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Ci volle un minuto buono prima che Gibson capisse che cosa aveva svegliato la città. L’alba stava spuntando in quel momento: il cielo a est era rischiarato dai primi raggi del Sole nascente. A est? Gran Dio, ma il chiarore si stava diffondendo a ovest!

Gibson non era affatto superstizioso, ma per un attimo la sua mente fu sommersa da un’onda di pensieri irrazionali. Ma solo per un attimo. Subito la logica riprese il sopravvento. La luce che si allargava sull’orizzonte era sempre più luminosa. Poi i primi raggi toccarono le colline intorno alla città. Si muovevano in fretta, troppo in fretta per essere i raggi del Sole. E a un tratto una meteora dorata, fiammeggiante, si alzò sopra il deserto e salì verso lo zenith con moto quasi verticale.

Fu proprio la sua stessa velocità a tradirne la vera natura. Quello era Phobos, o meglio, quello che fino a poche ore prima era stato Phobos. Adesso invece era un giallo disco di fuoco, e Gibson poteva sentirne il calore sulla faccia. La città intorno a lui era ammutolita nella contemplazione del miracolo, conscia, anche se ancora confusamente, di ciò che quel miracolo avrebbe significato per Marte.

Ecco dunque il Progetto Aurora. Gli avevano dato un nome appropriato! Adesso finalmente tutte le tessere del mosaico combaciavano, però lo scopo primo non era ancora chiaro. Aver trasformato Phobos in un piccolo sole secondario era un prodigio di… di ingegneria nucleare, forse, ma Gibson non vedeva ancora come questo avrebbe contribuito a risolvere i problemi della colonia. Si stava tormentando con mille interrogativi, quando il sistema di altoparlanti di Porto Lowell, che veniva usato raramente, si svegliò all’improvviso e la voce di Whittaker riempì le strade.

«Buon giorno a tutti» disse la voce del maggiore. «Immagino che a quest’ora siate svegli e abbiate assistito a quanto è successo. Il Presidente è sulla via del ritorno dal suo viaggio interspaziale e vorrebbe parlarvi. Gli cedo il microfono.»

S’intese uno scatto metallico, poi qualcuno disse sottovoce: «Siete in comunicazione con Porto Lowell.» Un attimo dopo dagli altoparlanti uscì la voce di Hadfield. Era stanca ma trionfante: era la voce di un uomo che aveva combattuto una battaglia di importanza vitale e l’aveva vinta con tutti gli onori.

«Salve, amici» disse. «È Hadfield che vi parla. Mi trovo ancora nello spazio ma sto tornando da voi. Atterrerò fra un’ora. Spero che il vostro nuovo sole vi piaccia. Secondo i nostri calcoli dovranno trascorrere quasi mille anni prima che si spenga. Abbiamo bombardato Phobos quando era ancora molto basso rispetto al vostro orizzonte, per timore che la fase iniziale della irradiazione fosse troppo forte. La reazione si è ora stabilizzata al livello esatto che noi desideravamo, anche se potrà aumentare di qualche centesimo nella prossima settimana. Nel complesso si tratta di una reazione a risonanza mesonica, molto efficace ma non eccessivamente violenta, e dato il materiale che compone Phobos non c’è pericolo che si verifichi un’esplosione atomica vera e propria.

«Il vostro nuovo sole vi darà un decimo del calore solare, il che farà salire la temperatura di Marte a un livello quasi pari a quello della temperatura terrestre. Ma questa non è la ragione per la quale abbiamo bombardato Phobos, o perlomeno non è la ragione principale. Assai più che di calore Marte ha bisogno di ossigeno. Ebbene tutto l’ossigeno necessario a fornirgli un’atmosfera respirabile quasi quanto quella terrestre giace sotto i vostri piedi, imprigionato nella sabbia marziana. Due anni fa è stata scoperta una pianta che riesce a disintegrare la sabbia e a liberarne l’ossigeno. È una pianta tropicale che può esistere soltanto all’equatore e non dappertutto riesce a fiorire. Ma se ci fosse calore sufficiente, potrebbe propagarsi su tutta la superficie del nostro pianeta, naturalmente sollecitata dal nostro intervento, e fra cinquant’anni qui ci sarebbe un’atmosfera respirabile per l’uomo. È a questo che puntiamo, e quando avremo raggiunto lo scopo, potremo girare per Marte come ci parrà e piacerà senza bisogno di città incapsulate in cupole e maschere per respirare. È un sogno che molti di voi vedranno realizzato, e significherà che avremo dato un mondo nuovo al genere umano.

