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Garao annuì. — Sarà meglio che avvisiamo subito Rinker. Dovremo lasciare l’S-Spazio per rimediare. Gli sta bene a quel bastardo imbacchettato, a lui e alla sua nave «perfettamente gestita».

— E come lo farà contento! — esclamò la dottoressa. — Già si lamenta che questo viaggio è stato un disastro.

— Lasciare l’S-Spazio? Ma dove andremo?

Gli altri guardarono Peron per un momento. — Mi spiace — dichiarò Garao, in tono comprensivo. — Ma sono di nuovo gli ordini del capitano. Non puoi esser presente mentre parliamo di questo. Ordine: riporta Peron nella sua stanza.

— Aspettate un momento! — Peron era furioso. — Sentite, al diavolo gli ordini del capitano. Se c’è qualcosa che non va, ho anch’io il diritto di saperlo. Sono sulla nave tanto quanto voi. Voglio rimanere qui e scoprire cosa sta succedendo.

Ma l’ultima frase andò sprecata. Peron vi aggiunse una sfilza d’imprecazioni. Il ritardo del servizio poteva anche preoccupare gli altri, ma era ancora troppo breve. Si ritrovò nella sua stanza a parlare alle pareti vuote.

CAPITOLO DICIANNOVESIMO

Peron si permise soltanto pochi secondi d’imprecazioni. Poi si strappò via le scarpe e si mise a correre a tutta velocità lungo il corridoio che conduceva alla parte alta della nave. I monitor avrebbero continuato a mostrare i suoi movimenti, questo pareva certo. Ma adesso c’era un’emergenza a bordo, perciò, chi l’avrebbe sorvegliato? Non avrebbe mai avuto una possibilità migliore per esplorare le zone che di solito gli erano proibite.

Il suo precedente e accurato studio della disposizione interna della nave non era andato sprecato. Corse in fretta e in silenzio verso gli alloggi di Rinker, sicuro di ogni singolo corridoio. Arrivato alla biforcazione davanti alla porta di Rinker, si fermò e sbirciò da dietro l’angolo. Era arrivato in tempo? Se Rinker se n’era già andato, non ci sarebbe stato nessun modo di sapere dov’era andato.

Sentì la porta che si apriva, si tirò indietro, poi arretrò fino alla curva successiva del corridoio. Nessun rumore di passi. Rinker doveva aver preso l’altra direzione.

Tornò indietro di corsa con passo felpato e lanciò un’occhiata furtiva lungo il corridoio, giusto in tempo per veder scomparire il dorso della giacca azzurra di Rinker e la sua luccicante testa calva. Stava andando verso sinistra, allontanandosi dalla direzione della sala da pranzo.

Peron cercò di visualizzare la geometria della nave. Cosa c’era in quella direzione? Tutto quello che riusciva a ricordare erano due grandi magazzini, ognuno riempito con delle specie di palline, e altri alloggi. La camera di sospensione si trovava proprio all’estremità dello stesso corridoio.

Rinker stava proseguendo con passo costante, chino in avanti e senza guardarsi indietro. Passò davanti ai magazzini, davanti alle sezioni adibite ad abitazione… cosa poteva cercare nella camera di sospensione?

Peron si era forse scordato di qualche biforcazione nel corridoio? Sapeva di non poter ignorare quella possibilità. Corse un rischio ancora maggiore e ridusse la distanza che li separava. Era abbastanza vicino da udire il pesante respiro di Rinker, e anche di percepire lo sgradevole odore di talco muschiato che adoperava come borotalco.

Peron arricciò il naso. Non c’era da meravigliarsi che di solito quell’uomo facesse i suoi viaggi da solo!

Esitò alla porta della camera dell’animazione sospesa. Rinker era entrato, ma non c’era nessun modo di seguirlo senza farsi notare.

Udì là dentro uno scricchiolio. Sporse per un attimo la testa dentro la porta. Rinker aveva aperto uno dei grandi sarcofaghi luccicanti, e adesso stava entrando e chiudendo il portello dietro di sé.

