Adesso tutti gli altri contendenti fissavano il tabellone con rinnovata intensità. Il metodo degli annunci era ben fissato dalla tradizione, ma non c’era un solo partecipante alle prove che non avrebbe desiderato uno svolgimento diverso. Dal punto di vista della folla era molto soddisfacente annunciare i vincitori in ordine ascendente, in modo che il nome del contendente arrivato primo veniva annunciato per ultimo. Ma durante le prove, ogni singolo concorrente si formava un’idea approssimativa delle proprie possibilità attraverso il confronto diretto con i suoi avversari. Era facile sbagliarsi di cinque posti, ma errori più grandi di questo erano improbabili. Nel proprio intimo un contendente sapeva se era giù al novantesimo posto. Ma anche così, la speranza rimaneva sempre. Ma a mano a mano che i nomi venivano annunciati, e la ventiquattresima, ventitreesima, ventiduesima posizione venivano occupate, la maggior parte dei concorrenti veniva colta dal panico e da una tristezza crescente, o da ipotesi inverosimili. Possibile che si fossero classificati così in alto? O, cosa più probabile, erano già stati eliminati?
Gli annunci proseguirono costanti, lenti e spietati. Ventesima posizione. Diciassettesima. Quattordicesima.
Erano arrivati alla decima: Wilmer. Era un giovane alto e magro, la testa del tutto glabra. O si rasava tutti i giorni, o era prematuramente calvo. Era sempre affamato e sempre sveglio. Il resto di loro ci aveva scherzato sopra: Wilmer imbrogliava, si rifiutava di mettersi a dormire fino a quando tutti gli altri non si erano assopiti. Poi, dormiva più in fretta degli altri, il che non era leale. Wilmer accettava tutto questo di buonumore. Poteva permetterselo. Avendo bisogno di meno ore di sonno degli altri, poteva passare più tempo a prepararsi per le prossime prove.
Adesso si distese sulle pietre e chiuse gli occhi. Aveva sempre detto che quando quello stadio delle prove fosse finito, avrebbe dormito per dieci giorni di seguito. La lista avanzò fino al numero cinque. Era Sy. Il giovane dai capelli scuri appariva più freddo che mai, senza nessun segno visibile di piacere o di sollievo. Era in piedi, con la testa leggermente inclinata, cullando il gomito sinistro, quello debole, con la mano destra, senza guardare nessuno.
Peron senti lo stomaco che gli si serrava. Aveva superato la posizione che si era aspettato di occupare, adesso era a un livello al quale soltanto le sue speranze più avventate lo avevano portato.
Quarto posto: Elissa. La ragazza lanciò un grido di gioia. Peron sapeva che avrebbe dovuto sentirsi soddisfatto, ma adesso non c’era in lui nessuno spazio per il piacere. Serrò le mani l’una sull’altra per impedire che tremassero, e aspettò. La proiezione era statica, non cambiava mai. Il colosseo pareva colmo di un terribile silenzio, anche se Peron sapeva che la folla stava applaudendo freneticamente.
Terzo posto. Le lettere comparvero lentamente: P-e-r-o-n d-i T-u-r-c-a-n-t-a. Peron senti i polmoni che gli si rilassavano con un lungo rantolo torturante. Senza esserne conscio, aveva trattenuto il fiato per parecchi secondi. Ce l’aveva fatta! Il terzo posto. Il terzo posto! Nessuno della sua regione si era mai classificato così in alto, mai in quattrocento anni di giochi, durante i Planetfest.
Peron sentì il resto dei risultati, ma si registrarono appena nella sua mente. Era sopraffatto dal piacere e dal sollievo. Una parte della sua mente rimase perplessa quando il vincitore del secondo posto, Kallen, venne annunciato, poiché riuscì a fatica a riconoscere quel nome. Si chiese come avessero potuto superare insieme tante difficili prove senza essersi mai parlati. Ma ogni cosa, la folla, il colosseum, gli altri contendenti, parevano lontani mille miglia, miraggi nella luce gialla e sfavillante del sole.
