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Sy aveva assunto un’espressione che Peron ed Elissa avrebbero trovato familiare. Pareva a disagio e privo di fiducia in se stesso. — Ho interpretato male. Pensavo che l’unica ragione per essere qui a Gulf City fosse quella di trovarsi al sicuro dalle interferenze esterne e avere il controllo dell’S-Spazio. Ci era stato detto che il vantaggio di essere un «Immortale» era soprattutto costituito da un arco di vita soggettivo accresciuto, ma adesso mi chiedo se sia poi vero.

— Hai ragione di chiedertelo. Abbiamo disponibili metodi per il prolungamento della vita che sono il risultato delle ricerche fatte sull’S-Spazio, i quali consentono un aumento dell’arco della vita anche nello spazio normale. E con ogni probabilità consentono al soggetto anche di godersi meglio la vita. Ma non puoi risolvere il problema che gli Oggetti Kermel ci hanno proposto a meno che non ci si possa lavorare sopra a lungo. Questo significa Gulf City e significa l’S-Spazio. — Si alzò in piedi. — Sei disposto a lavorare insieme a me a questo problema? E mi aiuterai a persuadere i tuoi amici a fare lo stesso?

— Ci proverò. — Sy esitò. — Ma ho ancora bisogno di riflettere. Non ho avuto tutto il tempo per pensare che avrei desiderato quando mi sono diretto verso i serbatoi.

Judith Niles annuì. — Lo so. Ma volevo che tu elaborassi i tuoi pensieri con una completa conoscenza di quello che accadeva qui. Ora l’hai. Io, adesso, tornerò indietro. Questa camera si chiuderà da sola quando anche tu te ne andrai. E non appena sarai pronto a farlo, c’incontreremo di nuovo con i tuoi amici. — A questo punto esitò, la sua espressione eguagliò quella di Sy quanto a disagio. — C’è qualcos’altro da discutere, ma si tratta d’un diverso argomento. E voglio farlo quando tutti voi sarete insieme.

Gli rivolse un sorriso preoccupato e si avviò verso la porta. Per la prima volta Sy la vide con una figura solitaria e vulnerabile. La forza e l’intensità della sua personalità c’erano ancora, inequivocabili. Ma erano come ammutolite: ad esse si era sovrapposta la consapevolezza d’un mostruoso problema irrisolto. Sy riandò col pensiero alla splendida sicurezza con cui i vincitori del Planetfest erano decollati da Pentecoste. Avevano avuto la brillante convinzione che ogni problema della Galassia avrebbe ceduto davanti al loro attacco combinato. E adesso? Sy si sentiva più vecchio, con un grande bisogno di tempo per pensare. Judith Niles aveva sopportato un micidiale carico di responsabilità per lunghissimo tempo. Aveva bisogno di aiuto, ma lui era in grado di fornirglielo? C’era qualcuno che potesse farlo? Voleva tentare. Per la prima volta nella sua vita aveva incontrato qualcuno il cui intelletto percorreva i suoi stessi sentieri, qualcuno alla cui presenza si sentiva completamente a suo agio.

Sy si lasciò andare sullo schienale della sua poltrona. Sarebbe stata una bella ironia se la soddisfazione derivante da quell’incontro di cervelli fosse giunta allo stesso tempo d’un problema troppo grosso per tutti e due.

Un’ora più tardi Sy era ancora nell’identica posizione. Malgrado tutti gli sforzi fatti, la sua mente era tornata inesorabilmente a un solo punto focale: gli Oggetti Kermel. Cominciò a vedere l’universo come dovevano vederlo loro, da quel punto di vista unico offerto ad essi da una lunghissima prospettiva evolutiva nel tempo. Con la disponibilità del T-stato, gli esseri umani avevano ora la possibilità di sperimentare l’altra visione del mondo.

Qui c’era un cosmo che era esploso da un punto di singolarità iniziale di calore e luce incomprensibili, nel quale delle grandi galassie si erano formate, si erano avvolte a spirale, e avevano ruotato intorno al proprio asse centrale come immense girandole. Si erano ammassate insieme in approssimative famiglie galattiche, avevano emesso getti di gas e radiazioni superenergetiche, erano entrate in collisione ed erano passate le une attraverso le altre, e avevano generato al loro interno immense nebulose gassose. I soli si erano rapidamente formati da nubi oscure di polvere e di gas, sbocciando dal rosso più cupo al biancoazzurro più fiammeggiante.

