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Aster, che in principio era stata neutrale, aveva deciso di attendere che arrivassero altre prove. La prova era arrivata. Adesso Aster era interamente convinta che Vornan provenisse da una fase più avanzata dell’evoluzione umana, e aveva la prova biochimica che per lei era decisiva. Come ho già detto, anch’io ora pendevo piuttosto a favore di Vornan, anche se esclusivamente per ragioni emotive; scientificamente, per me restava un’impossibilità. Perciò adesso noi avevamo due Vere Credenti, due ex scettici vacillanti, inclini a prendere per valida l’affermazione di Vornan, un ex credente che si avvicinava al polo opposto, ed un apostata incrollabile. Certamente, gli spostamenti erano stati in favore di Vornan. Ci stava conquistando.

In quanto alle correnti incrociate emotive all’interno del nostro gruppo, erano forti, anzi violente. Eravamo d’accordo su una cosa soltanto; eravamo tutti cordialmente stufi di F. Richard Heyman. La sola vista della ruvida barba rossa dello storico mi era diventata odiosa. Eravamo stanchi del suo dogmatismo, della sua mania di pontificare, dell’abitudine di trattarci tutti come studenti non troppo svegli. Anche Morton Fields si stava rendendo insopportabile. Dietro la facciata escetica si era rivelato un libidinoso, e questo non mi dava tanto fastidio; ma soprattutto un libidinoso clamorosamente fallito, e questo lo trovavo criticabile. Aveva sbavato dietro a Helen ed era stato respinto; aveva sbavato dietro Aster ed aveva fatto fiasco completo. Poiché Helen praticava una specie di ninfomania professionale, in base al principio che un’antropologa ha il dovere di studiare tutta l’umanità il più possibile da vicino, il fatto che avesse respinto Fields era per lui il più bruciante degli insuccessi. Prima che il nostro giro turistico avesse superato la settimana iniziale, Helen era venuta a letto con noi almeno una volta, escludendo Sandy Kralick, il quale la venerava troppo per pensare di lei in termini sessuali, ed il povero Fields. Non c’era da stupirsi, se questo diventava acido. Immagino che Helen avesse avuto con lui qualche dissidio scientifico anteriore alla missione Vornan, e questo la spingeva a castrarlo psicologicamente senza troppe sottigliezze. La mossa successiva di Fields era stata in direzione di Aster; ma Aster era ultraterrena come un angelo, e lo teneva lontano senza avere l’aria di comprendere cosa volesse da lei. Anche se Aster aveva fatto la doccia con Vornan, nessuno di noi poteva credere che tra loro ci fosse stato qualcosa di carnale. L’innocenza cristallina di Aster sembrava inviolabile persino di fronte all’irresistibile fascino mascolino di Vornan, secondo noi.

Quindi Fields aveva i problemi sessuali di un adolescente brufoloso, e come potete immaginare, questi problemi esplodevano in molti modi durante le normali conversazioni. Esprimeva le sue frustrazioni erigendo opache facciate di terminologia, dietro le quali tuonava e infuriava e sprizzava veleno. Questo suscitava la disapprovazione di Lloyd Kolff, che nella sua cordialità falstaffiana riusciva a vedere Fields solo come qualcosa di deplorevole; quando Fields diventava abbastanza fastidioso, Kolff aveva l’abitudine di mandarlo a cuccia con un ringhio gioviale che serviva solo a peggiorare la situazione. Non avevo niente contro Kolff: sbevazzava allegramente ogni sera, ed era una compagnia simpaticamente ursina, in quella che altrimenti sarebbe stata una missione più deprimente. Ero soddisfatto anche della compagnia di Helen McIlwain, e non solo a letto. Anche se era monomaniaca per quanto riguardava il relativismo culturale, era vivace, ben informata, divertentissima; si poteva sempre avere la certezza che avrebbe sgonfiato qualunque enorme dibattito procedurale con poche parole ben scelte sull’asportazione dalla clitoride tra le donne delle tribù nordafricane o sulle cicatrici cerimoniali nei riti della pubertà della Nuova Guinea. In quanto ad Aster l’insondabile, Aster l’impenetrabile, Aster l’imperscrutabile, non potevo dire esattamente che mi piacesse; ma la giudicavo un attraente enigma quasi femminile. Mi turbava avere osservato la sua nudità grazie a quel collegamento-spia; gli enigmi dovrebbero restare integralmente tali, e adesso che l’avevo vista nuda, sentivo che il suo mistero era in parte violato. Mi sembrava deliziosamente casta, una Diana della biochimica, magicamente conservata in eterno all’età di sedici anni. Nei nostri frequenti dibattiti sui modi ed i mezzi di trattare con Vornan, Aster parlava di rado, ma ciò che aveva da dire era invariabilmente ragionevole e giusto.

