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— È vero. Ma questo significa che vi sono restrizioni nel budget che vi viene reso disponibile. Proprio oggi, ad esempio, ha appreso di un ulteriore taglio dei finanziamenti a causa della crisi finanziaria dell’ONU.

La sua espressione mostrò stupore. — In nome di Morfeo, com’è possibile che lei lo sappia? L’ho scoperto io stessa soltanto un paio di ore fa, e mi hanno detto che la decisione era appena stata presa.

— Mi permetterà di rinviare la risposta, se non le spiace, fino a quando non ci saremo occupati di un paio di altre cose. So che avete avuto dei problemi di soldi. Cosa ancora peggiore, ci sono altre restrizioni, che lei trova difficile accettare, sugli esperimenti che vi è concesso fare.

Il labbro inferiore si spinse un po’ in avanti, e l’espressione di lei si fece guardinga. — Adesso non credo di riuscire a seguirla. Non le spiacerebbe essere un po’ più specifico?

— Col suo permesso, preferisco differire anche la discussione di questo argomento. Spero che, prima, mi permetta qualche minuto su un altro soggetto. Potrebbe sembrare del tutto scollegato dai budget e dalle libertà di sperimentazione, ma le garantisco che è una cosa di tutto rilievo. Dia una rapida occhiata a questo, poi le spiegherò il preciso motivo per il quale mi trovo qui.

Le passò un cilindro nero e piatto, — È un videoregistratore. Non si preoccupi della messa a fuoco, le fasi olografiche sono regolate su un piano focale percepito a sei piedi dall’occhio. Basta lasciar rilassare i propri occhi.

Judith Niles corrugò la fronte mostrando perplessità, rimise sul piatto il panino ancora intatto, e sollevò il cilindro all’altezza dell’occhio destro. — Come faccio a farlo funzionare?

— Prema il pulsante sul lato sinistro. Ci vogliono un paio di secondi prima che si formi l’immagine.

Gibbs rimase seduto in silenzio, aspettando, mentre una cameriera in uniforme verde sistemava davanti a ciascuno di loro una scodella di minestra color marrone torbido.

— Non vedo proprio niente — disse Judith Niles, dopo qualche secondo. — Non mi riesce di mettere a fuoco niente… oh, un momento…

La cortina nera come l’ebano davanti a lei cominciò ad assumere dei vaghi particolari a mano a mano che i suoi occhi si adattavano alla bassa intensità luminosa. C’era uno sfondo stellato con una lunga struttura affusolata in primo piano illuminata dalla luce riflessa del sole. Dapprima non ebbe alcun senso delle proporzioni, ma a mano a mano che il campo visivo si spostava lungo quella ragnatela di travi, altri elementi di quella scena cominciarono a fornirle indizi. Un rimorchiatore spaziale era accostato a una di quelle lunghe travi, il suo corpo tozzo era mezzo nascosto dal metallo. Più in fondo poteva vedere una capsula-della-vita agganasciata come un minuscolo fungo in un angolo d’un enorme giunto. La costruzione era enorme, si stendeva per centinaia di chilometri fino al lontano boma finale.

La telecamera continuò a scendere in picchiata verso il basso, fino a quando il lembo di Terra illuminato dal Sole comparve nel campo visivo.

— Sta vedendo una panoramica ripresa da uno dei monitor standard — spiegò Hand Gibbs. — Ce ne sono venti alla stazione. Funzionano ventiquattro ore al giorno ed effettuano rilevamenti di routine di tutto ciò che avviene. Quella telecamera concentra la propria attenzione soprattutto sulla nuova costruzione sul lato più basso del boma. Lei sa che stiamo costruendo una trave a mensola sperimentale di settecento chilometri su PSS-One? A quanto pare quaggiù la maggior parte della gente la chiama la Stazione Salter, anche se a Salter Wherry piace far notare che è stata la prima di molte, per cui PSS-One è un nome migliore. Comunque, non ci serve quell’estensione della trave a mensola per le attuali arcologie, ma sono sicuro che uno di questi giorni la useremo.

