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Senza discutere, Sy aveva scelto il sonno freddo durante il loro avvicinamento a Sol. Aveva in progetto di usare ampiamente le più svariate tecniche durante i loro futuri viaggi, e desiderava acquisire altre esperienze in questo campo non appena possibile.

Peron ed Elissa avevano assai più difficoltà a prendere una decisione. Dopo aver sognato per tanto tempo un ritorno a Sol e alla Terra, l’idea di chiudere gli occhi per poi trovarsi all’improvviso non era affatto attraente. Significava perdere tutto lo scopo del viaggio. La Terra era una leggenda, e ogni esperienza collegata ad essa avrebbe dovuto venir assaporata. Avevano studiato il Sistema Solare durante il viaggio dal Quartier Generale di Settore, e adesso volevano essere testimoni coscienti di tutto l’avvicinamento. Ma questo significava più di un mese di tempo di viaggio soggettivo durante la decelerazione, oppure una nauseante ora di rallentamento e aggiustamento in orbita, saldamente legati e incapaci di muovere un solo muscolo…

Ne avevano già discusso più e più volte, e alla fine avevano preso la loro decisione. Adesso giacevano fianco a fianco, saldamente imbozzolati in una rete di frenaggio. Come favore speciale, Olivia Ferranti aveva installato degli schermi, in modo che Peron ed Elissa potessero avere, a frequenza modificata, delle panoramiche dello spazio antistante e retrostante, a mano a mano che la nave si avvicinava a Sol. Erano entrati nelle reti prima che cominciasse la decelerazione, quando si trovavano ancora a quasi cinquanta miliardi di chilometri da Sol, e Sol non era niente più di una stella di eccezionale luminosità sulle proiezioni.

Dapprima ebbero l’impressione che tutti i loro studi sarebbero andati sprecati. Il Sole era diventato sempre più grande e brillante, girando attraverso il cielo a mano a mano che la loro traiettoria reagiva al sistema di controllo della navigazione. Ma, cosa deludente, appariva come qualunque altra stella. Durante gli ultimi cinque minuti di viaggio, intravidero per un attimo Saturno, e riuscirono a lanciare qualche occhiata agli anelli; ma era molto lontano ed erano visibili pochissimi particolari della superficie e dei satelliti. Tutti gli altri pianeti erano rimasti invisibili.

Non potevano parlarsi, ma avevano deciso indipendentemente che la nausea e il disagio non valevano affatto la candela. Fino a quando, tutt’a un tratto, la Terra comparve su un lato dello schermo. Rapidamente, il pianeta fluttuò fino a profilarsi davanti a loro per gli ultimi stadi dell’avvicinamento.

E le loro sofferenze, da quel preciso istante, non ebbero più importanza.

Erano stati condizionati dai nastri videoregistrati immagazzinati a bordo della nave ad aspettarsi una pallina azzurro-verde coperta di nubi, in compagnia di una luna, sospesa isolata nello spazio: invece l’intera sfera della Terra risplendeva cinta da una collana di punti luminosi che turbinava intorno al globo centrale come una nube di elettroni intorno al nucleo d’un atomo. Ce n’erano tanti, infatti, da creare l’illusione d’una nube luminosa e continua, un alone lucente intorno all’equatore del pianeta. Mentre guardavano, delle unità più piccole schizzarono come lucciole fra la Terra e le strutture orbitanti.

Le stazioni spaziali. Si trovavano a tutte le altezze, qualcuna quasi sfiorava l’atmosfera, un intero, fitto anello si trovava ad altitudine sincrona, altre vagavano più all’esterno, fin oltre la Luna. E per essere visibili a quella distanza, molte di esse dovevano avere un diametro di chilometri. Peron ed Elissa stavano contemplando il risultato di venticinquemila anni di continuo sviluppo dello spazio orbitale della Terra. Le operazioni di spostamento e di sfruttamento degli asteroidi che avevano avuto inizio all’alba dell’era spaziale della Terra avevano prodotto un ricco raccolto.

