Densa, rosso-ruggine e povera di metalli, Cassiopea-B manteneva la propria distanza dalla compagna più luminosa. Non si avvicinava mai a meno di dieci miliardi di chilometri. Viste dai pianeti vicini a Cass-A, le deboli e rugginose ceneri della compagna apparivano troppo deboli per avere una qualunque influenza. Ma iì campo gravitazionale aveva una vasta estensione. Gli effetti gravitazionali di Cass-B esercitavano una profonda influenza sull’intero sistema. La famiglia planetaria che ruotava intorno a Eta Cassiopeae si rivelò un autentico zoo con una stupefacente varietà di esemplari. Più di cinquanta pianeti traballavano e giravano intorno alla coppia di stelle. Le loro orbite mostravano tutte le inclinazioni e le eccentricità possibili. I pianeti entro qualche centinaio di milioni di chilometri da Cass-A mostravano una regolarità orbitale e dei cicli stabili, con periodi di rivoluzione ben definiti e orbite quasi circolari. Ma i mondi esterni non mostravano una simile regolarità. Alcuni di loro seguivano delle orbite che avevano sia Cass-A che Cass-B come fuochi, e i loro anni potevano durare parecchi secoli terrestri. Altri, imprigionati in risonanza con entrambe le primarie, intessevano delle curve complicate attraverso lo spazio, senza mai ripetere l’identico disegno. Talvolta viaggiavano in solitario isolamento a milioni di chilometri da entrambe le stelle; talvolta si tuffavano vicino alla cauterizzante superficie di Cass-A.
I viaggiatori della Eleonora avevano concluso che un incontro ravvicinato con un pianeta gigante aveva avuto la sua parte nell’accrescere la complessità del sistema. Milioni di anni prima un gigante gassoso si era avvicinato troppo. Aveva sfiorato la stessa fotosfera di Cass-A. Prima i gas volatili si erano dissolti, poi le irresistibili forze mareali avevano causato il completo sconvolgimento del nucleo rimasto. Gli ejecta di quella disintegrazione erano stati scagliati in tutte le direzioni, per diventare parte dei Cinquanta Mondi.
Per i visitatori che si avvicinavano al sistema, le sregolate variazioni dei mondi esterni erano parse dapprima dominare qualunque altra cosa. Il complesso binario di Cassiopea era apparso un candidato assai improbabile per l’attenzione umana. Là dove le orbite variano all’impazzata, la vita non ha la possibilità di svilupparsi. I cambiamenti sono troppo estremi. Le temperature giungono a fondere lo stagno, poi solidificano l’azoto. Una volta che s’insedia la vita, questa è tenace, e può adattarsi a molti estremi. Ma c’è una fragilità nella creazione originaria che richiede un lungo periodo di variazioni strettamente controllate.
Le sonde automatiche erano state spedite fuori da Eleonora, ma soltanto perché questa era la procedura seguita da molti secoli. Le prime a tornare confermarono l’impressione di mondi spogli e cicatrizzati, desolati e privi di vita. Ma quando i rapporti elettronici furono ritrasmessi dalla sonda lanciata verso Pentecoste, parvero fin troppo buoni per esser veri. Qui c’era un’orbita planetaria stabile, vicina a un cerchio perfetto, a centonovanta milioni di chilometri da Cass-A. E Pentecoste era un vero analogo della Terra, con vegetazione nativa e vita animale, temperature accettabili, un’inclinazione dell’asse di diciotto gradi, una giornata di ventiquattr’ore, un’atmosfera respirabile, un’estensione oceanica del quaranta per cento, una massa che era inferiore a quella della Terra soltanto del dieci per cento, e un periodo orbitale lungo soltanto il quattro per cento in più di un anno terrestre.
Era difficile credere che Pentecoste potesse esistere in mezzo alla stordente variabilità costituita dai Cinquanta Mondi. Ma le sonde non mentivano mai. Finalmente, dopo eoni passati a viaggiare tra le stelle, e interminabili delusioni, l’umanità aveva trovato una nuova casa.
CAPITOLO QUINDICESIMO
I Cinquanta Mondi contenevano diversità enormi. Peron lo sapeva. Erano di ogni dimensione, forma, orbita e ambiente. Non ce n’erano due che sembrassero simili anche alla lontana, neppure i pianeti gemelli del doppietto di Dobelle. E la maggior parte di essi non andavano d’accordo con l’idea che la gente aveva di quello che poteva essere un posto desiderabile per farci una vacanza e ancora meno il luogo per un’altra prova.
