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«Nient’altro che animali domestici?» domandò Heyman, scandalizzato e inorridito.

«No,» disse Vornan, e si mise in bocca un succoso pezzo di carne. Sorrise garbatamente. «Delizioso! Che perdita abbiamo subito!»

«Vedete!» esclamò Heyman. «Se la gente avesse…»

«Naturalmente,» fece soavemente Vornan, «abbiamo molti cibi interessanti. Devo ammettere che è un piacere mettersi in bocca un pezzo di carne proveniente da una creatura vivente, ma è un piacere che solo pochissimi potrebbero apprezzare. Quasi tutti sono molto schizzinosi. Ci vuole uno stomaco forte, per viaggiare nel tempo.»

«Perché noi siamo barbari sudici, depravati, disgustosi?» chiese Heyman, a voce alta. «È questa l’opinione che si è fatta di noi?»

Per niente scombussolato, Vornan rispose: «Il vostro modo di vivere è del tutto diverso dal mio. Ovviamente. Altrimenti, perché mi sarei preso la briga di venire qui?»

«Eppure, un modo di vivere non è inerentemente superiore od inferiore ad un altro,» intervenne Helen McIlwain, alzando energicamente gli occhi da un’enorme fetta di carne d’alce, ricordo. «La vita può essere più comoda in un’epoca che in un’altra, può essere più sana, può essere più tranquilla, ma non possiamo servirci di termini come superiore o inferiore. Dal punto di vista del relativismo culturale…»

«Sapete,» disse Vornan, «che nel mio tempo i ristoranti sono sconosciuti? Mangiare in pubblico, fra estranei… lo giudichiamo inelegante. Nella Centralità, sapete, si viene molto spesso a contatto con estranei. La cosa non avviene, invece, nelle regioni esterne. Nessuno è mai ostile nei confronti di uno sconosciuto, ma nessuno mangerebbe mai in sua presenza, a meno che intendesse stabilire poi un’intimità sessuale. Per consuetudine, ci riserviamo di mangiare soltanto con commensali molto intimi.» E ridacchiò. «È stata in effetti una perversità, da parte mia, voler visitare un ristorante. Vi considero tutti compagni intimi, dovete rendervene conto…» Con un gesto della mano indicò i presenti, come fosse disposto ad andare a letto persino con Lloyd Kolff, se Kolff ci stava. «Ma spero mi concederete il piacere di cenare in pubblico, uno di questi giorni. Forse cercavate di salvaguardare la mia sensibilità, facendo in modo che mangiassimo in questa sala riservata. Ma vi prego di lasciarmi godere un po’ della mia spudoratezza, la prossima volta.»

«Meraviglioso,» disse Helen McIlwain, parlando soprattutto a se stessa. «Un tabù contro il mangiare in pubblico! Vornan, se almeno ci dicessi qualcosa di più sulla tua epoca. Siamo così ansiosi di conoscere tutto ciò che hai da dirci!»

«Sì» disse Heyman. «Quel periodo chiamato Tempo della Pulizia, per esempio…»

«… qualche informazione sulla ricerca biologica…»

«… problemi di terapia mentale. Le psicosi più diffuse, per esempio, interessano moltissimo a…»

«… una possibilità di discutere con lei sull’evoluzione linguistica nel…»

«… i fenomeni d’inversione temporale. E anche qualche informazione sui sistemi energetici che…» Era la mia voce, che s’insinuava nella fitta trama della conversazione. Naturalmente, Vornan non rispose a nessuno, poiché parlavamo tutti insieme. Quando se ne rendemmo conto, piombammo in un silenzio imbarazzato, lasciando goffamente cadere qualche parola oltre il ciglio del nostro disagio, per infrangere l’abisso della vergogna. Per un istante le nostre frustrazioni erano esplose. Nei giorni e nelle notti di giostra in compagnia di Vornan-19, lui si era mostrato laconico fino all’esasperazione, per quanto riguardava la sua epoca presunta: aveva lasciato cadere un accenno qui, un’allusione là, senza mai dire niente che somigliasse ad un vero discorso sull’assetto della società futura di cui sosteneva d’essere un emissario. Ciascuno di noi traboccava di domande senza risposte.

E le risposte non vennero neppure quella sera. Pasteggiammo a base di manicaretti di un’epoca in declino, petto di fenice e cotoletta di unicorno, ed ascoltammo attentamente mentre Vornan, più loquace del solito, lasciava cadere qualche rara pepita sulle abitudini alimentari del trentesimo secolo. Eravamo felici di ciò che potevamo apprendere. Persino Heyman si lasciò coinvolgere a tal punto nella situazione che smise di piangere la sorte delle rarità che avevano abbellito i nostri piatti.