Prima che Peron ed Elissa avessero avuto anche soltanto un paio di minuti per assimilare quella scena, stavano già puntando verso una delle strutture più grandi. Si trovava in orbita sincrona, sospesa sopra una grande massa continentale dal profilo di un’ampia punta di freccia. Un filamento scintillante si stendeva giù dalla stazione verso la Terra, per poi sparire alla vista all’interno dell’atmosfera.

Il loro avvicinamento finale fu compresso in pochi S-secondi di movimento confuso. Serpeggiarono in mezzo a un labirinto di altre navi spaziali, di cavi e gallerie di collegamento. Tutt’a un tratto si trovarono ormeggiati, la nave immobilizzata. Stavano cercando di liberarsi dai bozzoli, quando un uomo si materializzò nella cabina e abbassò lo sguardo su di loro.

Era basso, grassoccio, i capelli grigi, e vestito a puntino, con degli elaborati anelli incastonati di gioielli sulla maggior parte delle sue dita. Portava un fiore all’occhiello, il primo bocciolo di qualsiasi tipo che vedevano da quando avevano lasciato Pentecoste. Lo sguardo severo sulla faccia era contraddetto da una fitta trama di sottili rughe ridenti intorno ai suoi occhi simili a bottoni e alla sua piccola bocca.

— Bene — disse in tono spigliato, dopo un’accurata ispezione a Peron ad Elissa. — Sembrate normali quel che basta. Aspettavo il vostro arrivo con un certo interesse. Nessuno di voi due assomiglia al mostro degenerato che i rapporti di settore suggerivano. E Olivia Ferranti parla bene di voi. Perciò, procediamo sulla base di questa supposizione. Ordine: togliete i bozzoli.

Le reti di frenaggio scomparvero, e l’ometto tese con calma una mano per aiutare Elissa ad alzarsi.

— Mi chiamo Jan de Vries — disse. — È mio malinconico dovere approvare, o proibire, tutti i viaggi per e dalla Terra da parte di certe persone che vivono nell’S-Spazio. Suppongo che vogliate ancora visitare la Terra, come avevate richiesto.

— Certo che vogliamo farlo — esclamò Elissa. — Scenderà laggiù con noi?

De Vries parve addolorato. — Ben difficilmente. Mia cara giovin signora, i miei doveri sono vari e talvolta strani, ma fino ad oggi non hanno compreso la funzione di guida turistica. Posso, però, eliminare per voi alcune formalità che di norma sarebbero svolte in maniera diversa. Quand’è stata l’ultima volta che vi siete trovati nello spazio normale?

— Non più da quando siamo partiti per il Quartier Generale di Settore — rispose Peron. Cominciava a sentirsi sempre più inquieto. Si era preparato a un violento scontro con i governanti segreti degli Immortali, invece era là, intento a parlare con quello che aveva tutte le apparenze d’un burocrate.

— Molto bene — disse de Vries. — Allora potete venir preparati subito per la vostra visita sulla Terra. A proposito, scoprirete che il servizio robotico ignorerà i vostri ordini fino a quando non avremo inserito i profili delle vostre voci nel computer della situazione. Questo fa parte di un più ampio trasferimento dati. Verrà completato al vostro ritorno quassù, e allora parleremo di nuovo. Ma per il momento avrete bisogno della mia assistenza. Ordine: preparateli per la visita standard alla Terra.

— Ma noi non… — Peron si fermò. De Vries era scomparso. Poi le pareti ruotarono intorno a lui e intravide un lungo corridoio. Quando la scena tornò a stabilizzarsi, sentì un forte dolore alla coscia. D’un tratto fu come se fosse tornato su Whirlygig, avvertendo quella familiare e inquietante caduta nella tenebra.

Il suo ultimo pensiero fu di rabbia. Aveva giurato che non sarebbe più successo, ma stava succedendo adesso! Le cose erano sfuggite al suo controllo. E non aveva nessuna idea di cosa sarebbe successo dopo.

Peron ed Elissa emersero insieme dai serbatoi dell’animazione sospesa, dentro una stanza piena di una folla rumorosa ed eccitata. Seppero subito che si trovavano di nuovo nello spazio normale, l’S-Spazio non avrebbe potuto offrire una visione così nitida o dei colori così vivaci. Nell’aria c’era un sentore esilarante, e una sensazione di benessere scorreva nelle loro vene. Si guardarono intorno incuriositi.