— Lo so… Anch’io. Mia zia non crede neppure che ci sia una Nave. Dice che siamo qui su Pentecoste da sempre.
— Cosa le hai detto?
— Niente. Per una persona che abbia quel punto di vista, la logica è irrilevante. Crederà sempre quello che sceglie di credere, non importa quale sia l’evidenza. La sua religione dice che Dio ci ha messi qui su Pentecoste, e per lei quella è la fine della discussione.
— E tu? — Peron era conscio che lei si era fatta molto vicina a lui. — Tu cosa pensi?
— Tu sai cosa penso. La mia maledizione è una mente logica e un sacco di curiosità. È per questo che sto dando una buona occhiata. Una volta che saliremo lassù, lontano dal pianeta, il cielo cambierà del tutto. — Elissa sospirò. — Quando pensavo di uscire dal pianeta, quando ero piccola, mi pareva quasi la stessa cosa che andare in paradiso. Pensavo che là ogni cosa sarebbe stata diversa. Nessun controllo, niente agenti addetti alla sicurezza, ogni cosa chiara e semplice. Adesso ci sarà un’altra orribile competizione.
Peron annuì. — È per questo che non ci consentono di essere concorrenti una volta superati ì vent’anni. Per dare il tuo meglio al Planetfest, è fatale se metti troppo in discussione quello che fai. Le prove hanno bisogno di una mente sgombra.
— Che noi non avremo più. Abbiamo lasciato la culla e non serve a niente tornare indietro. Speriamo di trovare delle compensazioni.
Elissa gli prese la mano e gli fece scorrere delicatamente la punta delle proprie dita sul palmo. — Vieni, finiamo quell’intervista. Poi potrai portarmi a fare una passeggiata, quella che eri sul punto di chiedermi quando è arrivato Lum.
CAPITOLO QUATTORDICESIMO
Per la maggior parte del viaggio il capitano Gilby li aveva arringati senza sosta. Aveva fatto loro notare le caratteristiche della Nave, soffermandosi sui particolari relativi a tutto ciò che poteva andare storto durante la fase di ascesa; aveva detto loro, più e più volte, che il mal di caduta libera era del tutto psicologico, al punto che avrebbero dato qualunque cosa pur di andare a vomitare in privato; e aveva chiesto a ognuno dei venticinque d’indicare la propria regione d’origine su Pentecoste a mano a mano che l’orbita li portava a sorvolarla, tirando su sdegnosamente col naso quando sbagliavano. Riconoscere dallo spazio una regione familiare era risultato più difficile di quanto ognuno di loro avesse previsto. La coltre di nubi, la foschia, e l’obliquità dell’angolo visuale avevano alterato tutti i consueti elementi d’identificazione.
Ma alla fine, quando il vascello spaziale si trovò novemila chilometri sopra Pentecoste e si stava avvicinando alla Nave, Gilby si azzittì. Qui, aveva da tempo imparato a lasciare che l’evento in sé sopraffacesse i contendenti, senza il suo aiuto.
Il vascello che li aveva portati su dalla superficie di Pentecoste era più grande di quanto chiunque si fosse aspettato. Un vascello capace di trasportare trenta persone non pareva dovesse essere tanto grande, pur sapendo in teoria quanta capacità fosse necessaria per il combustibile. La realtà li aveva fatti ammutolire. Avrebbero cavalcato verso lo spazio in groppa a un mastodontico obelisco, il quale torreggiava per un’altezza di venti piani sopra a piatta pianura del deserto di Talimantor.
Adesso, si trovavano ad affrontare un ulteriore cambiamento di scala. La Nave era dapprima comparsa sullo schermo come un punto luminoso, molto al di sopra e davanti a loro. A mano a mano che si erano avvicinati lentamente ad essa, e le caratteristiche si erano fatte visibili, le dimensioni della Nave si erano rivelate in tutta la loro realtà, anche se era impossibile capirle razionalmente. Stavano guardando un ovoide irregolare, una palla rigonfia, ricoperta di foruncoli, peli e graffi, come un frutto screziato dalle malattie. Altri particolari si fecero visibili quando arrivarono più vicini. Ognuno di quei piccoli capezzoli sul suo ventre era in realtà un molo di attracco completo, in grado di accogliere un vascello delle dimensioni di quello sul quale viaggiavano; le sporgenze sul lato, sottili come capelli, erano torri di atterraggio; i graffi regolari erano composti da una moltitudine di punti, ognuno dei quali era un boccaporto d’accesso allo scafo.
