— Siamo tutti d’accordo, allora — stava dicendo una voce chiara. — Niente di tutto ciò che abbiamo pensato potrebbe permetterci di farcela in tempo?
La distorsione della radio danneggiata cambiava il timbro della voce. Peron si riebbe dai propri cupi pensieri e scoprì, con sua viva sorpresa, che l’interlocutore era Wilmer.
— Pare che sia così. — Era ovvio che era stato Lum a parlare. — Abbiamo chiamato la nave e manderanno qualcosa non appena potranno, ma è probabile che ci vogliano otto ore. Sy ha fatto una valutazione approssimativa della perdita di calore sulla base delle condizioni della tuta, e calcola che ci rimangano un paio d’ore per far qualcosa, tre al massimo.
— Dannazione.
Proprio quello che ho pensato io, si disse Peron con calma. Ma cosa sta succedendo a Wilmer? Dopo esserci venuto dietro con un mistero cordiale e non-contendente per tutti i giochi, tutt’a un tratto è diventato la figura dominante del gruppo. Gli altri stanno facendo riferimento a lui, lasciando che sia lui a controllarli.
Peron ebbe un’intuizione improvvisa. Era soltanto lo shock… Lo shock li aveva sopraffatti tutti; ma in qualche modo Wilmer, e lui stesso, Peron, la fonte di tutte le preoccupazioni e quello che era condannato a morire, riuscivano a restare distaccati dall’emozione. Intravide la faccia inorridita di Elissa attraverso la visiera della sua tuta, e le rivolse un sorriso d’incoraggiamento. Kallen aveva le lacrime agli occhi, e perfino Sy aveva preso quell’espressione di tranquilla fiducia in sé.
— Nessun’altra idea? — proseguì Wilmer. — Bene. Datemi una mano. Peron, voglio parlarti. In quanto a voi, voglio un’atmosfera dentro alla cupola non appena riuscirete a crearla. Non preoccupatevi della temperatura, so che sarà bassa, ma questo è risolvibile.
Aveva aperto la borsa verde che aveva portato con sé giù su Whirlygig e stava esaminando lo schieramento di ampolle, siringhe e strumenti elettronici che si trovavano schierati in file ordinate all’interno di essa. Dopo una lunga occhiata sorpresa Sy si avviò verso la cupola, ma gli altri rimasero immobili fino a quando Lum non tuonò: — Mettiamoci all’opera. — Nell’allontanarsi, si girò verso Wilmer, le grandi mani serrate nei guanti della tuta. — Questo non è il momento di parlare, ma sarà meglio che tu sappia quello che stai facendo. Se così non fosse, ti scuoierò vivo personalmente quando torneremo alla nave.
Wilmer non si dette briga di rispondere. Dietro alla visiera la sua faccia era aggrottata per la concentrazione.
— Circuito privato. Tu ed io dobbiamo parlare per un paio di minuti — disse a Peron, e aspettò fino a quando la frequenza personale della tuta non venne confermata. — Bene. Come valuti le tue possibilità?
— Zero.
— Molto bene. Partiamo senza nessuna illusione. Presumo che tu sia pronto a correre un rischio?
A Peron venne voglia di ridere. — Vuoi dire un rischio che mi offra meno possibilità di sopravvivenza di quelle che ho adesso?
— Una risposta equa. So esattamente quello che cercherò di fare, ma non ci ho mai provato in circostanze che assomigliassero a queste neppure alla lontana. Ho le droghe che mi servono, e l’ambiente della cupola non sarà molto diverso da quello del laboratorio. D’accordo?
— Non ho la più pallida idea di quello di cui stai parlando.
— E io non ho il tempo di spiegartelo. Ma non ha importanza. Per prima cosa ti farò un’iniezione. Dovrà attraversare direttamente la tua tuta, ma credo che l’ago ce la farà, e il sistema autosigillante si prenderà cura del forellino. Dopo ti porteremo dentro. Credo che la giuntura della spalla sia il punto migliore.
Prima che Peron avesse il tempo di obbiettare, Wilmer era venuto al suo fianco, e sentì l’acuta puntura di un ago nel trapezio sinistro.
