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Cinque minuti alle undici. Aveva pochi minuti per rivedere le proprie dichiarazioni e fissare per la centesima volta il ricamo incorniciato appeso alla parete opposta. Si trovava lì da quando c’era lei. Avrebbe potuto chiudere gli occhi e recitarlo a memoria:

— Considerate quanto il sonno sia una cosa eccellente; è un gioiello talmente inestimabile che, se un tiranno fosse disposto a cedere la propria corona per un’ora di sonno, non troverebbe nessuno disposto a fargliene omaggio: è d’una forma così bella che se anche un uomo dovesse giacere con l’imperatrice, il suo cuore non potrà acquietarsi fino a quando non lascerà i suoi abbracci per riposare con l’altro: sì, siamo talmente indebitati con questo parente della morte, che gli concediamo volentieri il tributo di metà della nostra vita: e c’è un buon motivo per cui lo facciamo, il sonno è la catena dorata che lega insieme la salute e il nostro corpo.

Thomas Dekker.

E sotto quella citazione splendidamente lavorata ad ago, una recente aggiunta nello sfacciato corsivo di Judith Niles:

Balle. In questo istituto il sonno è il nemico.

Charlene Bloom aprì la propria cartella, si appoggiò allo schienale, si sfilò le scarpe nere, tirando con la punta di un piede il calcagno dell’altro. Le undici, e niente direttore. Qualcosa non andava.

Quattro minuti dopo le undici l’altra porta della sala conferenze si aprì e Judith Niles entrò seguita dalla sua segretaria. In ritardo, e aveva un’aria arrabbiata. Sbirciando al di là di Judith, nell’ufficio adiacente, Charlene Bloom vide un uomo alto in piedi accanto alla scrivania. Era sulla prima trentina, aveva capelli riccioluti, un volto piacevole ma adesso aggrondato, intento a fissare qualcosa al di là di una delle pareti.

Un estraneo. Ma quei grandi occhi grigi le parvero vagamente familiari; forse li aveva visti su uno dei bollettini dell’istituto?

Judith Niles era rimasta in piedi per un momento invece di prendere il suo solito posto. Il suo sguardo fece il giro del tavolo per controllare che tutti i capireparto fossero già al loro posto, poi salutò annuendo.

— Buon giorno. Mi spiace avervi fatto aspettare. — Le sue labbra si sporsero imbronciate su quest’ultima parola, e mantennero quell’espressione. — Abbiamo un visitatore inatteso, e devo incontrarmi di nuovo con lui quando questa riunione sarà finita. — Infine si sedette. — Cominciamo. Dottor de Vries, vuole iniziare lei? Sono certa che tutti sono interessati quanto me al resoconto del suo viaggio. Quando è tornato?

Jan de Vries, basso e placido, scrollò le spalle e sorrise al direttore. Lui e Judith Niles vedevano il mondo dalla stessa posizione, mezza testa più in basso della maggior parte del personale. Forse era questo che gli permetteva d’essere rilassato con lei, in un modo che Charlene Bloom giudicava del tutto impossibile.

— La scorsa notte sul tardi. — La sua voce aveva qualità calmanti, lenta e tranquilla come uno sciroppo caldo. — Se mi volete consentire per un momento un commento tangenziale, la cura per la differenza di orario causata dai viaggi in jet che abbiamo messo a punto qui all’Istituto non è da considerarsi un successo completo.

Judith Niles non prendeva mai appunti. La sua segretaria avrebbe registrato ogni singola parola, e lei voleva che la propria mente fosse completamente concentrata sulle vibrazioni palesi e nascoste dell’incontro. Si sporse in avanti e guardò da vicino il volto di de Vries. — Suppongo che lei parli per esperienza diretta?

De Vries annuì. — L’ho utilizzata per il viaggio in Pakistan. Oggi mi sento malissimo, e gli esami del sangue confermano le mie condizioni. I miei ritmi circadici stanno ancora cercando di riemergere in qualche punto fra qui e Rawalpindi.

