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Peron mosse la lingua. Quando questa toccò i denti, la sentì asciutta e gonfia, provò grande per la sua bocca. Ma quando si leccò le labbra, provò la sensazione d’un tessuto impregnato di glicerina, con uno strano sapore che gli butterava l’intero della bocca. Grugnì per il disgusto, ma dalla sua bocca non volle uscire nessun suono.

— È sveglio — disse un’altra voce. — Preparati, Peron Turca. Riesci ad aprire gli occhi?

Peron cercò di farlo. Le ciglia gli sembrarono saldate con la colla, ma con uno sforzo continuo riuscì un po’ alla volta a liberarle.

Sbirciò verso l’alto, attraverso i due occhi ridotti a fessure, e scoprì che stava guardando un pallido soffitto grigio il quale s’incurvava senza nessuna giunzione incontrando pareti dello stesso colore. Da qualche parte sulla destra c’era un fruscio costante e un rumore pulsante.

Girò la testa da quella parte: i muscoli del collo crepitarono riluttanti, si tesero e obbedirono agli ordini mentali. Giaceva accanto a una grande massa di attrezzature mediche, monitor, pompe, dispositivi per iniezioni automatiche endovena, e unità telemetriche. Numerosi tubi e cavi gli correvano lungo il braccio destro denudato. Altri gli correvano su fin dentro le narici e giù nella parte inferiore del corpo. Era nudo.

Sollevò la testa. C’era qualcosa di sottilmente sbagliato quando fece quel movimento, ma non dava l’impressione di essere un problema interno. Pareva piuttosto che le leggi della meccanica fossero state cambiate, in modo che, malgrado fosse chiaro che non si trovava in caduta libera, neppure si muoveva in una qualunque forma di gravità normale.

E c’era qualcosa di sbagliato nei suoi occhi. Sbagliato in modo terribile. Poteva vedere, ma ogni cosa era offuscata e indistinta, con gli orli scarsamente definiti e tutti i colori attenuati, ridotti a sfumature pastello.

Peron girò la testa a sinistra. Accanto al tavolo sul quale giaceva sedeva una donna. Era di mezza età. Aveva la fronte corrugata e lo guardava con ovvia disapprovazione. La sua faccia aveva una pelle liscia da bambino, e portava una cuffia azzurra che le aderiva al cranio.

— Va bene — disse. Non pareva stesse parlando a lui. — Pare che ci sia il controllo motorio. Ordine: iniettiamogli tre centimetri cubi di historex nella coscia.

Era la voce che aveva udito per prima, e ancora una volta aveva un suono rauco e stranamente meccanico. Non vide né sentì nulla, ma dopo pochi istanti avvertì un nuovo, fugace dolore alla coscia. Poi il dolore in tutti i suoi muscoli cominciò a diminuire. La donna scrutò la sua espressione e annuì.

— Eccellente. Ordine: controlla i monitor, e se sono soddisfacenti rimuovi i cateteri. Con delicatezza.

Peron abbassò lo sguardo sui cateteri che gli entravano nella parte inferiore del corpo, e si assicurò di mantenere lo sguardo fisso su di essi. Ancora una volta non vide né sentì niente, ma un attimo dopo erano scomparsi. Un altro attimo, e anche il tubo che gli entrava nelle narici non c’era più. Tirò un lungo, tremante sospiro. Il fuoco nei polmoni era ancora là.

La donna pareva ancora infastidita. — Ti senti strano e a disagio, lo so. A tutta prima l’S-Spazio fa sempre quell’effetto, a tutti. Ma non dura. Ringrazia il cielo che sei vivo, quando dovresti essere morto.

Vivo! Vivo. Peron ebbe un’improvvisa ondata di ricordi, che lo riportò agli ultimi momenti di disperazione su Whirlygig. Lì era stato moribondo, rassegnato all’inevitabile, del tutto certo della propria morte, mentre qui era vivo! Tutto il dolore venne spezzato via in un attimo, sopraffatto dalla consapevolezza della vita. Voleva parlare, lanciare un grande urlo di gioia davanti al semplice fatto della sua esistenza; ma ancora una volta non una sola parola gli volle uscire di bocca.