Mentre Sy guardava con l’occhio della sua mente, le stelle s’illuminarono, si espansero, esplosero, divennero più fioche, scagliarono fuori sfilze di pianeti, oppure rotearono vertiginosamente le une intorno alle altre. Una miriade di frammenti planetari si raffreddarono, si creparono, e alitarono le loro guaine protettive di gas. Catturarono la scintilla della vita dentro i loro oceani d’acqua e d’aria, l’alimentarono, la nutrirono, e alla fine la scagliarono in alto spazio circostante. Poi vi fu un ribollente tremolio di vita intorno alle stelle, una danza browniana d’incessante attività umana contro il mutevole sfondo stellare. Lo spazio vicino alle stelle si riempì del battito d’ali del colibrì e del luccichio della vita organica intelligente. L’intero universo giaceva aperto davanti ad essa.

E adesso il T-stato era diventato essenziale. Pianeti usati come base dagli umani, meno di effimere, guizzarono attraverso la loro breve esistenza in una minuscola frazione del giorno cosmico. L’intera storia umana aveva fatto il suo corso in una singola T-settimana, mentre l’umanità usciva dal turbinare da dervisci dei pianeti nello spazio intorno a Sol. Poi l’S-Spazio aveva dato loro le stelle più vicine; ma l’intera Galassia e le immensità beanti dello spazio intergalattico li chiamavano ancora. E in quello spazio, nel T-stato, gli esseri umani sarebbero stati liberi di prosperare per sempre.

Sy si abbandonò sullo schienale, inebriato dalla sua nuova visione. Poteva vedere un sentiero luminoso che nasceva dai primordi dell’umanità, stendendosi ininterrotto fino al più lontano futuro. Era la strada per l’eternità. Ed era una strada che lui voleva intraprendere, qualsiasi fossero state le conseguenze.

CAPITOLO VENTINOVESIMO

Elissa fu l’ultima ad arrivare alla riunione. Mentre si affrettava a entrare nella sala conferenze per prendere posto, lanciò uno sguardo intorno al tavolo, e rimase subito colpita dalla strana disposizione delle sedie. Judith Niles sedeva sola a capotavola, la testa china in avanti, gli occhi fissi sulla consolle di controllo incorporata nel tavolo davanti a lei. Sy sedeva subito alla sua destra, e Peron accanto a lui, con una sedia vuota fra loro. Peron pareva un po’ a disagio, mentre era ovvio che Sy si trovava ad un milione di miglia di distanza, immerso in qualche sua preoccupazione privata. Wolfgang Gibbs e Charlene Bloom occupavano sedie ai lati opposti del tavolo. Sedevano molto vicini l’uno all’altra, ma alquanto discosti dagli altri. Wolfgang aggrottava la fronte, chiaramente di cattivo umore, e si masticava un’unghia, mentre Charlene Bloom lanciava occhiate all’uno e all’altro dei presenti, con le palpebre che le sbattevano rapide. Elissa la fissò con molta attenzione. Un nervosismo al livello estremo? Certo, sembrava di sì, ma senza nessun motivo ovvio. E su tutta la stanza gravava una tranquillità innaturale, senza il normale, casuale chiacchierio che precedeva anche le riunioni più serie. Nel suo insieme, l’atmosfera era tesa, glaciale.

Elissa ristette, rimanendo in piedi. Aveva una scelta: sedersi davanti a Sy, nel posto libero tra Wolfgang e il Direttore… oppure accanto a Sy e a Peron; o addirittura all’altra estremità del tavolo, proprio davanti al Direttore. Judith Niles sollevò la testa. Elissa subì una breve occhiata scrutatrice da parte di quegli occhi intensi, poi il Direttore accennò brevemente col capo in segno di saluto. Pareva remota e preoccupata almeno quanto Sy.

— Al lavoro — disse finalmente Judith Niles. — A quanto so, Sy vi ha informato tutti e due del nostro incontro e della conversazione che abbiamo avuto… non è così?

Peron ed Elissa si guardarono. — Nei dettagli — disse Elissa. Aspettò una reazione da Peron, ma lui non parlò. — Comunque, abbiamo ancora delle domande — aggiunse.