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— Wolfgang! — esclamò Charlene Bloom. La parola le era sfuggita spontanea. Si morse il labbro e abbassò lo sguardo. Stavano rivelando troppo, c’era troppa nuova speranza nella voce di lui, e troppo vivo dolore nella propria.

Judith Niles si era raddrizzata sulla sua sedia. Il sostegno ad Elissa era arrivato dalla direzione che meno si era aspettata. — E tu, Charlene? — chiese con calma. — Dal momento che, a quanto pare, ci siamo formati tutti la nostra opinione.

Peron fissò il Direttore e si stupì. Come Sy, sembrava capace di spostarsi all’istante da una posizione all’altra, ed essere subito pronta per lo stadio successivo della discussione. Era come se la sua analisi delle osservazioni sue e di Elissa fossero state fatte in maniera automatica, nel subconscio, senza bisogno di tempo per l’assimilazione e una riflessione completa.

— Rimarrò qui — disse Charlene dopo qualche istante. Si voltò per guardare Wolfgang e la sua voce era disperata. — Il mio lavoro è qui, a Gulf City. Non potrei farlo in un’altra installazione. Ma Wolfgang, se tu te ne vai, chi potrà continuare il tuo lavoro sul T-stato?

Judith Niles fissò Sy, il quale fece un impercettibile cenno col capo. — Abbiamo un volontario per questo — lei annunciò. — Sy ha il desiderio di esplorare il T-stato e oltre. Perciò, adesso…

Si abbandonò sullo schienale della sedia e chiuse di nuovo gli occhi. — Adesso viene la domanda difficile. Voi proponete un approccio radicalmente diverso. Sono convinta che funzionerà?

— Domanda sbagliata — replicò Peron.

Judith Niles aprì gli occhi e gli sorrise. — È vero. Mi correggo: non possiamo conoscere in anticipo quello che funzionerà e quello che non funzionerà. Quindi, ecco la domanda corretta: penso che una seconda installazione nello spazio normale abbia una miglior possibilità di successo che una nell’S-Spazio? La risposta è: forse. Sì, forse. Ho pensato a molte possibilità, ma non avevo mai preso in considerazione la soluzione dell’effimera.

— Non puoi permetterti di non tentarla — disse Peron. — Anche se tu la respingerai, noi la tenteremo.

— Lo so. Brutta posizione per un capo. Giusto? — Sorrise, poi si voltò verso Wolfgang. — E sai per cosa ti stai offrendo volontario? Possiamo darti un arco di vita prolungato nello spazio normale, ma sarai pur sempre morto in meno di un S-anno.

— Dammi credito per qualcosa, JN. — Quel momento di sfida aveva dato a Wolfgang una nuova fiducia. — So esattamente quello che mi sono offerto di fare. Andrò nello spazio normale, e mi aspetto di morirci. E allora? Anch’io ho visto quel messaggio da Paradiso. E adesso che ci penso, non ho mai voluto vivere per sempre. Voglio soltanto vivere bene. Qui, Sy può fare il mio lavoro almeno altrettanto bene, maledettamente meglio, magari. Io dico: procediamo.

Non aspettò una risposta da Judith Niles. Invece si voltò verso Charlene e le strinse una mano fra le sue. Sulla stanza scese il silenzio. Tutti guardavano con attenzione. La mente di Charlene spaziò in un lampo attraverso i secoli, fino all’epoca in cui sulla Terra Wolfgang l’aveva fatta inorridire accarezzandole in segreto la coscia alla presenza di JN. Ma questa volta non sussultò quando Wolfgang la toccò con delicatezza alla spalla. La sua vista era offuscata dalle lacrime. Si mosse verso di lui quando Wolfgang si sporse in avanti per baciarla, e gli mise le braccia intorno al collo. Le parole finali non erano state dette, ma lei sapeva che la decisione era irrevocabile.

