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Peron si schermò gli occhi contro lo splendore mattutino di Cassay e studiò a turno ognuna delle facce della lunga fila. Ormai sapeva chi erano i veri avversari, e dalle loro espressioni cercò di valutare le proprie possibilità. Lum si trovava all’estremità opposta, accovacciato al suolo, a gambe incrociate. Stava mangiando frutta e appariva annoiato e sudato. Per qualche motivo la calda estate di Pentecoste aveva lasciato indenne la sua pelle. Il pallore dell’inverno lo faceva risaltare in mezzo agli altri.

Dieci giorni prima Peron lo aveva incontrato e l’aveva scartato giudicandolo troppo molle e troppo grasso e pesante, un giovane dalla corporatura rozza, grossolana, che era riuscito a piazzarsi fra i cento concorrenti arrivati in finale per un capriccio del caso. Adesso sapeva che non era così. Quell’apparente grasso era costituito per la maggior parte dei muscoli, e quand’era necessario Lum poteva muoversi con una grazia e una velocità incredibili; e quei volto cicciuto e quegli occhi porcini nascondevano un cervello di prima grandezza e un’immaginazione formidabile. Peron aveva modificato per tre volte il proprio giudizio e ogni volta verso l’alto. Adesso era certo che Lum sarebbe finito in qualche punto assai in alto nella classifica degli ultimi venticinque.

E lo stesso sarebbe stato per quella ragazza, Elissa, a tre posti di distanza alla sua sinistra. Sin dall’inizio Peron l’aveva valutata una concorrente formidabile. Era partita dieci minuti prima di lui durante la prima prova, quando avevano fatto il viaggio notturno attraverso Villasylvia, la foresta più difficile e pericolosa sulla superficie di Pentecoste.

Peron si era sentito molto sicuro di sé. Era nato e cresciuto in mezzo ai boschi. Era forte e il suo senso dell’orientamento era migliore nei confronti di quello di chiunque altro avesse incontrato finora. Dopo due ore di viaggio, quando non era riuscito a raggiungere Elissa, si era convinto che la ragazza dalla pelle scura aveva sbagliato strada e si era smarrita nelle pericolose profondità di Villasylvia. Aveva provato un po’ di dispiacere per lei perché prima di partire la ragazza gli aveva sorriso augurandogli buona fortuna; ma aveva concentrato la maggior parte della sua attenzione ad evitare gli sfrecciatori e i nottilappanti che dominavano la foresta durante le ore dell’oscurità.

Lui aveva realizzato un tempo magnifico, imboccando una pista fortunata che l’aveva riportato alla base senza nessuna deviazione e senza obbligarlo a tornare indietro. Ma era stato un grande shock tornare a casa e scoprire che Elissa era arrivata molto prima di lui, fresca e allegra, intenta a canticchiare fra sé mentre si cucinava la prima colazione.

Adesso Elissa si voltò a guardarlo mentre lui stava ancora fissando la fila nella sua direzione. Gli sorrise, e lui si affrettò a distogliere gli occhi. Se Elissa non avesse figurato tra i vincitori, questa sarebbe stata una cattiva notizia anche per lui, poiché era convinto che, qualunque fosse stato il loro posto in classifica, lei si sarebbe piazzata in qualche punto sopra di lui.

Riportò lo sguardo sul tabellone. Gli indicatori stavano venendo collocati sulla grande proiezione, mostrando i nomi dei concorrenti rimasti. Peron li contò mentre venivano collocati. Soltanto settantadue: l’ultima serie di prove era stata ferocemente difficile, sufficiente ad eliminare del tutto più di un quarto dei finalisti. Non ci sarebbe stato nessun festeggiamento al Planetfest per loro. Era probabile che fossero già sulla strada del ritorno verso le loro città natali, troppo delusi per aspettare di scoprire chi sarebbero stati i fortunati vincitori.

