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— Bene. — Wolfgang fece un segno a Charlene e fra loro due, con cautela, calarono Salter Wherry sul pavimento, sorreggendogli la testa sulla giacca di Wolfgang. Wherry giacque immobile per un momento, poi fece uno sforzo per sollevarsi.

— Non si muova — disse Charlene.

Vi fu un leggero movimento laterale della testa. — Le proiezioni. — La voce di Wherry era un bisbiglio frusciante. — Devo vedere le proiezioni, le ricognizioni, le città.

Hans si era voltato a guardarli. Annuì. — L’ho già chiesto, le città principali. Che altro?

— Puoi metterti in contatto con la nave che ha il personale più alto in grado dell’Istituto a bordo? — chiese Wolfgang. — Dobbiamo parlare a JN. Sono bene al di fuori dell’atmosfera ma non so se da qui siamo in linea visiva con loro.

— Non ha importanza. — Hans tornò a voltarsi verso la consolle. — Possiamo usare i relé. Cercherò di raggiungerli. Dovremo usare un altro canale per farlo. Li immetterò nello schermo alle tue spalle.

Si mise al lavoro sulla tastiera. Era il solo che avesse abbastanza lavoro da impegnarlo per intero. Charlene e Wolfgang se ne stavano là con una sensazione d’impotenza. Wherry, dopo lo sforzo che aveva fatto per alzare la testa, giaceva immobile. Pareva prosciugato di tutto il sangue, con il volto livido e le mani piegate a formare degli artigli rattrappiti. Il respiro gli gorgogliava nelle profondità della gola, l’unico suono che interrompeva il bip urgente dei nuovi lanci. Le scintille non erano più concentrate in una fascia intorno all’equatore della Terra. Adesso coprivano tutto il globo come un reticolato luminoso, più serrato sull’emisfero settentrionale e il polo. Olivia Ferranti arrivò proprio mentre le immagini del satellite da ricognizione comparivano sullo schermo. La dottoressa lanciò un’occhiata sorpresa all’esplosione biancoazzurra che sbocciava là dove si trovava Mosca, poi l’ignorò e s’inginocchiò accanto al suo paziente. Il suo assistente si affrettò a collegare gli elettrodi che uscivano dall’unità portatile al petto nudo di Salter Wherry, e tirò fuori una sega e un bisturi dall’aspetto sinistro da una valigetta sterilizzata usata per trasportarli. — La trasmissione dalla nave che hai chiesto sta arrivando — annunciò Hans. — Cosa vuoi?

— Judith — disse Wolfgang. — Charlene, farai meglio a parlarle tu. Di’ loro di allontanarsi dalla traiettoria del rendez-vous fino a quando il nostro sistema missilistico difensivo non sarà stato disattivato. Saranno al sicuro da qualsiasi parte…

Le sue parole andarono smarrite in una gigantesca esplosione di rumore uscita dalle unità di comunicazione.

— Dannazione! — In fretta Hans Gibbs ridusse il volume a un livello tollerabile. — Lo temevo. Alcune delle esplosioni termonucleari avvengono ai margini dell’atmosfera. Stiamo ricevendo gli effetti della pulsazione elettromagnetica, e questa cancella i segnali. Siamo al sicuro quanto basta. Tutto il sistema di Wherry è stato collaudato in condizioni estreme tanto tempo fa. Non sono sicuro di come sia la situazione con quella nave. Proverò un canale laser, spero che siano abbastanza schermati contro la pulsazione elettromagnetica, e che in questo momento siamo in linea visuale.

Gli schermi del sistema di ricognizione stavano raccontando una storia agghiacciante. Ogni pochi secondi la proiezione dettagliata cambiava per mostrare una nuova esplosione. Non c’era il tempo per identificare ciascuna città prima che svanisse per sempre nel bagliore della fusione dell’idrogeno. Soltanto la condizione di luce diurna o notturna dell’immagine diceva agli osservatori in quale emisfero i missili stavano arrivando. Era impossibile stimare i danni o le perdite di vite umane prima che una nuova scena affollasse gli schermi. Salter Wherry aveva ragione: la speranza di un primo attacco preventivo si era rivelata vuota.