E in quanto a Whirlygig…
Adesso Peron si stava avvicinando a quel pianeta. Doveva atterrare là. Di tutti, pensò malinconico, questo dev’essere il più alieno e sconcertante.
Durante gli ultimi due mesi i vincitori del Planetfest avevano orbitato intorno a più d’una dozzina di mondi. I pianeti andavano dal deprimente all’innominabile. Barcham era una sfera di polvere turbinante, la superficie era perennemente invisibile dietro a uno schermo di particelle soffiate da vento che venivano tenute in sospensione da un’atmosfera sottile e velenosa. Gilby li aveva avvertiti che Barcham sarebbe stata una scelta terribile per un test. Ma l’aveva detto anche per la maggior parte degli altri pianeti.
La polvere e la sabbia trovavano il modo di penetrare dappertutto, compreso il quadro di comando di una nave. C’era una buona possibilità che un atterraggio su Barcham potesse essere fatale.
Gimperstand non era migliore. I contendenti avevano deciso all’unanimità di non andare neppure a darci un’occhiata dopo che uno dei membri dell’equipaggio aveva tirato fuori un campione in bottiglia della linfa prodotta dai succosi rampicanti di Puzzone. La bottiglia era stata aperta per meno di due minuti. Dopo un intero giorno l’aria di tutta la nave sapeva ancora di cadaveri in putrefazione. Le unità purificatrici dell’aria non erano riuscite neppure a scalfire quel fetore.
Visto da lontano Glug era sembrato ottimo. I telescopi e gli analizzatori della nave avevano mostrato un mondo verde e fertile, coperto per il novanta per cento da nuvole. Erano scesi laggiù in perlustrazione e avevano passato un paio d’ore a diguazzare appiccicati sulla sua superficie vischiosa. Una pioggia grigiastra scendeva interminabile da un cielo grigio-cenere, e le fronde inzuppate della vegetazione s’incurvavano, fiacche e tristi, fino a toccare il suolo colloso. Una volta che uno stivale fosse stato piantato saldo sul terreno, il pianeta si sarebbe comportato come riluttante a mollarlo. Vi aderiva amorevolmente. Camminare era una sofferta successione di passi risucchianti e glutinosi che costringevano a tirare il piede verso l’alto pollice dopo pollice, fino a quando lo stivale non si liberava con un gorgolio disgustoso. Come Wilmer aveva osservato, una volta che avevate tirato fuori lo stivale, avreste bramato non rimetterlo giù mai più, soltanto che nel frattempo l’altro vostro stivale affondava sempre di più in profondità.
Glug era ripugnante, ma Peron pensava che malgrado tutto ce l’avrebbe fatta a entrare nell’elenco finale. Sy aveva perfino deciso di farne la sua prima scelta! Forse i suoi complicati processi mentali avevano scoperto qualcosa di Glug che poteva venir utilizzato a suo vantaggio. Lum l’aveva fatto notare molto tempo prima a Peron e a Kallen: Sy non aveva bisogno di un vantaggio sugli altri per vincere; tutto quello che gli serviva era una situazione che annullasse l’handicap del suo braccio rachitico. Trovata questa, avrebbe messo a terra tutti loro.
Alcuni degli altri avevano ugualmente dato il loro voto provvisorio a favore di Glug, poiché quando i concorrenti erano scesi laggiù avevano già visitato alcuni altri esemplari di prima scelta:
Boom-Boom: attività vulcanica e terremoti continui; un livello di rumore ambientale che spaccava i timpani; aria fetida e sulfurea e un terreno infido dove le croste di lava solidificata galleggiavano sopra il magma.
Firedance: soltanto forme di vita animale microscopiche, e in qualsiasi momento un sesto della vegetazione che copriva l’intero pianeta era ridotta a una massa fumante e carbonizzata; il resto della vegetazione era secco come le ossa, pronto a infiammarsi allo scoccare casuale di un lampo; nastri di fiamme danzavano e crepitavano sulla superficie seguendo dei sentieri contorti, cambiando direzione in maniera imprevedibile e muovendosi molto più in fretta di un essere umano in corsa.