Il nostro circo viaggiante si spostò, procedendo da Chicago verso Ovest, alla fine di gennaio. Vornan era instancabile come turista non meno che come amatore. Lo portavamo a visitare fabbriche, centrali elettriche, musei, autostrade, stazioni di controllo meteorologico, nodi ferroviari, ristoranti di lusso e molte altre cose, un po’ su richieste ufficiali, un po’ dietro insistenze di Vornan. Lui riusciva a combinarci guai quasi dappertutto. Forse per mettere in chiaro che era superiore alla morale «medievale», abusava dell’ospitalità in una grande varietà di modi delicatamente oltraggiosi: seduceva vittime di tutti i sessi disponibili, insultava sfacciatamente le vacche sacre, e faceva capire senza equivoci che considerava il nostro mondo tecnologico e formidabilmente scientifico come qualcosa di curiosamente primitivo. Questa sua insolenza sbarazzina, secondo me, era consolante: Vornan incantava e suscitava ripugnanza nello stesso tempo. Ma altri, dentro e fuori dal nostro gruppo, non la pensavano così. Comunque, la stessa scandalosità del suo comportamento sembrava garantire l’autenticità della sua rivendicazione, e stranamente le sue stranezze suscitavano poche proteste. Era immune, era l’ospite del mondo, il viandante venuto dal tempo; e il mondo, sebbene sconcertato ed incerto, l’accoglieva cordialmente.

Facevamo del nostro meglio per stornare le calamità. Imparammo a tenere Vornan lontano dagli individui pomposi e troppo suscettibili che avrebbero sicuramente suscitato qualche sua reazione maliziosa. L’avevamo visto fissare con giocosa reverenza l’immenso seno di una matronale protettrice delle arti che ci faceva da guida nello splendido museo di Cleveland. Lui fissava la profonda valle tra le due candide vette con una tale concentrazione che noi avremmo dovuto prevedere il guaio; ma non riuscimmo ad intervenire quando Vornan tese improvvisamente un dito, lo infilò gaiamente in quel crepaccio cosmico, e produsse la più blanda scossa elettrica del suo sconcertante repertorio. Da quella volta, gli tenemmo lontane le donne di mezza età molto prospere e scollate. Imparammo a mantenerlo alla larga da altri bersagli del genere e se ci riuscivamo una volta su dodici, lo consideravamo già un successo.

Non ce la cavavamo altrettanto bene nell’estorcergli notizie sull’epoca da cui affermava di provenire, o su quello che era accaduto in quei mille anni d’intervallo. Di tanto in tanto ci lanciava un boccone, come quando si richiamava vagamente ad un sovvertimento politico imprecisato che lui chiamava il Tempo della Pulizia. Accennava a visitatori venuti da altre stelle, e parlava un po’ della struttura politica dell’ambigua entità nazionale che chiamava Centralità: sostanzialmente, però non ci diceva niente. Non c’era niente di concreto nelle sue parole: ci forniva soltanto vaghissime tracce.