Ma la partenza per la seconda installazione non poteva avvenire subito. Lei e Wolfgang si sarebbero visti molte altre volte prima che ci fosse un altro commiato, formale e definitivo.

Ma quel momento era unico. Quello era il loro primo addio.

EPILOGO

Cinque minuti. Rimangono cinque minuti. E dopo? Se fossi sicuro della risposta, avrei potuto evitare un viaggio di quaranta miliardi di anni.

Cinque minuti… al momento del monoblocco.

Gli Oggetti Kermel sono tutt’intorno a me, sempre più stipati a mano a mano che l’universo si rimpicciolisce. Infine, sono silenziosi. Perfino le transizioni a bassa frequenza sono ridotte a niente. E i Kermel hanno cambiato aspetto durante le ultime due ore. Adesso al loro centro c’è una pulsazione, come un lento battito di cuore che si stia rafforzando; e i viticci esterni si sono costantemente contratti, per rinserrarsi intorno al centro più scuro. Mi sento come se stessi assistendo a una parodia dell’evoluzione galattica, braccia a spirale nere come l’inchiostro che si avvicinano sempre più, annodandosi intorno ai nuclei. Le regioni più interne sono di un nero totale. Sembrano buchi nell’universo.

Al di là di essi, ogni cosa diventa sempre più luminosa. Lo vedo soltanto come viene filtrato attraverso gli strati protettivi dei Kermel, ma ogni pochi secondi c’è un lampo azzurro, poi una scintillazione così violenta che non posso neanche guardarla. È una bellezza che l’universo, forse, vede soltanto una volta…

Quattro minuti. Ci stiamo avvicinando alla singolarità finale. Il raggio totale dell’universo adesso è meno di ottanta milioni di chilometri. Altri duecento secondi e arriverà il punto di compressione finale.

Cinque secondi prima di quel punto l’universo avrà una dimensione inferiore a un Oggetto Kermel. E poi?

La fine del viaggio: sempre più veloce.

Se vi sarà una singolarità, il momento dell’annichilimento dovrà occupare un tempo zero.

E la mia mente s’interroga. Insiste a spingere avanti un fatto, una nozione matematica appresa molto tempo fa e che pensavo di aver dimenticato da tempo. Nelle vicinanze d’una singolarità sostanziale, una variabile complessa assume tutti i valori possibili. Se qui, questo ha rilevanza, nell’avvicinarsi alla suprema singolarità del nostro universo, allora fra tre minuti da adesso ogni cosa sarà possibile. A mano a mano che il caos cresce dall’ordine, niente è proibito.

I miei tre compagni sono silenziosi, sopraffatti dallo spettacolo intorno a noi. Si accontentano di guardare le proiezioni, mentre io registro quest’ultimo messaggio. Per chi?

C’è un altro cambiamento. Le stelle sono scomparse già da molto tempo, svanite nella bolla ardente intorno a me. Adesso non dovrebbe più esistere nessuna struttura residua dello spazio. Ma gli Oggetti Kermel persistono. Assumono delle sfumature sempre più scure, risaltando solidi contro il bagliore azzurro-dorato del collasso cosmico.

Assisto all’anomalia. Lo splendore aumenta. L’universo si restringe verso il suo punto finale; ma l’oscurità dei Kermel non è diminuita.

Le spirali nere che mi circondano si stringono ancora di più, squarciando buchi d’ombra dagli orli taglienti, smorzando l’inferno, inghiottendo energia. Mi offrono uno scudo contro quell’intollerabile bagliore. Senza la loro protezione, sarei da tempo bruciato vivo. Invece la temperatura a bordo della nave rimane costante. La temperatura dell’universo, sempre che la temperatura abbia ancora un significato, è di trilioni di gradi.

So cosa la scienza e la logica mi dicono di aspettarmi. All’ultimo mini-microsecondo, dell’istante terminale della decreazione, ogni cosa si disintegra. Niente può sopravvivere alla temperatura infinita, alla pressione infinita, alla densità infinita. Tutto sarà scomparso, consumato…