«E tu, Vornan?»
«Io non sono niente. Non faccio niente. Sono un uomo comune, Leo.» Nella sua voce c’era una nota che non avevo mai udito, un fremito che scambiai per sincerità. «Sono venuto qui per noia, in cerca d’una diversione. Altri sono tutti presi dal loro impegno nelle iniziative dello spirito. Io sono un vaso vuoto, Leo. Non posso parlarti di scienza, né di storia. Le mie percezioni della bellezza sono rudimentali. Sono ignorante. Sono pigro. Visito i mondi per mio piacere, ma sono gioie superficiali.» Attraverso la maschera giungeva filtrato il brillio del suo prodigioso sorriso. «Sono molto sincero con te, Leo. Spero che questo basti a spiegare la mia incapacità di rispondere alle tue domande ed a quelle dei tuoi amici. Sono un uomo insoddisfacente, dalle molte manchevolezze. La mia sincerità ti dispiace?»
Non mi dispiaceva soltanto. Mi sgomentava. A meno che l’improvvisa crisi di umiltà da parte di Vornan fosse soltanto una finzione, si era definito un dilettante, un ozioso… un nessuno venuto dal tempo, che si svagava tra i primitivi perché la sua epoca aveva smesso momentaneamente di divertirlo. La sua evasività, le lacune nella sua conoscenza, tutto sembrava comprensibile, adesso. Ma non era lusinghiero sapere che questo era il nostro viaggiatore nel tempo, che noi non avevamo meritato niente di meglio di Vornan. E mi pareva malaugurante che un perdigiorno confesso avesse sul nostro mondo il potere che Vornan aveva acquisito senza fatica. Dove l’avrebbe portato la sua ricerca del divertimento? E quali limiti intendeva porsi… ammesso che se li ponesse?
Mentre riprendevamo a camminare, dissi: «Perché non sono venuti da noi altri visitatori della tua epoca?»
Vornan ridacchiò. «Che cosa ti fa pensare che io sia il primo?»
«Non abbiamo mai… nessuno ha… non c’è mai stato…» M’interruppi, esitante: ancora una volta ero caduto vittima dell’abilità con cui Vornan apriva trabocchetti entro il tessuto dell’universo.
«Io non sono un pioniere,» disse gentilmente. «Ce ne sono stati molti altri, prima di me.»
«E hanno mantenuto segreta la loro identità?»
«Naturalmente. A me è piaciuto rivelarmi. Altri individui, dalla mentalità più seria, se ne vanno in giro facendo le cose di nascosto. Svolgono la loro attività in silenzio, e poi ripartono.»
«Quanti ce ne sono stati?»
«Non saprei dirtelo.»
«E hanno visitato tutte le epoche?»
«Perché no?»
«E hanno vissuto tra noi con false identità?»
«Sì, sì, naturalmente,» disse Vornan in tono leggero. «Spesso hanno anche ricoperto cariche pubbliche, mi pare. Povero Leo! Pensavi davvero che io aprissi una strada? Proprio un miserabile sciocco come me?»
Barcollai: questo mi aveva sconvolto più di tutto il resto. Il nostro mondo infiltrato da sconosciuti venuti dal tempo? Le nostre nazioni, forse, guidate da questi vagabondi? Cento, mille, cinquantamila viaggiatori che comparivano e scomparivano nel corso della storia? No. No. No. No. La mia mente si ribellava. Vornan, adesso, stava giocando con me. Non potevano esserci alternative. Lui rise. Disse: «Ti autorizzo a non credermi. Hai sentito quel rumore?»
Avevo udito un rumore, sì. Era un suono simile a quello d’una cascata, e proveniva dalla direzione di Pershing Square. Vornan sfrecciò via. Mi affrettai a inseguirlo, con il cuore che martellava, la testa dolorante. Non riuscii a reggere la sua andatura. Dopo un isolato e mezzo, lui si fermò ad aspettarmi. Indicò più avanti. «Sono parecchi,» disse. «Tutto questo mi sembra molto eccitante!»
La folla dispersa era tornata a raggrupparsi, mulinava in mezzo a Pershing Square e cominciava a traboccarne. Una falange di esseri umani impazziti avanzò verso di noi, riempiendo la strada da un margine all’altro. Sul momento non avrei saputo dire cosa fossero, gli Apocalittici o coloro che cercavano Vornan per idolatrarlo; ma poi vidi le facce pazzamente dipinte, gli striscioni minacciosi, le ondeggianti spirali metalliche tenute alte sopra le teste quali simboli del fuoco celeste, e compresi che verso di noi venivano i profeti della fine del mondo.
Dissi: «Dobbiamo andarcene di qui. Ritornare in albergo!»
«Voglio vedere.»
«Ci travolgeranno, Vornan.»
