Charlene non rispose. Altre volte Wolfgang aveva parlato di andarsene da Gulf City, ma mai prima di allora in termini così perentori. Se Wolfgang se ne fosse andato, lei cosa avrebbe fatto? Non poteva sopportare l’idea di perdere Wolfgang, ma non poteva neanche disertare il proprio lavoro e abbandonare Judith Niles.
Era lieta del buio. E più che mai temeva i risultati dell’imminente incontro.
CAPITOLO VENTOTTESIMO
Sy esitò, forse per un minuto, dopo aver lasciato Peron ed Elissa. Poi si mosse in fretta. Durante il loro giro attraverso Gulf City avevano visto una dozzina di camere per l’animazione sospesa, per i trasferimenti da e per l’S-Spazio. Adesso si diresse verso la più vicina di esse e senza esitazione si calò dentro uno dei serbatoi. Eseguì un ultimo controllo dei monitor per avere la conferma di essere solo e inosservato, poi si distese nella bara, e diede inizio alla procedura che l’avrebbe portato nello spazio normale. Chiuse gli occhi…
… e li aprì, e trovò Judith Niles che lo scrutava con calma attraverso il coperchio trasparente del serbatoio. Aveva un sorriso indecifrabile sul viso. E quando lui fu completamente sveglio, aprì il portello e lo aiutò ad uscire. Lui la fissò, guardingo.
— Vieni — lei gli disse. — Tu ed io dobbiamo parlare, noi due soltanto. Credo che il mio ufficio ti farà sentire più a tuo agio di questa camera. — E senza guardarlo si girò e gli fece strada.
Lo condusse verso il laboratorio principale di Gulf City, al centro vero e proprio della stazione. Ben presto Sy si trovò in una serie di stanze ben ammobiliate, con fotografie alle pareti, scaffali di veri libri, e file serrate di monitor. Lei li indicò con un gesto della mano.
— Prima lezione. Ti impartirò moltissime lezioni. Non supporre mai di non essere osservato, a Gulf City. Ho imparato l’arte del monitoraggio da un maestro, il solo maestro che abbia mai conosciuto. Da qui puoi osservare qualunque cosa. — Attivò la rotazione dell’appartamento per dargli una gravità effettiva di circa la metà di quella della Terra, poi si lasciò sprofondare in una poltrona e piegò le gambe sotto di sé. Fece cenno a Sy di sedersi davanti a lei. Vi fu un lungo silenzio durante il quale si esaminarono a fondo l’un l’altro.
— Vuoi che parli io? — disse lei, alla fine.
Sy mosse la testa. — Tu per prima, io per secondo. Sai che ho delle domande.
— Certo che ne hai. — JN si abbandonò sullo schienale e sospirò. — Non mi interesseresti, se non ne avessi. E credo di avere alcune risposte. Ma dev’essere una strada a due direzioni.
— Cosa vuoi da me?
— Tutto. Collaborazione, comprensione, la forza del tuo cervello, nuove idee, forse un’associazione alla pari. — Lo stava fissando con singolare intensità, con i grandi occhi immobili sotto la fronte coperta di cicatrici. — È qualcosa che non ho mai avuto durante tutti gli anni trascorsi da quando ho lasciato la Terra. Credo che tu possa essere un partner completo. Dio sa se non ne abbiamo bisogno, qui stiamo morendo per mancanza di pensieri freschi. Tutte le volte che qualcuno ha trovato la strada per arrivare a Gulf City, ho aspettato e sperato. — La sua espressione era cambiata, era diventata quasi supplichevole. — Credo che tu sia diverso. Possiamo leggerci a vicenda, tu ed io. È più raro di quanto tu non immagini. Voglio che tu mi aiuti a reclutare i tuoi compagni, poiché io non sono sicura di poterlo fare. Sono una coppia ostinata. Ma tu, pensi alla mia maniera. Sospettavo che tu saresti venuto qua, nello spazio normale, perché è proprio quello che faccio io, quando ho bisogno d’un momento di tranquillità, il tempo per pensare. Hai sentito dire che fa male andare dallo spazio normale all’S-Spazio e viceversa troppo spesso?
Sy annuì. — È quello che Olivia Ferranti ci ha detto. Lei ci crede, ma io non sono sicuro di crederci. Non ho visto nessuna prova.