Il direttore guardò Beppo Cameron, sollevando le scure sopracciglia. — Sarà meglio che diamo un’altra occhiata alla cura, eh? Ma che ha da dirci sulla questione principale, Jan? Ahmed Ameer, è un fatto indubitabile o una finzione?

— Purtroppo si tratta di una finzione. — De Vries aprì il suo quaderno di appunti. — Stando al rapporto che abbiamo ricevuto, Ahmed Ameer non ha mai dormito più di un’ora per notte. Da quando aveva sedici anni (fanno nove anni, poiché adesso ne ha venticinque) giura non aver mai chiuso occhio.

— È la verità?

De Vries si sfregò i baffi sottili. — Ho qui i miei appunti completi, e verranno immessi nel film. Ma li posso assumere in una sola parola: esagerazione. Durante i sei giorni e le sei notti che siamo rimasti con lui, ha passato due notti senza dormire. Una notte ha dormito per quattro ore e un quarto. Per le altre tre notti, ha dormito poco più di due ore e mezzo ognuna.

— Salute normale?

— Pare di sì. Non dorme molto, ma abbiamo avuto altri soggetti che dormivano meno di lui, proprio qui nell’Istituto.

Judith Niles lo stava guardando con molta attenzione. — Ma lei non mi dà l’impressione di un uomo che ha sprecato una settimana per un’impresa inutile. Qual è il resto della storia?

— Mio percettivo superiore. — De Vries aveva assunto un’espressione angelica. — Lei ha proprio ragione. Durante il viaggio di ritorno ho fatto tappa ad Ankara per controllare qualcosa di estremamente impossibile: un’altra di quelle voci uscite dai laboratori del Cairo su un monaco che veglia sulle reliquie di Santo Stefano. Uno dei sacri paramenti è stato rubato un paio d’anni fa, mentre era in servizio, e dopo di ciò, si racconta, il monaco giurò che non avrebbe mai più dormito.

— E allora? — Judith Niles divenne tesa mentre aspettava la sua risposta.

— Non del tutto, ma molto più vicini di quanto ci fossimo arrivati prima. — De Vries traboccava di sorniona soddisfazione. — Lei crederebbe a una media giornaliera di sonno di ventinove minuti? E non rimane seduto su una sedia a ciondolare la testa per pochi minuti, quando nessuno guarda. L’abbiamo collegato a una unità telemetrica per undici giorni. Abbiamo i test biochimici il più possibile esaurienti. Vedrà il mio rapporto completo non appena qualcuno potrà trascriverlo per lei.

— Lo voglio oggi stesso. Dica a Joyce Savin che il suo rapporto ha la priorità assoluta. — Judith Niles rivolse a de Vries un lieve cenno di approvazione. — Qualcos’altro?

— Niente che valga la pena di raccontare. Entro domani le farò avere il mio rapporto completo.

De Vries strizzò l’occhio a Charlene seduta sul lato opposto del tavolo. E non lo leggerà mai, diceva la sua espressione. Il direttore faceva conto che fosse il suo staff a star dietro ai dettagli. Nessuno sapeva mai quanto tempo passasse ad esaminare un particolare rapporto del suo staff. Talvolta il più piccolo elemento di un dato impegnava la sua attenzione per giorni interi, altre volte progetti importanti non venivano studiati per molti mesi.

Judith Niles dette una rapida occhiata al suo orologio. — Dottor Bloom, lei è la prossima, vorrei potermi dedicare a fondo al nostro visitatore prima di pranzo, se è possibile.

Ma dietro di me sento sempre il carro alato del tempo che m’incalza da vicino… Charlene digrignò i denti. JN era ossessionata dal sonno e dal tempo. E la maggior parte di ciò che Charlene poteva offrire erano notizie brutte. Chinò la testa sopra il suo quaderno di appunti, riluttante a cominciare.

— Abbiamo appena perso uno dei kodiak — disse a un tratto. Vi fu un fruscio quando tutti quelli seduti intorno al lungo tavolo si raddrizzarono sulle loro sedie. Charlene continuò a tenere la testa bassa. — Gibbs ha portato giù Dolly, pochi gradi al di sopra del punto di congelamento, e ha cercato di mantenere un livello positivo di attività cerebrale.