— Adesso avremo meno di un minuti prima che tu cominci a sentirti stordito. — Wilmer aveva buttato via l’ipodermica e ne stava tirando fuori un’altra dalla borsa. — Ascolta bene. Voglio che tu rompa tutti i sigilli della tuta in modo che possiamo togliertela facilmente quando sarai privo di sensi. Non parlare e cerca di continuare a respirare il più lentamente possibile. Quando sentirai che stai per perdere i sensi, non cercare di lottare. Lascia che accada. Va bene?
L’area gelida al centro del suo stomaco si stava diffondendo rapidamente fino a inglobare tutto il suo tronco. Allo stesso tempo Peron provava la sensazione che l’orizzonte di Whirlygig si stesse allontanando rapidamente da lui, diventando sempre più remoto. Annuì a Wilmer e maneggiò il comando che trasferiva tutti i sigilli della tuta all’accesso dell’esterno. Sentiva il proprio respiro aspro e rapido, e lottò per inspirare ed espirare lentamente e con regolarità.
— Bravo. Mi spiace di non avere il tempo di spiegarti, ma non ho mai sentito che una situazione del genere si sia mai presentata prima d’oggi. Probabilmente mi linceranno quando scopriranno quello che sto cercando di fare. Ma tu sei fortunato: io stesso mi sono trovato in guai seri su Whirlygig una volta, più di trecento anni or sono. E ricordo quello che ho provato. — Wilmer gli strinse la mano. — Buona fortuna, Peron. Se ti risveglierai, ti troverai nell’S-Spazio.
Nell’S-Spazio. Se sopravviverò, un mistero sarà spiegato, pensò Peron. Restituì la stretta di Wilmer.
— Ho bisogno di aiuto — disse Wilmer. Aveva ripreso a parlare sul circuito aperto. — Dobbiamo tirar fuori Peron da questa tuta non appena la pressione ce lo consentirà. E lui sarà privo di sensi. Elissa, vuoi organizzare il modo più veloce per farlo?
Peron provò l’impulso irrazionale, quasi sopraffacente, di scoppiare a ridere. Wilmer, diceva una voce dentro di lui, mio strano e glabro amico, come sei cambiato! Eri un vecchio verme tardy giù su Pentecoste, e adesso ti sei trasformato in una farfalla tutta autorità dalle ali dorate. Oppure, ancora meglio, in una pianta, una forma rara ed esotica che fiorisce soltanto fuori del pianeta? D’un tratto quella domanda era importante, ma lui sapeva di non essere in grado di fornire una risposta.
Aveva perso il controllo. Sapeva che erano arrivati alla cupola e che erano pronti a entrarci, ma non riusciva più a vedere il portello della camera di equilibrio. O le stelle; o anche il terreno sul quale si trovava. Pezzetto dopo pezzetto la scena davanti a lui si stava spegnendo. Era come un grande jig-saw puzzle, dove ogni pezzo era nero. Poteva soltanto vedere Wilmer che gli reggeva ancora il braccio.
Ecco, dunque. È a questo che assomiglia la morte. Non troppo male, davvero. Niente affatto male.
L’ultimo frammento del puzzle venne messo in posizione. Wilmer scomparve e tutto il mondo divenne nero.
CAPITOLO DICIASSETTESIMO
Risvegliarsi fu un’agonia.
Cominciò come un basso mormorio di voci che parlavano una lingua che gli era familiare, ma con un’intensità e una intonazione talmente alterate da essere a malapena comprensibili. Era come la voce di una macchina. Si sforzò di comprendere. — … un po’ più di asfanol… anche soltanto per pochi minuti… fino a quando non sapremo cosa fare con gli altri (altri?)… il battito del cuore è forte e costante, adesso…
Poi un’affermazione chiara a bassa voce, irata e irritata: — Maledetto fastidio. Non possiamo far niente fino a quando non avremo una dichiarazione sulla linea di condotta da seguire. Perché quel pazzo ha fatto quello che ha fatto… impiegheremo un mese…
Respirava. L’aria gli entrava calda nei polmoni bruciando i delicati alveoli ad ogni lento respiro. Sentì che gli bruciava attraverso la barriera sangue e aria, poi fiammeggianti fiumi di ossigeno si riversarono attraverso le arterie e i capillari fino ad arrivare ad ogni estremità del suo corpo. Era un dolore implacabile. C’era la sofferenza dei tessuti che si risvegliavano e della circolazione che veniva ripristinata, accompagnati da spasimi muscolari che non era in grado di controllare.