Ma non avevano ancora finito di ispezionarmi. Lo schermo si accese e vi comparve una scritta: Si prega di togliersi gli abiti per la visita medica.
Mi spogliai, obbediente, e deposi gli indumenti in un armadietto che spuntò da una parete in risposta ad un comando a distanza. Lo sportello si richiuse: sospettai che i miei abiti sarebbero stati fumigati e purificati, mentre erano lì, e non mi sbagliavo. Ero nudo, a parte la maschera. L’uomo della strada ridotto ai minimi termini, mentre visori e sensori facevano guizzare sottili luci verdognole sul mio corpo, cercando molto probabilmente le stigmate delle malattie veneree. L’esame durò all’incirca sessanta secondi. Poi lo schermo m’invitò a tendere il braccio, ed io obbedii; allora scese un ago, che prelevò rapidamente un campione del mio sangue. Monitor invisibili esaminarono quel frammento di mortalità in cerca di tracce di corruzione, ed evidentemente non trovarono niente che minacciasse la salute del personale dell’istituzione, perché dopo un altro istante lo schermo fece lampeggiare una sorta di motivo luminoso per indicare che avevo superato l’esame. La parete accanto al lavabo si aprì ed entrò una ragazza.
«Ciao,» disse, «io sono Esther, e sono tanto contenta di conoscerti. Sono sicura che diventeremo grandi amici.»
Indossava un camice di velo, che mi permetteva di vedere i contorni del suo corpo snello. Aveva i capelli rossi, gli occhi verdi; il suo viso aveva l’aria intelligente, e sorrideva con un fervore che non era interamente meccanico, pensai. Nella mia ingenuità avevo immaginato che tutte le prostitute fossero creature volgari e flaccide, con i pori dilatati e facce imbronciate e amareggiate. Ma Esther non corrispondeva alla mia immagine preconcetta. Avevo veduto ragazze molto simili a lei, nel campus di Irvine; anzi, era possibile che avessi visto là proprio Esther. Non volevo rivolgerle la vecchissima domanda: Cosa ci fa una ragazza come te in un posto come questo? Ma rimuginavo. Rimuginavo.
Esther squadrò il mio corpo con aria attenta, forse non tanto per giudicare la mia mascolinità, quanto per scovare i difetti medici che potevano essere sfuggiti al sistema dei sensori. Tuttavia, riuscì a fare in modo che l’occhiata non fosse semplicemente clinica: era anche provocante. Mi sentivo curiosamente scoperto, probabilmente perché non sono abituato ad incontrare ragazze in circostanze del genere. Dopo la rapida ispezione, Esther attraversò la stanza e accostò la mano a un comando, sulla base dello schermo. «Non vogliamo che ci sbircino, vero?» chiese allegramente, e lo schermo si oscurò. Immaginai che facesse parte della routine regolare, per convincere il cliente che il grande occhio spalancato del computer non avrebbe spiato i suoi amori; e immaginai anche che, nonostante il gesto vistoso con cui la ragazza aveva spento lo schermo, la stanza veniva tuttora inquadrata, e avrebbe continuato ad esserlo finché io fossi stato lì. Senza dubbio coloro che avevano progettato quella casa non erano disposti a lasciare le ragazze alla mercé dei clienti con cui avrebbero diviso una stanza. Non mi entusiasmava l’idea di andare a letto con una donna sapendo che la mia prestazione sarebbe stata osservata, e molto probabilmente registrata, tradotta in codice e archiviata; ma superai le mie esitazioni, dicendo a me stesso che ero lì soltanto per spassarmela. Quel bordello, evidentemente, non era un posto per uomini istruiti. Suscitava troppi sospetti. Ma senza dubbio, sopperiva alle esigenze di quelli che appunto le avevano.
Quando il bagliore dello schermo si oscurò, Esther disse: «Debbo spegnere anche le luci della stanza?»
«Non importa.»
«Allora le abbasserò.» Regolò un pulsante e la luce si affievolì. Con un gesto svelto si sfilò la vestaglietta. Il suo corpo era levigato e pallido, con i fianchi sottili ed i seni piccoli, da ragazzina, la cui pelle traslucida rivelava una rete di fini vene azzurre. Mi ricordava molto Aster Mikkelsen, così come ce l’avevano rivelata i monitor-spia la settimana prima. Aster… Esther… per un attimo di confusione onirica scambiai le due donne e mi domandai perché una biochimica famosa in tutto il mondo facesse per secondo mestiere la prostituta. Con un sorriso amabile, Esther si sdraiò sul letto, coricandosi di fianco, con le ginocchia ripiegate: era una posa amichevole, da conversazione, che non aveva nulla di spudorato. Gliene fui grato. Mi ero aspettato che, in un posto simile, una ragazza si stendesse supina, a gambe aperte, e dicesse: «Su, amico, a bordo». Fu un sollievo, per me, che Esther non lo facesse. Ricordai che, durante l’interrogatorio al piano terreno, il calcolatore aveva valutato la mia personalità, mi aveva classificato come un membro dell’inibita categoria accademica, e aveva trasmesso ad Esther, che si preparava al lavoro, un memorandum per precisare che io andavo trattato in modo dignitoso.
