unione Sovietica e contro i nostri amici di altre nazioni. Il tempo della reticenza a nominare queste nazioni è passato. Il mio Paese è vittima di una guerra economica. Non possiamo permettere…
Wherry pigiò con impazienza la tastiera. Aveva corrugato la fronte. Gli occhi luminosi erano posti in ombra dalle folte sopracciglia. Dopo qualche istante, Eleonora comparve sullo schermo davanti a lui, un ovoide d’argento incorniciato dallo sfondo delle stelle e una Terra illuminata dal Sole. Mantenne l’immagine mentre chiedeva un tabulato relativo ai programmi ed ai rapporti situazionali sulle opere in costruzione. Le linee ricurve delle travi geodesiche di sostegno sullo scafo esterno erano scomparse, coperte dai luminosi pannelli esterni. Stavano installando gli impianti elettrici definitivi insieme alle fonti di energia ed ai bacini idroponici; il grande cilindro dell’acqua era già pieno.
Wherry passò alle immagini delle altre arcologie. La più distante, Amanda, comparve come un’immagine granulosa e indistinta. Adesso si trovava a quasi tre milioni e mezzo di miglia di distanza dalla Terra, spiraleggiando lentamente verso l’esterno lungo il piano dell’ellittica. Fra otto anni, a meno che non venisse adottata qualche nuova traiettoria, la nave-colonia avrebbe percorso tutto il tratto fino all’orbita di Marte. Già gli scienziati a bordo stavano parlando della possibilità di una piccola stazione spaziale abitata su Phobos, e si consultavano con la Stazione Salter sulle risorse disponibili per attuare il progetto.
Salter Wherry spense lo schermo e rimase seduto immobile per parecchi minuti. Alla fine batté i tasti per richiamare un’altra sequenza. Il volto di Hans Gibbs, con i capelli arruffati, comparve sullo schermo.
— Hans, hai con te il programma per il trasferimento dello staff dell’Istituto Neurologico?
— Non davanti a me. Aspetti un momento che lo prendo.
— Non ce n’è bisogno. Ti dirò io quello che voglio che tu faccia. Il programma richiede che tutto sia quassù entro settantasette giorni da adesso.
— Esatto. Judith Niles ha brontolato per questo, ma finora siamo in orario.
— Hans, non andrà bene. Non credo che disponiamo di tutto quel tempo. Sta andando tutto all’inferno, e si sta scivolando sempre più in fretta. Credo di capire la politica internazionale piuttosto bene, ma oggi non riuscirei neppure a indovinare quale paese impazzirà per primo. Sono tutti candidati. Voglio che tu elabori un programma riveduto che permetta ad ogni cosa dell’Istituto, gente, animali, equipaggiamento, di trovarsi quassù entro trenta giorni. Di’ a Muncie che voglio che faccia lo stesso per qualunque altra cosa ci serva per terminare Eleonora, con lo stesso orario.