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«Su, Quiicc, andiamo» disse. «Facciamo una bella passeggiata per scaldarci.»

La temperatura esterna era di almeno cinquanta sotto zero, ma Quiicc aveva l’aria di non soffrirne affatto, e poi Gibson era del parere che il cucciolo avesse bisogno di moto. In quanto a lui stava benissimo, imbacuccato com’era nell’equipaggiamento termico.

Le oxyfere erano cresciute molto in quelle poche settimane. Avevano superato la statura di un uomo, e Gibson era convinto che la maggior parte del merito andava a Phobos. Il Progetto Aurora cominciava già a dare i primi risultati. Persino la calotta polare artica, che si stava avvicinando alla sua massima espansione di mezz’inverno, si era arrestata nella sua avanzata verso l’emisfero opposto, mentre i resti della calotta antartica si erano sciolti completamente.

Si fermarono a un chilometro circa dalla città, sufficientemente lontani dalle sue luci per non essere disturbati nelle loro osservazioni. Gibson guardò nuovamente l’orologio. Mancava meno di un minuto. Lui sapeva che cosa pensavano in quel momento i suoi amici. Fissò il disco gibboso appena visibile di Deimos, e aspettò.

Di colpo Deimos divenne più luminoso. Un attimo dopo parve spaccarsi in due, mentre una stella piccolissima e di uno splendore accecante si staccò dall’orlo del satellite e prese a scendere lentamente verso ovest. Anche a tante migliaia di chilometri di distanza il fulgore dei razzi atomici era talmente abbagliante che gli occhi stentavano a sostenerlo.

Gibson era convinto che lo osservassero. A bordo dell’Ares, in quel momento erano certamente ai finestrini d’osservazione, intenti a guardare la grande falce disegnata nel cielo dal mondo che stavano abbandonando, così come un secolo prima, tanto gli sembrava che fosse passato, lui aveva salutato la Terra.

Chissà che cosa stava pensando Hadfield. Forse si chiedeva se e quando avrebbe rivisto Marte. Su questo punto Gibson non aveva più dubbi: per quante battaglie avesse dovuto combattere, alla fine Hadfield le avrebbe vinte tutte, come aveva fatto in passato.

Adesso la piccola stella bianco-azzurra si era spostata di parecchi gradi rispetto a Deimos, e rimpiccioliva, rapidamente a mano a mano che si allontanava verso il Sole… e verso la Terra.

Il Sole si affacciò in quel momento sull’orizzonte orientale. Subito le alte piante verdi si riscossero dal loro sonno, sonno che era già stato interrotto dal meteorico passaggio di Phobos. Gibson guardò ancora una volta la stella in movimento e alzò la mano in un addio silenzioso.

«Su, vieni, Quiicc» disse. «È ora di tornare. Ho molte cose da lare, sai?» Con le dita guantate grattò le orecchie del piccolo Marziano. «E lo stesso si può dire di te» aggiunse. «Tu non lo sai ancora, ma anche per te ci sarà molto lavoro.»

L’uomo e il Marziano tornarono insieme verso le grandi cupole, che brillavano debolmente nelle prime luci del mattino. Adesso che Hadfield se n’era andato e un altro era seduto al suo posto, a Porto Lowell tutto sarebbe stato diverso.

Gibson si fermò di colpo. Per un attimo fu come se vedesse nel futuro. Chi sarebbe stato il Presidente di Marte quando il Progetto Aurora fosse entrato nella sua fase intermedia e già si fossero potuti prevedere i risultati finali?

La risposta arrivò simultanea alla domanda, e Gibson capì che cosa lo aspettava al termine della strada lungo la quale si era incamminato. Forse un giorno il compito, e il privilegio, di continuare l’opera che Hadfield aveva iniziato sarebbero stati suoi.

Martin Gibson, scrittore, giornalista, ex-terricolo, riprese il cammino verso Porto Lowell con passo più deciso e più agile, e la sua ombra si confondeva con quella di Quiicc che gli saltellava accanto. In alto, nel cielo, le ultime foschie della notte si dissipavano, e tutt’attorno le alte piante senza fiori rivolgevano la faccia al Sole.

FINE