«No, se saremo prudenti. Resta con me, Leo. Lasciamo che la marea ci superi.»
Scossi il capo. L’avanguardia dell’orda apocalittica era ad un isolato da noi. Impugnando torce e sirene, i dimostranti si avventavano a corsa pazza verso di noi, trafiggendo l’aria con urla e grida. Anche come semplici astanti, avremmo potuto passarcela male, per colpa di quell’orda; se ci avessero riconosciuti nonostante le maschere, saremmo stati spacciati. Afferrai Vornan per il polso, lo tirai, angosciato, cercando di trascinarlo in una strada laterale che portava verso l’albergo. Per la prima volta, sentii i suoi poteri elettrici. Una scarica a basso voltaggio fece balzare indietro la mia mano. L’afferrai di nuovo, e questa volta mi trasmise un’esplosione di energia stordente che mi ributtò indietro, barcollante, con i muscoli che guizzavano in una danza dissestata. Caddi in ginocchio e rimasi rannicchiato, semi-intontito, mentre Vornan correva allegramente verso gli Apocalittici, a braccia spalancate.
L’orda lo inghiottì. Lo vidi scivolare in mezzo a due che correvano in prima fila, e poi svanire al centro della massa urlante. Era scomparso. Mi rimisi in piedi, in preda alle vertigini, sapendo che dovevo trovarlo, e avanzai, incerto, tre o quattro passi. Un istante più tardi, gli Apocalittici mi furono addosso.
Riuscii a restare in piedi il tempo sufficiente per liberarmi degli effetti della scossa elettrica impartita da Vornan. Intorno a me si muovevano i cultisti, con le facce impiastricciate di vernice rossa e verde; l’afrore acre del sudore era nell’aria, e misteriosamente vidi un Apocalittico che aveva legato al petto un piccolo globo sibilante di deodorante a dispersione di ioni: quello era un territorio strano per gli schizzinosi. La folla mi spinse, facendomi girare su me stesso. Una ragazza dai seni nudi e danzanti, dai capezzoli luminescenti, mi abbracciò. «La fine è vicina!» strillò. «Vivi finché puoi!» Mi afferrò le mani e se le posò sui seni. Strinsi per un momento quella carne calda, prima che la corrente della folla la trascinasse via; quando abbassai lo sguardo, vidi sul palmo delle mie mani le impronte luminescenti, come occhi vigili. Strumenti musicali di origine imprecisata barrivano e urlavano. Tre ragazzi, tenendosi a braccetto, mi sfilarono davanti, prendendo a calci tutti coloro che capitavano a tiro. Un uomo gigantesco, dalla maschera di caprone, esponeva giubilante la sua virilità, ed una donna dalle cosce pesanti corse verso di lui, si offrì, gli si attaccò addosso. Un braccio serpeggiò intorno alle mie spalle. Mi voltai di scatto e vidi una figura scarna, ossuta, ghignante tendersi verso di me: una ragazza, pensai, a giudicare dall’abbigliamento e dai lunghi capelli serici scomposti: ma poi la camicetta si aprì, e vidi un torace piatto, lucido e glabro, con due piccoli cerchietti neri.
«Bevi,» disse il ragazzo, e mi porse una borraccia a pressione. Non potevo rifiutare. Il collo della borraccia si insinuò tra le mie labbra, e sentii, un sapore amaro. Girai la testa e sputai, ma il sapore mi rimase sulla lingua come una macchia.
Stavano marciando a file di quindici o venti in parecchie direzioni contemporaneamente, sebbene il movimento predominante fosse verso l’albergo. Lottai per risalire la marea, cercando Vornan. Molte mani mi afferrarono. Inciampai in una coppia avvinta nella concupiscenza sul marciapiede; rischiavano di venire calpestati e uccisi, e sembrava che non se ne dessero pensiero. Era come un carnevale senza carri, ed i costumi erano pazzamente individualisti.
«Vornan!» urlai. E la folla riprese quel grido, ingigantendolo. «Vornan… Vornan… Vornan… uccidete Vornan… fine del mondo… fiamme… fine del mondo… Vornan…» Era una danza macabra. Una figura giganteggiava davanti a me, con la faccia segnata da piaghe purulente, ferite sgocciolanti, cavità spalancate: una mano di donna si levò ad accarezzarla, e il trucco si sfaldò, così da mostrarmi la bella faccia intatta sotto quegli orrori artificiali. Qui veniva un giovane alto quasi due metri e dieci, che agitava una fiaccola fumigante e annunciava urlando l’apocalisse; là c’era una ragazza dal naso camuso, madida di sudore, che si strappava le vesti; rimase nuda, e due giovanotti impomatati le pizzicarono i seni, risero, si baciarono, e corsero avanti. Io chiamai ancora: «Vornan!»