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«Non hanno il piacere sessuale,» lo corressi. «Soltanto il danaro.»

«Ma compiono l’atto sessuale. E perciò ricevono un beneficio dagli uomini che vengono qui.»

«No, Vornan. Si lasciano semplicemente usare. Non c’è una transazione di piacere. Si rendono disponibili a chiunque, vedi, e questo toglie ogni piacere fisico a ciò che fanno.»

«Ma sicuramente il piacere si ha quando un corpo si congiunge con un altro, indipendentemente dalla motivazione!»

«No. Non tra noi. Devi capire…»

M’interruppi. Lui aveva un’espressione incredula. Peggio ancora, scandalizzata. In quel momento, Vornan mi parve autentico, un uomo di un altro tempo, più di quanto mi fosse mai sembrato. Era sinceramente scosso da questa rivelazione della nostra etica sessuale; la facciata di blando divertimento si dissolse, ed io vidi il vero Vornan-19, stordito e schifato dalla nostra barbarie. In preda alla confusione, non sapevo da che parte cominciare a spiegargli l’evoluzione del nostro sistema di vita. Gli proposi invece, incerto, d’incominciare la visita.

Vornan accettò. Avanzammo in un’immensa piazza interna di piastrelle violacee e cedevoli. Davanti a noi si stendeva una parete lucente su cui si aprivano le cabine dell’accettazione. Mi era stato spiegato cosa dovevamo fare. Vornan entrò in una cabina; io sedetti in un’altra, a sinistra della sua.

Un piccolo schermo si accese nel momento in cui varcai la soglia. C’era scritto: Si prega di rispondere a tutte le domande con voce alta e chiara. Una pausa. Se ha letto e capito queste istruzioni, lo indichi con la parola sì.

«Sì,» dissi. All’improvviso mi chiesi se Vornan era in grado di capire le istruzioni scritte. Parlava correntemente l’inglese, ma questo non significava che conoscesse necessariamente la lingua scritta. Pensai di accorrere in suo aiuto: ma il computer del postribolo mi stava dicendo qualcosa, e io tenni lo sguardo sullo schermo.

Mi stava interrogando sulle mie preferenze sessuali.

Femmina?

«Sì.»

Sotto i trenta?

«Sì.» Dopo una breve riflessione.

Colore preferito dei capelli?

Esitai. «Rosso,» dissi, così per cambiare.

Tipo fisico preferito: sceglierne uno premendo il pulsante sotto lo schermo.

Lo schermo mi mostrò tre profili femminili: uno efebico, sottile, secondo la moda; uno tutto curve, tipo ragazza della porta accanto; e uno ultravoluttuoso, ipermammifero, esaltato da ormoni steroidi. La mia mano vagò sui pulsanti. Ero tentato di scegliere la più carnosa ma, ricordandomi che cercavo un po’ di varietà, optai per la figura efebica, che nei contorni mi ricordava un po’ Aster Mikkelsen.

Poi il calcolatore cominciò a interrogarmi sul tipo di amore che preferivo. M’informò sbrigativamente che c’erano sovrapprezzi per certi atti devianti specifici, e li enumerò. Elencò la tariffa supplementare per ognuno di essi e notai, affascinato e agghiacciato, che la sodomia costava cinque volte di più della fellatio, e che il sadismo controllato era assai più dispendioso del masochismo. Ma io lasciai perdere fruste e stivali, e scelsi anche di rinunciare all’uso di orifici non genitali. Che gli altri si divertissero pure con gli ombelichi e le orecchie, pensai. In queste cose, sono un conservatore.