— Non provarci — disse la donna. — Non ancora. Dovrai imparare come si fa a parlare, e ci vuole un po’ di tempo. E non sfregarti gli occhi, funzionano normalmente, ma qui le cose sono diverse. Ora, ci sono delle cose che vanno fatte prima che tu sia pronto a parlare. Quel pazzo di Wilmer ha senz’altro creato un problema per tutti noi, ma immagino che adesso dovremo tenercelo. Adesso non possiamo ucciderti. Ordine: portagli una bevanda. L’acqua andrà bene ma controlla l’equilibrio degli ioni e dello zucchero nel sangue, e se ha bisogno di qualcosa fai le aggiunte necessarie.

La donna tese la mano e d’un tratto reggeva una fiaschetta piena d’un liquido giallo paglierino.

— Voglio che tu cerchi di prendermi questo di mano. Puoi farlo? Poi bevilo tutto e cerca di parlarmi.

Peron sollevò il braccio, e ancora una volta provò la sensazione che le leggi della fisica fossero state cambiate. Prese con decisione il controllo della propria mano per farla muovere nella direzione da lui voluta. Prese con cautela la fiaschetta, l’accostò alla bocca e bevette. Fu come un balsamo, che gli lenì la gola e per la prima volta si rese conto di avere una sete disperata. Bevette tutto.

— Bene. Ordine: portala via.

La fiaschetta scomparve. La donna appariva un po’ meno irritata di prima.

— Riesci a parlare? Prova una parola.

Peron deglutì, impartì un ordine alle sue corde vocali, e venne compensato da un grugnito e da un colpo di tosse raschiante. Tentò di nuovo.

— Sssii. S-siii. — La sua stessa voce gli suonava aliena agli orecchi.

— Eccellente. Dai tempo al tempo. E ascoltami. Ci sono alcune cose che devi conoscere, e non guadagneremo niente a non dirtele. Sai cosa sono gli Immortali?

— Essi vizzi… vizzitano… Pen’coss. Non so ’mani… o no. Vava… vivono per ’empre.

— Vorrei che fosse vero. — La donna rivolse a Peron un sorriso stizzito. — Io sono una Immortale. E adesso lo sei anche tu. Ma non viviamo per sempre. Viviamo all’incirca millesettecento anni, stando alle nostre migliori stime correnti, se non veniamo uccisi in qualche modo lungo il percorso. È una delle cose che devi imparare. Anche adesso puoi venire ucciso con la stessa facilità di prima. Vivere nell’S-Spazio non ti proteggerà. Capito?

— Caa… pito. — Peron si sentiva la pelle del viso come se fosse stata tirata al massimo, e non poteva mostrare le emozioni che provava. Se lui era un Immortale, cos’era successo agli altri? Sarebbe sopravvissuto a Elissa per milleseicento anni? Nessuna buona notizia avrebbe potuto rendergli appetitoso quel pensiero. Sollevò la testa, ancora una volta quella strana sensazione, e guardò direttamente in faccia la donna. — Cos’è successo agli altri su Whirlygig?

— Non sono autorizzata a dirtelo. Ti ho detto che quello che Wilmer ha fatto per te ci ha causato più guai di quanto lui si sia mai sognato. Prima che ci sia permesso di dirti di più, dobbiamo avere l’approvazione del Quartier Generale del Settore, e questo significa un lungo viaggio. Stiamo già viaggiando da cinque ore, e ci vorranno due giorni prima che arriviamo là. Fino a che non saremo arrivati, dovrai essere paziente. Il mio paziente, in effetti. — Gli rivolse il suo primo, vero sorriso. — Puoi cominciare riposandoti un po’. Fra qualche minuto l’historex comincerà a fare effetto, e adesso ti darò un altro sedativo e un analgesico. Ordine: dai a quest’uomo cinque centimetri cubi di asfanol.

Niente di visibile, ma ancora una volta la sorpresa di qualcosa che gli penetrava nella coscia causandogli dolore. Peron non era affatto pronto ad addormentarsi, c’erano un centinaio di domande alle quali cercava risposta, e non sapeva da quale cominciare.