«Il resto di noi s’infuriò con loro, ma finimmo per non pensarci più che tanto, al contrario di quanto potreste credere. Per i primi anni, avevamo fin troppo da fare, anche senza di loro. Dovevamo instaurare un nostro sistema quanto più possibile autosufficiente e a prova di errore. Questo richiese il novantanove per cento delle nostre energie. E gli altri si dedicarono al lavoro di ricerca sulla sopravvivenza in condizioni di metabolismo ridotto, quella che alla fine chiamammo esistenza nell’S-Spazio. Come medico, ero ovviamente interessata a questo, e dopo un po’ finii per dedicarmi esclusivamente ad essa. Entro un paio di mesi, dopo i primi esperimenti con soggetti umani sulla Stazione Salter, fu chiaro che ci eravamo imbattuti in qualcosa di assolutamente rivoluzionario, qualcosa che cambiò tutte le nostre idee sulla percezione e sulla consapevolezza umana. Ma furono necessari parecchi altri anni prima che comprendessimo le altre implicazioni. Grazie al nostro lavoro l’umanità aveva trovato una facile via per arrivare alle stelle. «Non c’era nessun bisogno di arcologie multigenerazionali, o di una propulsione più veloce della luce…
— … che appare impossibile — mormorò Sy.
— … che potrebbe essere impossibile — ribatté la dottoressa. — Tieni la mente aperta. Comunque, non ci servivano più. Le ricerche sulla propulsione compiute alla Stazione Salter ci permettevano già di accelerare una nave a più di un decimo della velocità della luce, e questo era sufficiente. Nel Modo Due della consapevolezza, l’S-Spazio, un essere umano poteva restare del tutto cosciente, vivere una vita estesa soggettiva, e attraversare l’intera Galassia nel singolo arco d’una vita.
«Ciò portò a una nuova crisi. Tutti si estasiavano all’idea d’un arco di vita esteso, purché fosse sicuro. Ma tutti avevano terrore dei possibili effetti collaterali.
«Ci dividemmo in due gruppi. Alcuni di noi dissero, spostiamoci nell’S-Spazio e aspettiamo là fino a quando la Terra non sarà almeno abitabile. Nessuno sapeva quanto tempo ci sarebbe voluto, ma nell’S-Spazio potevamo permetterci di aspettare secoli, percependoli soltanto come poche settimane. Altri ebbero paura. Argomentarono che c’erano troppe incognite e troppi rischi a vivere nell’S-Spazio, fino a quando questi non fossero stati identificati era meglio rimanere con le nostre percezioni normali.
Olivia Ferranti li guardò con un mesto sorriso. — Come poi risultò, entrambi i gruppi avevano ragione. La Terra si riprese lentamente. Ci vollero più di mille anni perché si sviluppassero piante nuove e stabili e comunità animali. Nessuno di noi aveva mai pensato che ci sarebbe voluto tanto tempo. E contemporaneamente stavano scoprendo serie conseguenze fisiche provocate dalla vita nell’S-Spazio.
«Per fortuna non litigammo a causa delle nostre divergenze d’opinione relative al trasferimento nell’S-Spazio. Forse la distruzione della Terra aveva insegnato a tutti noi qualcosa sulla necessità di risolvere in modo pacifico i conflitti. Ci accordammo per perseguire entrambe le linee di condotta. La maggior parte di noi scelse di rimanere com’era, creando una società accettabile nell’ambiente spaziale. Dopo qualche generazione fu chiaro che la vita nello spazio era soddisfacente, come la maggior parte di noi aveva sempre sperato. A questo punto, qualche centinaio di noi si era da tempo trasferito nell’S-Spazio, servendo in prima persona, tra l’altro, da esperimento, così da ridurre il rischio per quelli che sarebbero venuti dopo.
«Mentre facevamo questo, scoprimmo un altro modo di alterazione metabolica: questa volta si trattava di una vera animazione sospesa. Cinque di voi hanno fatto personalmente esperienza di quel sonno freddo, qui sulla nave. Non sappiamo ancora quanto a lungo qualcuno possa rimanere privo di sensi senza correre rischi, in quella condizione, ma si tratta certamente d’un periodo di tempo molto lungo, almeno migliaia di anni.