Sedetti accanto a lei.
«Vuoi parlare un po’?» mi chiese. «Abbiamo tutto il tempo.»
«D’accordo. Sai, non ero mai stato qui.»
«Lo so.»
«Come?»
«Me l’ha detto il computer. Il computer ci dice sempre tutto.»
«Tutto? Il mio nome?»
«Oh, no, non il tuo nome. Voglio dire, tutte le cose personali.»
Io chiesi: «E allora, che cosa sai di me, Esther?»
«Lo vedrai fra un po’.» Gli occhi le scintillavano maliziosamente. Poi disse: «Hai visto l’uomo venuto dal futuro, quando sei entrato?»
«Quello che si chiama Vornan-19?»
«Sì. Dovrebbe venire qui, oggi. Più o meno a quest’ora. Abbiamo ricevuto un avviso speciale, sulla linea centralizzata. Dicono che è spaventosamente bello. L’ho visto sul teleschermo. Vorrei avere la possibilità d’incontrarlo.»
«Come fai a sapere che non sei con lui proprio in questo momento?»
Lei rise. «Oh, no! Lo so bene!»
«Ma io sono mascherato. Potrei essere…»
«Non lo sei. Mi stai solo prendendo in giro. Se dovevo andare con lui, mi avrebbero avvertita.»
«Forse no. Forse lui preferisce la segretezza.»
«Beh, forse. Ma comunque so che tu non sei l’uomo venuto dal futuro. Maschera o non maschera, non m’imbrogli.»
Lasciai che la mia mano vagasse sulla sua coscia levigata. «Cosa ne pensi di lui, Esther? Credi davvero che provenga dal 2999?»
«Tu non ci credi?»
«Ti ho chiesto cosa ne pensi tu.»
Esther scrollò le spalle. Mi prese la mano, e la guidò lentamente sul suo ventre liscio, fino a posarla sul piccolo, fresco seno sinistro, come sperasse di dirottare le mie domande insidiose guidandomi all’atto della passione. Con un lieve broncio, disse: «Beh, dicono tutti che è autentico. Il Presidente, tutti quanti. E dicono che ha poteri speciali. Che può darti una specie di scossa elettrica, se vuole.» Esther ridacchiò all’improvviso. «Chissà se… se può dare una scossa a una ragazza mentre… beh, sai, mentre va con lei.»
«Molto probabilmente. Se è per davvero quello che dice di essere.»
«Perché non gli credi?»
Io dissi: «A me sembra tutto fasullo. Che un uomo debba cadere dal cielo, letteralmente, e affermi di venire da mille anni nel futuro. Dove sono le prove? Come posso sapere che sta dicendo la verità?»
«Beh,» disse Esther. «C’è quell’espressione che ha negli occhi. E quel sorriso. C’è qualcosa di strano in lui, lo dicono tutti. E parla anche in modo strano, non proprio con un accento, ma la sua voce è particolare. Io credo in lui, sì. Mi piacerebbe fare l’amore con lui. Lo farei gratis.»
«Forse ne avrai la possibilità.»
Esther sorrise. Ma stava diventando irrequieta, come se la conversazione eccedesse i limiti delle abituali chiacchierate che aveva l’abitudine di fare con i clienti troppo dediti agli indugi. Pensai all’effetto che Vornan-19 aveva causato persino ad una ragazza come quella, e mi chiesi cosa stava facendo, in quello stesso momento, in un’altra parte dell’edificio. Sperai che qualcuno dello staff di Kralick lo tenesse d’occhio. Ufficialmente io ero lì per sorvegliarlo, ma come avrebbero dovuto sapere bene, non avevo più avuto possibilità di stabilire contatti con Vornan, dopo che avevamo superato l’atrio, e temevo una nuova dimostrazione dell’ormai famosa capacità, da parte del nostro ospite, di creare il caos. Comunque, non potevo farci niente. Passai le mani sull’accessibile levigatezza di Esther. Lei stava lì, perduta nel sogno di abbracciare l’uomo venuto dal futuro, mentre il suo corpo ondulava nei ritmi appassionati che conosceva tanto bene. Mi pose la mano sul sesso. Il computer l’aveva adeguatamente preparata al suo compito; quando i nostri corpi si congiunsero, scivolò nella posizione che io avevo scelto, e svolse le sue mansioni con energia e con una ragionevole simulazione di desiderio.