L’ultimo nome comparve, e un ultimo immane rombo si levò dalla folla. Lum! Lum di Minacta aveva vinto il primo posto! Nessuno gli avrebbe invidiato il trionfo, ma sarebbe stato una triste delusione per tutti quei genitori che sollecitavano i loro figli e figlie a vivere in modo sano e laborioso, così da essere i vincitori dei Giochi. Chi mai avrebbe voluto essere il vincitore, se questo significava crescere per diventare grandi, carnosi e rozzi d’aspetto come il vincitore di quest’anno?
C’era trambusto in fondo alla fila: due delle ragazze accanto a Lum l’avevano abbracciato, poi cercarono di sollevarlo sulle proprie spalle per portarlo in trionfo verso la folla. Ma dopo pochi istanti divenne ovvio che Lum era troppo pesante. A sua volta lui si sporse in avanti, afferrò una ragazza per ciascuna delle proprie braccia, e le sollevò. Gli si appollaiarono una per spalla, e lui avanzò a grandi passi verso la barriera. Sollevò alte le mani e fece una piroetta, mentre la folla impazziva.
— Su, vieni, infelicità! — La voce era arrivata dal fianco di Peron. Era Elissa, che l’afferrò per un braccio quando lui si voltò verso di lei. — Hai l’aria di essere sul punto di addormentarti. Andiamo dentro a festeggiare, siamo i vincitori! Dovremmo comportarci come tali.
Prima che Peron potesse sollevare obiezioni, Elissa lo trascinò in avanti per raggiungere gli altri. La grande festa stava per aver inizio. Vincitori e perdenti, tutti si erano dimenticati di ogni stanchezza. Adesso che la contesa era finalmente finita, e i punteggi erano stati assegnati, la folla li avrebbe trattati tutti come vincitori. E lo erano davvero! Erano tutti sopravvissuti ai test più duri e snervanti che il Planetfest poteva offrire. E adesso avrebbero festeggiato fino a quando Cassay non fosse disceso dal cielo… fino a quando non fosse rimasta soltanto la fioca luce rossa di Cassby a far loro da guida fino ai dormitori.
Adesso, il Planetfest era finito per altri quattro anni. Poche persone si erano anche soltanto soffermate sul fatto che il vincitore finale non era stato ancora scelto. Le ultime prove si svolgevano fuori del pianeta, lontano dall’eccessivo chiasso della pubblicità… molto lontano, dove non veniva fatto nessun annuncio.
Ma i contendenti conoscevano bene questa verità: una fase più dura e ignota adesso li aspettava, e lì l’unico premio sarebbe stata la consapevolezza di aver vinto. Ma i premi in denaro, i festeggiamenti indetti in loro onore da intere province, lo scrosciante applauso del pubblico, e le generose pensioni per le famiglie, non erano basati sui risultati ottenuti dai contendenti fuori del pianeta. Perciò per la maggior parte degli abitanti di Pentecoste, quasi per tutti, in pratica, salvo per gli stessi finalisti, i giochi planetari erano finiti per altri quattro anni.
E il nome di Lum, sì, Lum di Minacta, si ergeva su tutti gli altri.
CAPITOLO TREDICESIMO
— Sono certo che avrete la sensazione di averne passate tante. Bene, è mio compito informarvi, qui, che i tempi duri stanno per cominciare soltanto adesso. Accettate la parola di Eliya Gilby, voi non avete ancora visto niente. Paragonati ai test fuori del pianeta, quei giochetti di merda del Planetfest vanno bene soltanto per bambini.
L’oratore era un uomo magro, dai capelli grigi, rivestito di cuoio nero costellato dal lucido ottone della Guardia del Sistema. Sul suo volto campeggiava un sorriso sardonico che poteva venir interpretato ugualmente come pietà, disprezzo o dispepsia. Mentre parlava era incapace di rimaner fermo. Camminava su e giù davanti al gruppo silenzioso, e per tutto il tempo le sue mani erano parimenti in movimento; si tirava la cintura, si aggiustava il colletto, o si sfregava un occhio iniettato di sangue.