«Il trasferimento nell’S-Spazio ebbe altre due conseguenze importanti. Per prima cosa ci renderemmo conto che non avremmo potuto ridiscendere a vivere sulla Terra o in qualunque altro luogo dove esistesse un consistente campo gravitazionale, anche se avessimo voluto farlo. Questo l’avevamo già dedotto quando gli esperimenti si svolgevano ancora soltanto sugli animali, ed era uno dei motivi principali per trasferire tutto il lavoro fuori, in orbita, lontano dalla supeficie della Terra. Vedete, le accelerazioni percepite…
— L’abbiamo capito — l’interruppe Peron. — Kallen e Sy — li indicò, — l’hanno infatti dedotto.
— Acuti. — Olivia Ferranti fissò il gruppo mostrando un vivo apprezzamento. — Quando avrò finito, forse mi direte qualcosa di più su di voi. Finora io so soltanto quello che mi è stato riferito da Peron e dal capitano Rinker.
— Il capitano non si starà chiedendo cosa sta succedendo? — domandò Rosanne. Poi si fermò e si portò la mano alla bocca.
— Potrebbe anche… fra qualche giorno. — La dottoressa Ferranti sorrise e Rosanne le rispose con un rapido sogghigno. La tensione iniziale, volta allo scontro, stava sfumando. Erano tutti sempre più assorti in quella storia di un tempo remoto raccontata in prima persona.
Olivia Ferranti si appoggiò alla parete e spinse indietro la cuffietta azzurra dalla fronte, rivelando un ciuffo di riccioli fitti e nerissimi. — Abbiamo un mucchio di tempo a disposizione. In questo momento il capitano Rinker e gli altri sanno a malapena che me ne sono andata.
— Ma tu hai i capelli! — esclamò Lum.
Olivia Ferranti sollevò le sopracciglia scure su di lui. — Sono contenta di sentirti dire che lo credi.
— Ma è quello che gli ho detto — interloquì Peron. — Pensavo che l’S-Spazio rendesse calvi.
— Ed è così. Ma… non hai mai sentito parlare di parrucche, giù su Pentecoste? La maggior parte degli esseri umani nell’S-Spazio non ci bada, ma io non voglio affrontare il mondo con il cuoio capelluto nudo, le mie idee su come dovrebbe essere il mio aspetto sono state fissate molto tempo prima che anche soltanto mi sognassi dell’S-Spazio. Comunque, la pelle del mio cranio è granulosa, e non ho nessuna voglia di esibirla agli altri. — Si accarezzò con la mano i riccioli scuri. — Preferisco questa. La cosa bella è che non diventerà mai grigia.
— Che altro fa, alla gente, l’S-Spazio? — chiese Sy. Più del resto di loro, fatta forse eccezione per Kallen che, com’era tipico da parte sua, non aveva parlato affatto; Sy pareva più che mai riservato e per niente scaldato dai modi franchi di Olivia Ferranti.
— Ci sto arrivando — lei disse. — Lasciate che ve ne parli fra qualche minuto. Voglio andare in ordine logico e spiegare cosa accade dopo che la Terra venne distrutta. È importante che lo sappiate, così da capire per quale motivo ci comportiamo in questo modo nel sistema di Cass.
«Mentre ancora eravamo indaffarati ad elaborare un sistema sociale stabile lontano dalla Terra, e alcuni di noi stavano anche imparando a vivere nell’S-Spazio, non avemmo il tempo di preoccuparci di ciò che stava accadendo all’Eleonora e alle altre arcologie. E a dire il vero, non ce ne importava un accidente. Ma nostra logica diceva che ci avevano disertato egoisticamente e che perciò potevano andare al diavolo. Per quello che ci riguardava, potevano volar via e marcire.
«Ma dopo un po’, quelli di noi che vivevano nell’S-Spazio (io fui una delle prime persone ad accettare l’ibernazione in Modo Due) divennero molto curiosi. Vedete, sapevamo di avere le stelle a portata di mano. Avevamo la propulsione che ci serviva, e il tempo necessario per farlo. E Helena, Melissa ed Eleonora si erano tutte dirette all’esterno del Sistema Solare in direzioni diverse. Non sapevamo quanto i motivi della loro partenza fossero dettati da un vero interesse per l’esplorazione, e quanto invece dal timore di una rappresaglia da parte nostra. Noi non avevamo progettato vendette di nessun tipo, ma loro, come avrebbero potuto saperlo? Tutte e tre avevano mostrato segni di paranoia, quand’erano state colonizzate la prima volta. Diventammo sempre più curiosi di sapere cos’era successo a quelle tre arcologie.