Wolfgang e Charlene erano immobili, fianco a fianco, davanti allo schermo più grande. Questo mostrava ancora la scena dall’orbita geostazionaria. Ancora una volta la scena sfavillava di balenanti tremolii di luce, ma questi, adesso, non erano il risultato della simulazione del computer. Erano esplosioni, testate multiple, megatoni multipli. L’intero emisfero era butterato da pustole scure di nuvole, a mano a mano che gli edifici, i ponti, le strade, le case, le piante, gli animali e gli esseri umani venivano vaporizzati e trasportati in alto nella stratosfera.

— Amburgo. — Wolfgang bisbigliò la parola quasi fra sé. — Hai visto, quella era Amburgo. Là c’era mia sorella. Suo marito, e anche i bambini.

Charlene non parlò. Gli strinse la mano con molta più forza di quanto si rendesse conto. Le esplosioni continuarono nell’orrendo silenzio della proiezione che pareva peggio di qualunque rumore. Charlene avrebbe desiderato che lo schermo le mostrasse qualche immagine dell’America del Nord? Oppure avrebbe preferito non sapere quello che era successo laggiù? Con tutti i suoi parenti a Chicago e a Washington… pareva non ci fosse speranza per nessuno di loro.

Si girò. Una maschera era stata posta sulla parte inferiore del volto di Salter Wherry. Olivia Ferranti aveva aperto la camicia scura di Wherry e stava facendo qualcosa al suo petto che Charlene preferiva non guardare troppo da vicino. L’assistente stava preparando un carrello leggero per il trasporto di un essere umano.

Morto o vivo? Charlene rimase scossa nel vedere che Wherry era del tutto cosciente e i suoi occhi ruotavano per seguire l’una o l’altra delle proiezioni sugli schermi. La sua espressione aveva un’intensità tale da poter essere attribuita agli stimolanti cardiaci, ma per lo meno quell’espressione velata e vitrea era scomparsa.

Charlene seguì lo sguardo di Wherry fino allo schermo in fondo alla stanza. Lì si stava formando un’immagine nebulosa: un disegno distorcente verde a spina di pesce, con una sorta di rumore di fondo visivo. Quando l’immagine si stabilizzò e si schiarì, Charlene si rese conto che stava guardando Jan de Vries. Sedeva su uno sgabello della navetta e aveva una pila di carte sui ginocchi. Appariva in preda alla nausea più completa e stava piangendo.

— Dottor de Vries… Jan. — Charlene non sapeva se poteva sentirla o vederla, ma non poté fare a meno di gridare: — Non cercate di effettuare il rendez-vous. Qui abbiamo messo in funzione il sistema missilistico di difesa!

Alla sua voce de Vries sì rizzò con un sussulto. — Charlene? Posso sentirti, ma il nostro sistema video non funziona. Riesci a vedermi?

— Sì. — Non appena ebbe risposto, Charlene se ne rincrebbe. Jan de Vries era scarmigliato, c’era una macchia di vomito sulla sua giacca, e aveva gli occhi rossi per il pianto. Per un uomo che faceva sempre tanta attenzione a presentarsi in forma inappuntabile, il suo stato attuale doveva essere umiliante. — Jan, hai sentito cosa ho detto? — prosegui in fretta. — Non lasciare che tentino il rendez-vous.

— Lo sappiamo. — De Vries si sfregò gli occhi con le dita. — Quel messaggio è arrivato prima di qualunque altra cosa. Siamo in orbita di attesa e ci resteremo fino a quando non saremo sicuri che potremo avvicinarci alla Stazione Salter senza più nessun pericolo.

— Jan, hai visto qualcosa? È terribile, il mondo sta esplodendo.

— Lo so. — De Vries parlò con chiarezza in tono quasi assente. Per qualche ragione, Charlene ebbe l’impressione che la sua mente fosse altrove.

— Devo parlare con un dottore della Stazione Salter — proseguì Jan. — L’avrei fatto prima del lancio, ma c’era troppa confusione. Me ne puoi trovare uno?

— Ce n’è uno qui con noi, Salter Wherry ha avuto un attacco cardiaco e lei se ne sta occupando.

— Bene, puoi farla venire al comunicatore? È indispensabile che le chieda quali sono i servizi ospedalieri sulla Stazione Salter. C’è bisogno urgente di certi farmaci e di attrezzature chirurgiche… — Jan de Vries s’interruppe all’improvviso, parve perplesso e scosse la testa. — Mi spiace, Charlene. Ti sento, ma in questo momento ho difficoltà a concentrarmi su più di una cosa per volta. Hai detto che Wherry ha subìto un attacco cardiaco. Quando?