Tutte le conversazioni erano cessate. Tutti si rendevano conto dei significato di quel momento. Stavano guardando La Nave, la struttura mistica, quasi mitica, che aveva trasportato i loro antenati attraverso il vuoto dalla Terra, da un luogo che era così lontano nel tempo e nello spazio da trovarsi al di là di ogni immaginazione.
— Dateci una buona occhiata — disse Gilby alla fine. La sua lezione continuava, ma il suono della sua voce era diverso. — Quella è stata la sola casa dei vostri antenati per quindicimila anni, il triplo del tempo che noi finora abbiamo vissuto su Pentecoste. La Nave ha vagato da sistema a sistema senza mai trovare un luogo che potesse costituire una nuova casa. Ha visitato quarantanove soli e cento pianeti, e dovunque c’erano mondi ghiacciati e morti, o deserti ardenti. Cass era il cinquantesimo sistema, e trovarono Pentecoste: era proprio adatto a sostenere la vita umana. Il paradiso, eh? Sapete cosa successe allora?
Tutti rimasero silenziosi, sopraffatti dalla strapotente presenza della Nave che riempiva sempre di più lo schermo davanti a loro.
— Si misero a discutere — proseguì Gilby. Smise di giocherellare con la propria spallina per toccarsi il cinturone con la pistola. — Nella Nave si misero a litigare per decidere se dovevano o no lasciarla, e atterrare su Pentecoste. La Nave era la casa e metà della gente non voleva lasciarla. Ci vollero duecento anni prima che avvenisse il trasferimento finale sul pianeta e La Nave venisse lasciata deserta. L’ultimo atto fu quello di spostarla su un’orbita più alta, dove avrebbe potuto girare per sempre intorno a Pentecoste.
Si erano avvicinati a un paio di chilometri e stavano spiraleggiando lentamente intorno all’immenso scafo metallico. La superficie era ruvida, opaca, il segno di eoni d’impatti meteoritici e di raschiamenti di polvere interstellare.
— Nessuna possibilità di salire a bordo? — domandò Wilmer. Come un bambino aveva premuto il naso contro l’oblò trasparente.
Gilby sorrise. — È un santuario. I visitatori non sono permessi. I viaggiatori originari hanno stabilito soltanto una situazione in cui La Nave potrebbe venir riaperta e utilizzata di nuovo. Ed è un situazione alla quale preferiamo non pensare. La Nave verrà riaperta e rinfrescata se mai le armi nucleari dovessero venir usate su Pentecoste.
Indicò l’oblò. — Guardate là fuori adesso, e fissatela nella vostra memoria. Non la vedrete un’altra volta.
Mentre parlava, avvertirono un’accelerazione crescente che li schiacciò all’indietro contro i sedili. Il loro vascello spaziale oltrepassò La Nave, che rimpicciolì rapidamente. Stavano puntando ancora di più verso l’esterno, verso il vasto serraglio di pianeti che ruotavano intorno e al di là di Cassay, e insieme costituivano i Cinquanta Mondi.
Visto attraverso i migliori telescopi della Terra, il sistema di Eta Cassiopeae era stato soltanto due punti gemelli di luce. Appariva come una sorprendente binaria rosso e oro, uno scintillante gioiello di topazio e granato a meno di venti anni-luce di distanza da Sol. Non c’era ingrandimento da parte degli osservatori della Terra che potesse fornire qualche particolare strutturale dei suoi componenti stellari. Ma per i sensori multipli di Eleonora, che seguiva una lunga traiettoria curva rallentata verso il componente più luminoso di Cassiopea-A, si era rivelato un sistema dalla stupefacente complessità.
Cassiopea-A era una stella giallo-oro, tipo stellare GO V. Un po’ più luminosa e un po’ più massiccia di Sol. La sua compagna era una nana rossa, meno massiccia e venticinque volte meno luminosa.