— Uh, uh. — Judith non distolse gli occhi dalle cavità orbitali del visore. La telecamera stava zoomando, avvicinandosi sempre di più a un’area all’estremitià del boma, dove erano diventati visibili due puntolini. Si rese conto che stava vedendo un primo piano ad alto ingrandimento d’una piccola parte del campo visivo della telecamera. A mano a mano che i puntolini crescevano di dimensioni, l’immagine cominciava a mostrare una leggera grana, con l’avvicinarsi del limite utile di risoluzione. Poteva distinguere braccia e gambe di ogni sìngola tuta spaziale, e i cavi che assicuravano le tute alle travi sottili.

— Stanno installando una delle antenne sperimentali — disse ancora la voce di Hans Gibbs. Era ovvio che sapeva esattamente qual era il punto del display che lei aveva in quel momento davanti ai propri occhi. — Quei due si trovano molto lontano dal centro della massa della Stazione, quattrocento chilometri sotto di essa. La Stazione Salter si trova in un’orbita di sei ore a diecimila chilometri di quota. A quell’altitudine la velocità orbitale è di quattrocentomilaottocentoottanta metri al secondo, ma l’estremità del boma viaggia a soli quattromilasettecentosessanta metri al secondo. Vede la leggera tensione in quei cavi? Quei due non sono del tutto in caduta libera. Avvertono all’incirca un centesimo di G. Non molto, ma quanto basta a fare la differenza.

Judith Niles esalò un profondo sospiro, ma non replicò.

C’erano abbastanza particolari nell’immagine per vedere esattamente quello che stava accadendo. I cavi che assicuravano una delle due figure in tuta spaziale erano stati allentati, in modo che potesse essere raggiunta una nuova posizione sulla trave. Una sottile antenna era stata allungata e si estendeva molto oltre l’estremità del boma. La figura più a sinistra cominciò a spostarsi lentamente lungo l’antenna, nel guanto destro stringeva una staffa di sicurezza. Era ovvio che ci sarebbe stato un altro punto di aggancio a portata di mano lungo la trave, dove il cavo di sicurezza poteva venir attaccato. La tuta si spostava con molta lentezza ruotando un po’ a mano a mano che avanzava. La seconda figura era rannicchiata sopra un’altra parte di quella ragnatela metallica, intenta ad agganciare una seconda grappa per l’antenna.

— In trenta secondi ci si sposta di quasi cinquanta metri — disse Hans Gibbs con calma. La sua compagna sedeva immobile come una statua.

La comprensione crebbe per minuscoli incrementi, in modo che non vi fu mai un solo istante in cui i sensi potessero dire all’improvviso: — Guai in vista! — La figura era quasi arrivata al punto di aggancio. Si stava ancora muovendo, avanzando a poco a poco, certamente abbastanza vicina, ormai, perché allungando il braccio potesse attuare il collegamento. Altri cinque secondi… e quel contatto fu mancato. Adesso, sarebbe stato necessario usare i comandi della tuta per applicare la piccola spinta necessaria a tornare indietro a portata di contatto. D’un tratto Judith Niles si trovò a desiderare disperatamente che i propulsori della tuta si accendessero, a bramare che la seconda figura sollevasse lo sguardo per vedere quello che lei vedeva. La distanza crebbe, qualche piede, trenta metri, tutta la lunghezza della sottile antenna. La tuta aveva cominciato a ruotare con maggiore rapidità sul proprio asse. Stava per superare l’ultimo punto possibile di contatto con la struttura.

— Oh, no. — Le parole furono un mormorio di protesta. Judith Niles stava respirando affannosamente. Dopo qualche altro secondo di silenzio, diede in un altro breve mormorio e drizzò il corpo con un sussulto, irrigidendosi. — Oh, no. Perché non fa qualcosa? Perché non si aggrappa all’antenna?

Hans Gibbs allungò una mano e gentilmente scostò il piatto cilindro dai suoi occhi. — Credo che lei abbia visto abbastanza. Ha visto l’inizio della caduta?

— Sì. Era una simulazione?

— Temo proprio di no. Era reale. Cosa pensa di aver visto?

— La costruzione del boma della Stazione Salter, su PSS-One. E c’erano due operai che stavano montando la sezione di un’antenna.