Peron corrugò la fronte e guardò di nuovo la fila dei finalisti. Dov’era Sy? Era possibile che non fosse riuscito a finire? No, eccolo là, sdraiato a poca distanza dietro gli altri. Come al solito non era facile accorgersi della sua presenza, si fondeva senza dar nell’occhio con qualunque scena, così Peron aveva impiegato un po’ di tempo ad accorgersi della sua presenza. Non avrebbe dovuto esser difficile distinguerlo con quei suoi capelli neri, gli occhi verdi e luminosi, e l’avambraccio destro un po’ deforme. Ma per qualche ragione era difficile vederlo. Poteva immergersi nello sfondo, osservando con calma ogni cosa con quell’espressione cinica e compiaciuta che Peron trovava così irritante… forse perché sospettava che Sy fosse davvero superiore? Era comunque certo, che in ogni cosa che richiedesse capacità mentali Sy l’aveva battuto senza alcuno sforzo (e aveva battuto anche chiunque altro, stando al giudizio approssimativo di Peron); e là dov’erano necessarie l’agilità o la forza fisica, Sy riusciva in qualche modo a compensare lo svantaggio del braccio più debole. Capire come ci riuscisse era un mistero. Non era mai fra i primi in quelle prove in cui la forza fisica era essenziale, ma, visto il suo handicap, era molto più in alto in classifica di quanto chiunque sarebbe mai riuscito a credere.

In quel momento Sy ignorava la proiezione e stava concentrando tutta la sua attenzione sui suoi compagni e rivali. Era chiaro che stava valutando le loro condizioni. Peron ebbe l’improvviso sospetto che Sy già sapesse di essere tra i primi venticinque e stesse già guardando avanti, preparando i suoi piani per i test fuori del pianeta che avrebbero determinato i venti vincitori finali.

Peron desiderò di poter provare così tanta fiducia in se stesso. Era sicuro (ma lo era davvero?) di trovarsi fra i primi trenta. Sperava di essere tra i primi venti, e nei suoi sogni si vedeva addirittura quarto o quinto. Ma con contendenti selezionati dall’intero pianeta, e con una concorrenza di calibro così elevato…

La folla ruggì. Era ora! Finalmente compariva il punteggio. Le proiezioni vennero messe insieme con lentezza e scrupolo. I giudici conferivano in grande segreto, sapendo che i risultati si sarebbero diffusi all’istante sull’intero pianeta, e che un solo errore sarebbe bastato a rovinare la loro reputazione, e gli individui responsabili delle proiezioni erano influenzati dall’identica ossessione di cautela e accuratezza. Ogni cosa veniva controllata e ricontrollata prima di finire sul tabellone.

Peron aveva guardato le registrazioni dei recenti Planetfest, più e più volte, ma questo era diverso e più elaborato. Le prove si tenevano ogni quattro anni. Di solito i premi consistevano in incariclìi elevati nel governo di Pentecoste, e forse una possibilità di vedere i Cinquanta Mondi. Ma i giochi ventennali come quello salivano ad un significato completamente nuovo. Certo, c’erano sempre i soliti premi. Ma non erano quelli veri. C’era quel premio assai più grande di cui si mormorava: la possibilità d’incontrare gli Immortali e di lavorare con loro.

E questo cosa significava? Chi erano gli immortali? Nessuno era in grado di dirlo. Nessuno di coloro che Peron conosceva ne aveva mai visto uno, ne aveva mai incontrato uno. Erano le supreme figure del mistero, quelli che vivevano per sempre, quelli che tornavano ad ogni generazione per portare conoscenze dalle stelle. Stelle che, si diceva, gli Immortali erano in grado di raggiungere in pochi giorni, in conflitto con tutto ciò che gli scienziati di Pentecoste credevano delle leggi dell’universo.

Peron stava ancora riflettendo su ciò, quando il frastuono della folla, separata dai contendenti da una solida barriera e da file di guardie armate, risvegliò per intero la sua attenzione. Il primo vincitore, al venticinquesimo posto, era stato appena annunciato. Era una ragazza, Rosanne. Peron la ricordava dalla Lunga Camminata attraverso il deserto di Talimantor, quando in coppia con lui aveva formato una temporanea alleanza per cercare acqua nel sottosuolo. Era una ragazza allegra e instancabile, appena al di sopra del limite minimo di età: sedici anni. E adesso aveva portato una mano al petto fingendo di barcollare e di perdere i sensi per il sollievo di essere riuscita a farcela, sia pure per il rotto della cuffia.