Non appena il portello frontale del sarcofago fu completamente chiuso, Peron s’introdusse furtivo nella camera. Ma invece di andare alla cassa di Rinker, raggiunse quella successiva nella fila. Guardò dentro attraverso il lato superiore trasparente. Lum giaceva là dentro, bianco e simile a un cadavere. Peron cercò d’ignorare quella grande forma immobile, e invece guardò le pareti del contenitore.

Strano. Malgrado non l’avesse notato durante la sua prima visita insieme al capitano Rinker, la cassa pareva avere una serie completa di comandi all’interno, come pure all’esterno, come se quelle figure imprigionate nel gelo potessero svegliarsi e desiderare di controllare le apparecchiature dall’interno. E qui c’era qualcos’altro, altrettanto strano: all’estremità opposta del contenitore c’era un altro portello delle stesse dimensioni di quello all’estremità più vicina, il quale conduceva alla parete vuota dietro il sarcofago.

Erano passati un paio di minuti da quando Rinker era entrato e aveva chiuso la porta. Peron si avvicinò in silenzio e si fermò accanto a quella cassa. Avvicinò l’orecchio ad essa. Sentì un sibilo di gas e il tonfo ritmico e monotono di una pompa. Arrischiò una rapida occhiata attraverso il lato superiore. Rinker giaceva là dentro, con gli occhi chiusi. Pareva del tutto rilassato e normale, ma una rete di filamenti argentei era comparsa fuori dalle pareti del contenitore, attaccandosi alle diverse parti del suo corpo. Sottili schizzi d’un fluido bianco stavano scendendo da minuscoli ugelli per bagnargli la pelle. Peron toccò la superficie del contenitore, aspettandosi il freddo gelido che aveva percepito quando aveva toccato la bara di Lum. Ma sussultò e tirò indietro la mano di scatto. La superficie era calda e gli aveva trasmesso un pizzicore, come se gli avesse scaricato attraverso il corpo una corrente elettrica.

Per un paio di minuti la situazione non cambiò. Poi gli schizzi di fluido bianco cessarono. Gli ugelli vennero ritirati dentro i lati del contenitore e i filamenti argentei si staccarono e si ritrassero anch’essi. Peron guardò e aspettò. Dieci minuti più tardi il corpo di Rinker parve attraversato da un fugace tremito.

E poi il contenitore fu vuoto. In una frazione di secondo, prima che Peron riuscisse anche soltanto a pensare, Rinker era completamente scomparso.

Peron fu tentato di aprire il portello anteriore del contenitor, invece si avvicinò a uno dei contenitori vuoti, lì vicino, e lo aprì. I comandi interni apparivano molto semplici. C’era un quadrante a tre vie, un timer con le unità in giorni, ore e centesimi di ora, e un interruttore manuale. Le regolazioni dell’interruttore mostravano soltanto una N, una S, e uria C. La posizione C era in rosso, e sotto di essa figurava un cartello: ATTENZIONE! NON USARE LA REGOLAZIONE PER FREDDO (C) SENZA AVER REGOLATO L’INTERRUTTORE DEL TIMER O SENZA L’ASSISTENZA D’UN OPERATORE ESTERNO.

Perori stava pensando di arrampicarsi dentro per dare un’occhiata più da vicino quando udì uno scricchiolio ammonitore provenire dall’altro contenitore. Il portello veniva aperto di nuovo. Si sforzò di muoversi con cautela e in silenzio, mentre chiudeva la bara. Era troppo tardi per lasciare la camera, la porta si stava ormai aprendo. Per fortuna si apriva verso di lui, in modo che luì si trovò temporaneamente nascosto dietro di essa.

Rinker era tornato. Stava uscendo lentamente dalla stanza senza guardare né a destra né a sinistra. Peron intravide per un attimo il suo mezzo profilo, e vide degli occhi infossati, iniettati di sangue, e una carnagione pallida. Lo seguì a distanza di sicurezza. Il capitano camminava come un ubriaco, come se fosse stato completamente esausto e stordito dalla fatica. Invece di continuare fino al suo alloggio, si recò alla sala da pranzo. Garao, la Ferranti, e Atiyah erano ancora là che chiacchieravano.

E stavano ancora cenando. Ciò parve strano a Perori, fino a quando non si rese conto che erano passati soltanto pochi minuti da quando l’ordine verbale di Garao l’aveva riportato fulmineamente nella sua stanza contro la sua volontà.