«Fin da questo momento, però, ne trarremo benefici tangibili. Prima di tutto farà più caldo, almeno quando Phobos e il Sole splenderanno insieme, e gli inverni saranno più miti. Anche se Phobos non sarà visibile oltre i settanta gradi di latitudine, i nuovi venti di convezione scalderanno anche le regioni polari, e impediranno che l’umidità, tanto preziosa per noi, resti imprigionata nelle calotte glaciali per la durata di sei mesi.

«Naturalmente ci saranno anche alcuni svantaggi, perché le stagioni e le notti diventeranno molto complicate, adesso, ma saranno largamente superati dai vantaggi. E ogni giorno, quando vedrete salire nel cielo il faro che abbiamo appena acceso, ripenserete al nuovo mondo a cui abbiamo dato vita. In questo momento, ricordatevelo, stiamo creando una nuova èra storica, perché questa è la prima volta che l’Uomo si è cimentato a mutare la faccia di un pianeta. Se noi ci siamo riusciti qui, altri riusciranno altrove, e nei secoli futuri civiltà intere, su mondi che oggi neppure conosciamo, dovranno la loro esistenza a quanto è stato fatto questa notte.

«È questo che volevo dirvi. Può darsi rimpiangiate il sacrificio che siamo stati costretti a compiere per ridare vita a questo pianeta. Ma rammentate una cosa: Marte ha perso una luna ma ha guadagnato un sole. Chi metterebbe in dubbio quale dei due beni sia il più prezioso? E adesso… buona notte a tutti!»

Ma a Porto Lowell nessuno pensò di tornare a letto. Per quello che riguardava la città la notte era finita e il nuovo giorno era spuntato. Com’era possibile staccare gli occhi dal minuscolo disco dorato che proseguiva la sua scalata al cielo, mentre il suo calore cresceva di minuto in minuto? Gibson si chiese che cos’avrebbero pensato di quel nuovo fenomeno le piante marziane. Avanzò lungo la strada verso il limite più vicino della cupola, e guardò attraverso la parete trasparente. Era proprio come aveva previsto: le piccole piante si erano tutte risvegliate e avevano rivolto la faccia al nuovo sole. Chissà come sarebbero state contente, pensò Gibson, quando nel cielo i due astri avessero brillato insieme.

Il razzo del Presidente atterrò un’ora più tardi, ma Hadfield e gli scienziati del Progetto Aurora evitarono la folla entrando in città a piedi dalla Cupola Sette e inviando a fare da esca all’entrata principale il mezzo di trasporto. Il trucco funzionò talmente bene che poterono rincasare tutti prima che la gente se n’accorgesse, sottraendosi a festeggiamenti che non avrebbero apprezzato a causa della stanchezza. Non poterono però impedire i numerosi assembramenti che si formarono in tutta la città, e nei quali ognuno affermava di aver sempre saputo sin dall’inizio cosa fosse in realtà il Progetto Aurora.

Phobos si stava avvicinando allo zenith, ed era perciò molto più vicino e quindi molto più caldo di quando era sorto, quando Gibson e Jimmy videro i loro compagni dell’Ares tra la piccola folla di coloro che avevano cortesemente ma fermamente insistito perché George aprisse i battenti prima dell’orario normale. Ognuno sosteneva di essere andato lì unicamente perché aveva avuto la certezza di trovare gli altri.

Data la sua qualifica di Ingegnere Capo, tutti si aspettavano che Hilton fosse più addentro di chiunque altro nei segreti della scienza nucleare, e lo presero quindi d’assalto per farsi spiegare che cosa era stato fatto esattamente. Hilton negò modestamente una sua qualsiasi competenza in materia.