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Poi lo vidi. Stava ritto, immobile, come un macigno in mezzo ad un torrente, e curiosamente la folla scatenata gli passava intorno, mentre avanzava urlando. Parecchi decimetri di spazio rimanevano inviolati intorno a lui, come se si fosse ritagliato una sacca personale nella marea. Stava con le braccia conserte e osservava il delirio che impazzava intorno a lui. La maschera era strappata, e mostrava una guancia, ed era tutto macchiato di vernici e di sostanze fosforescenti. A spintoni, avanzai verso di lui, venni trascinato via da un improvviso sussulto della corrente principale, e ritornai verso di lui, lottando con i gomiti e le ginocchia, aprendomi a forza la strada fra tonnellate di carne. Quando fui a pochi passi da lui capii perché i dimostranti gli giravano intorno. Vornan aveva creato tutto intorno a sé una piccola diga di corpi umani ammassati, due o tre per parte. Sembravano morti; ma, mentre li guardavo, una ragazza che giaceva alla sinistra di Vornan si alzò vacillando e si allontanò. Vornan si tese prontamente verso il primo Apocalittico che passava di lì, un uomo cadaverico con il cranio calvo dipinto di azzurrocupo. Un tocco della mano di Vornan e l’uomo crollò, cadendo esattamente in modo da riformare il bastione. Vornan si era costruito una muraglia vivente, con l’elettricità. La scavalcai e accostai la faccia alla sua.

«Per amor di Dio, andiamocene!» urlai.

«Non corriamo pericoli, Leo. Stai calmo.»

«La tua maschera è strappata. E se ti riconoscono?»

«So difendermi.» Rise. «È delizioso!»

Sapevo che non era il caso di cercare di abbrancarlo di nuovo. Nella sua estasi noncurante mi avrebbe stordito una seconda volta e mi avrebbe aggiunto al suo bastione; e forse non sarei sopravvissuto a quell’esperienza. Perciò gli rimasi accanto, impotente. Vidi un grosso piede scendere sulla mano d’una ragazza priva di sensi che mi giaceva accanto. Quando il piede passò oltre, le dita dilaniate fremettero convulsamente, piegandosi alle giunture in un modo in cui le mani umane normalmente non si flettono. Vornan girò su se stesso, scrutando tutto.

Poi mi disse: «Cosa li spinge a credere che il mondo stia per finire?»

«E come posso saperlo? È irrazionale. È demente.»

«E tanta gente può essere così pazza?»

«Certo.»

«E sanno in che giorno finirà il mondo?»

«Il primo gennaio del 2000.»

«Molto vicino. Perché quel giorno in particolare?»

«È l’inizio di un nuovo secolo,» dissi. «Di un nuovo millennio. Non so come, ma la gente si aspetta che succedano cose straordinarie.»

Con eccentrica pedanteria, Vornan disse: «Ma il nuovo secolo non comincerà fino al 2001. Heyman me l’ha spiegato. Non è esatto dire che il secolo incomincia quando…»

«Lo so benissimo. Ma nessuno fa caso a queste cose. Accidenti a te, Vornan, non stiamocene qui a discutere il calendario! Voglio andarmene!»

«E allora vai.»

«Con te.»

«Mi diverto. Guarda là, Leo!»

Guardai. Una ragazza seminuda, abbigliata come una strega, cavalcava sulle spalle di un uomo con la fronte ornata da corna. Aveva i seni dipinti di nero lucido, i capezzoli arancione. Ma la la vista di quelle cose grottesche non mi faceva effetto, ormai. Non mi fidavo neppure dell’improvvisata barriera di Vornan. Se quelli si fossero scatenati ancora di più…