— Non credo che la vedrai. Se ci sono effetti nocivi, sono molto sottili. — Judith Niles sorrise di nuovo, un sorriso aperto che le illuminò il volto. — Ma un sistema nel quale la gente rientra nello spazio normale per pensare troppo è difficile da controllare. Tu non prendi troppo in considerazione le parole degli altri, non è vero?
— Dovrei? — La faccia di Sy era priva d’espressione. — Ascolta, se questa dev’essere qualcosa di più d’una perdita di tempo, scendiamo allo specifico. Hai ragione, sono venuto qui per pensare prima che c’incontrassimo di nuovo con te. Avevo bisogno di tempo. Gulf City mi pareva simile ad una grande sciarada, un luogo senza nessuno scopo plausibile. Se vuoi la mia collaborazione, la collaborazione di Peron ed Elissa, comincia dicendomi cosa veramente succede qui, dimmi perché esiste Gulf City.
— Farò di meglio. — Judith Niles si alzò in piedi. — Te lo farò vedere. Potrai vederlo con i tuoi stessi occhi. Non mi capita spesso l’occasione di vantarmi del lavoro che abbiamo fatto qui, ma questo non significa che io non ne vada orgogliosa. Indossa questa tuta, visiteremo alcuni luoghi freddi.
Lo condusse per un lungo corridoio. La prima stanza conteneva una mezza dozzina di persone, tutte congelate in atteggiamenti di grande attenzione intorno a due letti occupati da forme supine.
— Un laboratorio standard nell’S-Spazio. — Judith Niles scrollò le spalle. — Qui non ci sono grandi misteri, e nessuna giustificazione per Gulf City. Conduciamo ancora esperimenti sul sonno nell’S-Spazio, ma non c’è nessuna ragione, se non il mio interesse personale, perché ciò debba aver luogo qui. Questo è il mio laboratorio. Ho cominciato la ricerca sul sonno quand’ero ancora sulla Terra… ci ha condotto alla scoperta dell’S-Spazio. Il centro principale per la ricerca sul sonno si trova ancora nel Sistema Solare, sotto la direzione di Jan de Vries. La miglior procedura che conosciamo riduce il sonno a un’ora ogni trenta. Il nostro obiettivo finale è sempre lo stesso: sonno zero.
Chiuse la porta. Un altro corridoio, un altro laboratorio, a questo si accedeva attraverso una porta isolante doppia. Prima di entrare, chiusero le loro tute.
— Qui la temperatura è molto al di sotto del punto di congelamento — disse Judith Niles attraverso la radio della tuta. — Questo dovrebbe essere più interessante. L’abbiamo scoperto all’incirca settemila anni terrestri or sono. Wolfgang Gibbs si è imbattuto in questa condizione mentre stavamo esplorando gli effetti fisiologici del sonno freddo. Lui lo chiama T-stato.
La stanza conteneva quattro persone, ognuna seduta su una sedia, e sorretta alla testa, ai polsi, alla cintura e alle cosce. Indossavano delle cuffie che coprivano loro gli occhi e gli orecchi, e non si muovevano.
Sy venne avanti e scrutò ognuno di loro da vicino. Toccò la punta congelata di un dito, e sollevò il davanti d’una cuffia per sbirciare dentro un occhio aperto. — Non possono trovarsi nell’S-Spazio — disse infine. — Questa stanza è troppo fredda. Sono coscienti?
— Completamente. Questi quattro sono volontari. Si trovano nel T-stato da quasi mille anni terrestri, ma per loro è come se vi fossero entrati cinque ore fa. La velocità della loro esperienza soggettiva è all’incirca due milionesimi del normale, all’incirca un millesimo della velocità dell’S-Spazio.
Sy rimase silenzioso, ma per la prima volta parve sorpreso.
— Impressionato? — annuì Judith Niles. — Abbiamo tutti provato la stessa cosa quando Wolfgang ce l’ha fatto vedere. Ma il vero significato del T-stato non ti apparirà ovvio ancora per un po’. È difficile afferrare con quanta lentezza il tempo passi qua dentro. Lascia che ti dica come l’ha descritto Charlene Bloom quando lei ed io abbiamo avuto la prima esperienza di un minuto in T-stato: nel tempo che un orologio in T-stato impiega a suonare i rintocchi della mezzanotte, la Terra passerebbe attraverso due intere stagioni, dall’inverno alla primavera, e di qui all’estate. Un’intera vita sulla Terra scorrerebbe via in mezz’ora T. Non abbiamo nessuna idea di quale possa essere l’arco di vita per qualcuno che rimane in T-stato, ma presumiamo siano milioni di anni terrestri.