Poi passò sullo schermo, in sequenza, la scelta delle posizioni, poiché avevo optato per un congresso carnale regolare. Comparve una specie di scena uscita dal Kamasutra: venti e passa figurine stilizzate, maschili e femminili, che si accoppiavano in modi stravaganti e immaginosi. Ho visto i templi di Konarak e di Khajurao, monumenti dell’antica fecondità ed esuberanza hindu, coperti da immagini di uomini virili e di donne dai seni fiorenti, Krishna e Radha in tutte le combinazioni che uomo e donna abbiano mai escogitato. Lo schermo affollato aveva un po’ la stessa intensità febbrile, sebbene debba ammettere che le figurine stilizzate mancavano della voluttà, della carnalità tridimensionale di quelle splendenti immagini di pietra sotto il sole dell’India. Meditai sull’ampia scelta, e selezionai una posizione che solleticava la mia fantasia.

Poi venne il particolare più delicato: il computer volle sapere il mio nome e il numero della mia carta d’identità.

Alcuni sostengono che questo regolamento era stato aggiunto da qualche puritano vendicativo tra i legislatori, impegnato a combattere una disperata battaglia di retroguardia per mandare a rotoli l’intero programma della prostituzione legalizzata. L’idea era che nessuno sarebbe andato in un posto simile sapendo che la sua identità sarebbe stata registrata dal calcolatore centrale, magari per venir risputata più tardi e per finire in un dossier potenzialmente pericoloso. I funzionari responsabili dell’azienda, decisi a fare del loro meglio per fronteggiare quella condizione fastidiosa, sbandieravano che tutti i dati sarebbero rimasti eternamente segreti; tuttavia immagino che certuni temano di entrare in queste istituzioni solo perché debbono registrare la loro presenza. Ebbene, io cosa avevo da temere? Il mio contratto accademico può decadere solo per ragioni di turpitudine morale, e non può esserci nulla di turpe nell’usare un servizio governativo come quello. Diedi il nome e il numero della carta d’identità. Mi chiesi per un attimo come avrebbe fatto Vornan, che non aveva carte d’identità; evidentemente il computer era stato preavvertito della sua presenza, perché il visitatore era stato ammesso senza difficoltà alla fase successiva.

Alla base dell’output del cervello elettronico si aprì uno sportellino. C’era dentro una maschera, mi fu detto, che dovevo infilarmi sulla testa. Presi la maschera, la spiegai e me la misi. La sostanza termoplastica si adattò ai miei lineamenti come se fosse una seconda pelle, e mi chiesi come una cosa tanto aderente potesse nascondere qualcosa; ma m’intravvidi riflesso per un momento nello schermo, e non era l’immagine di una faccia che avrei potuto riconoscere. Misteriosamente, la maschera mi aveva reso anonimo.

Lo schermo mi disse poi di farmi avanti, mentre la porta si apriva. Obbedii. La parte anteriore della cabina si sollevò; mi avviai verso una rampa elicoidale che portava ai piani superiori dell’enorme palazzo. Intrawidi altri uomini che salivano rampe alla mia destra e alla mia sinistra; come spiriti che ascendono verso la salvezza, trasportati dalle rampe mobili, con i visi nascosti, i corpi tesi. Dall’altro scendeva il freddo splendore d’una gigantesca vasca luminosa, che ci inondava tutti di chiarore, Una figura mi salutò agitando la mano da una rampa adiacente. Era inequivocabilmente Vornan; sebbene fosse mascherato, lo riconobbi dalla figura esile, dalla posa eretta, e da una certa aura di alienità che sembrava avvolgerlo anche con i lineamenti nascosti. Passò oltre e scomparve, inghiottito dalla radiosità perlacea che scendeva dall’alto. Un attimo dopo, anch’io ero in quella zona di fulgore; rapidamente, passai attraverso un’altra porta che mi ammise in una stanza non molto più grande della cabina in cui mi aveva interrogato il computer.

Un altro schermo occupava la parete di sinistra. In fondo c’era un lavandino ed un pulitore molecolare; il centro della stanzetta era occupato da un casto letto matrimoniale, rifatto da poco. L’ambiente era grottescamente asettico. Se questa è la prostituzione legalizzata, pensai, preferisco le passeggiatrici… se ce ne sono ancora. Mi fermai accanto al letto, sbirciando lo schermo. Ero solo. La macchina infallibile aveva sbagliato? Dov’era la mia compagna?