Quando venne il momento di uscire dal ristorante, ci trovammo alle prese con una di quelle crisi ormai purtroppo familiari. Era corsa la voce che il celebre uomo venuto dal futuro era lì, e si era radunata una folla. Kralick dovette ordinare alle guardie armate di sferze neurali di aprire un varco attraverso il ristorante, e per un po’ parve davvero che le sferze stessero per venire usate. Almeno cento avventori abbandonarono i tavoli e avanzarono verso di noi, mentre scendevamo dalla sala riservata. Erano ansiosi di vedere, toccare, assaporare Vornan-19 a distanza ravvicinata. Guardai i loro volti, sbigottito e allarmato. Alcuni avevano smorfie scettiche, altri il vitreo distacco dell’ozioso cacciatore di curiosità; ma su molti c’era quella strana espressione di riverenza che avevamo osservato così spesso in quell’ultima settimana. Non era semplicemente timore reverenziale. Era l’ammissione di un’esigenza messianica interiore. Quelli sognavano di gettarsi in ginocchio davanti a Vornan. Non sapevano niente di lui, soltanto ciò che avevano visto sui teleschermi, eppure erano attratti verso di lui e speravano che riempisse qualche vuoto nelle loro vite. E Vornan che cosa offriva? Fascino, un bell’aspetto, un sorriso magnetico, una voce attraente? Sì, e alienità, perché nelle sue parole e nelle sue azioni c’era il marchio dell’estraneità. Anch’io, quasi, potevo sentire quell’attrazione. Ero stato troppo vicino a Vornan per venerarlo; avevo visto la sua colossale cupidigia, l’imperiale indulgenza verso se stesso, il gigantesco appetito nei confronti dei piaceri sensuali di ogni genere, e quando si è visto un messia che brama il cibo e impala legioni di donne disponibili, è difficile provare per lui sentimenti di reverenza. Tuttavia, sentivo il suo potere. Avevo cominciato a trasformare la mia valutazione. All’inizio ero stato scettico, ostile e quasi bellicoso; poi mi ero addolcito, e avevo virtualmente smesso di aggiungere l’inevitabile precisazione «se è autentico», ogni volta che pensavo a Vornan-19. Non era stata solo la prova dell’analisi del sangue a farmi cambiare idea, ma ogni aspetto della condotta di Vornan. Adesso credere che fosse un impostore mi era più difficile che credere che fosse venuto veramente a noi dal tempo, e questo naturalmente mi metteva in una posizione insostenibile di fronte alla mia specializzazione scientifica. Ero costretto ad accettare una conclusione che consideravo ancora fisicamente impossibile: un bis-pensiero, nel senso orwelliano. Il fatto che mi trovassi intrappolato in quel modo era una dimostrazione del potere di Vornan; e credevo di capire un po’ cosa desiderava la gente che gli si stringeva attorno, cercando di sfiorarlo al suo passaggio. Per fortuna, uscimmo dal ristorante senza spiacevoli incidenti. Era così freddo che per la strada c’erano solo pochi rìtardatari. Li superammo in fretta e salimmo sulle macchine in attesa. Autisti dalle facce inespressive ci portarono al nostro albergo. Lì, come a New York, ci avevano assegnato una serie di stanze comunicanti nella parte più riservata del palazzo. Vornan si scusò con noi non appena arrivammo al nostro piano. Le ultime notti aveva dormito con Helen McIlwain, ma sembrava che la visita al postribolo gli avesse tolto temporaneamente ogni interesse per le donne, il che non era sorprendente. Sparì nella sua stanza e le guardie la chiusero immediatamente. Kralick, pallido ed esausto, andò a trasmettere il suo solito rapporto serale a Washington. Noi ci radunammo in uno degli appartamenti per distenderci un po’, prima di andare a dormire.

I sei membri della commissione erano ormai insieme da un po’ di tempo, e si era manifestata una varietà di tendenze. Eravamo ancora divisi sulla questione dell’autenticità di Vornan, ma meno nettamente di prima. Kolff, che in partenza era scettico, era ancora convinto che Vornan fosse un impostore, sebbene ne ammirasse la tecnica. Heyman, che all’inizio era contro l’autenticità di Vornan, adesso non era più tanto sicuro; gli sarebbe costato parecchio ammetterlo, ma ormai pendeva dalla parte di Vornan, soprattutto in base ad alcuni vaghi accenni che l’ospite aveva lasciato cadere a proposito del corso della storia futura. Helen McIlwain continuava ad accettare Vornan per autentico. Morton Fields, d’altra parte, si stava allontanando disgustato dalla sua valutazione positiva originaria. Penso fosse geloso della valentia sessuale di Vornan e cercasse, per vendetta, di negare la sua legittimità.