All’improvviso apparvero gli elicotteri della polizia. Era ora. Aleggiarono tra i palazzi, a non più di trenta metri, ed il turbinio dei loro rotori ci mandò adosso una raffica d’aria fredda. Guardai le scure canne grige uscire dai ventri bianchi e globulari sopra di noi: poi vennero i primi getti di schiuma antidisordini. Gli Apocalittici parvero accoglierli con gioia. Si lanciarono avanti, cercando di mettersi in posizione sotto le canne; alcuni si strapparono i pochi indumenti che avevano addosso e vi si bagnarono. La schiuma scendeva gorgogliando, espandendosi nell’aria, formando una densa viscosità saponosa che riempiva la strada e rendeva quasi impossibile i movimenti. A sussulti angolosi, come macchine in procinto di fermarsi, i dimostranti balzavano qua e là, facendosi strada a forza tra gli strati di schiuma, che aveva un sapore stranamente dolce. Vidi una ragazza riceverne in faccia un getto e barcollare, accecata, con la bocca e le narici sepolte in quella sostanza. Cadde sull’asfalto e scomparve totalmente, perché ormai un metro di schiuma copriva il suolo, fredda, appiccicosa, e ci arrivava alle cosce. Vornan s’inginocchiò e ripescò la ragazza, benché quella non sarebbe morta soffocata, anche se fosse rimasta dov’era. Le liberò teneramente il volto dalla schiuma e passò le mani sulla sua carne umida e viscida. Quando le strinse i seni, lei aprì gli occhi; e lui le disse sommessamente: «Io sono Vornan-19.» La baciò. Quando la lasciò andare, lei sgattaiolò via in ginocchio, rintanandosi nella schiuma. Con mio grande orrore, vidi che Vornan era senza maschera.

Ormai non potevamo quasi muoverci. I robot della polizia erano comparsi per la strada: grandi cupole di metallo lucente, che ronzavano tranquille in mezzo alla schiuma, afferrando i dimostranti intrappolati e radunandoli in gruppi di dieci o dodici. Gli automezzi del servizio d’igiene erano già all’opera per risucchiare l’eccesso di schiuma. Vornan ed io eravamo sul bordo esterno della scena; lentamente guadammo la schiuma e raggiungemmo una strada libera. Nessuno parve accorgersi di noi. Dissi a Vornan: «Vuoi ascoltare la voce della ragione, adesso? Ora possiamo tornare in albergo senza altri guai.»

«Finora abbiamo avuto ben pochi guai.»

«Ne avremo di grossi se Kralick scopre cos’hai combinato. Limiterà la tua libertà di movimento, Vornan. Metterà un esercito di guardie davanti alla tua porta e la chiuderà a triplo sigillo.»

«Aspetta,» disse lui. «Voglio qualcosa. Poi possiamo andare.»

Tornò ad immergersi tra la folla. Ormai la schiuma si era indurita, acquisendo una consistenza pastosa, e quelli che c’erano dentro diguazzavano precariamente. Dopo un attimo, Vornan ritornò. Trascinava una ragazza sui diciassette anni, che sembrava stordita e terrorizzata. Aveva un abito di plastica trasparente, ma i fiocchi di schiuma che vi aderivano le davano un’aria pudica, probabilmente indesiderata. «Adesso possiamo andare in albergo,» mi disse Vornan. E alla ragazza: «Io sono Vornan-19. Il mondo non finirà in gennaio. Prima dell’alba te lo proverò.»

XIV

Non fummo costretti a rientrare furtivamente in albergo. Un cordone di cercatori era stato steso tutto intorno, per diversi isolati; pochi attimi dopo essere sfuggiti alla schiuma, Vornan fece scattare un segnale d’identità, e alcuni degli uomini di Kralick ci raccolsero. Kralick era nell’atrio del palazzo; sorvegliava gli schermi dei monitor e pareva fuori di sé per l’ansia. Quando Vornan gli si avvicinò, tenendo ancora stretta a sé la tremante apocalittica, pensai che a Kralick venisse un colpo. Blandamente, Vornan si scusò per il fastidio che aveva causato, e chiese di venire condotto in camera sua. La ragazza lo accompagnò. Appena i due scomparvero, io ebbi un imbarazzante colloquio con Kralick.

«Come ha fatto a uscire?» domandò.

«Non lo so. Ha manomesso il sigillo della sua stanza, immagino.» Tentai di convincere Kralick che avevo avuto intenzione di dare l’allarme, quando Vornan aveva lasciato l’albergo, ma le circostanze me l’avevano impedito. Dubito molto di esserci riuscito, ma se non altro gli feci capire che avevo compiuto del mio meglio per impedire che Vornan si mettesse nei guai con gli Apocalittici, e che l’intera impresa non era stata opera mia.