Così i due rimasero appollaiati in cima alla muraglia, come due gufi, a scrutare gli esseri inferiori che strisciavano con le armi in pugno attorno alla rocca di basalto nei cortili, pronti a far fuoco, e scossi dalla paura dell’ignoto.
Per le loro povere menti normali, il mutante era un essere che aveva sviluppato manie di grandezza, sempre pronto a ridurre in schiavitù i normali esseri umani. Un mutante con più poteri doveva essere qualcosa di infinitamente peggiore. Forse era una creatura non umana, camuffata da uomo e capace di tutto.
Il pensiero di trovarsi improvvisamente di fronte a una mostruosità biologica quale poteva essere un tele-piro-ipnotico e chissà che altro, e di doversi difendere con semplici pallottole, era addirittura insostenibile per alcuni degli uomini impegnati nelle ricerche.
Un uomo passò sotto l’arcata puntando una lampada portatile particolare sulle cellule per non disattivarle. Cercò invano nei paraggi, gli occhi spalancati, i peli ritti, e passò un paio di volte proprio sotto i piedi della preda, prima di arrendersi e tornare sui suoi passi.
Nel medesimo istante un secondo uomo emerse dalla porta del cortile, percepì dei rumori furtivi provenienti dall’arcata e fissò in quella direzione. Le armi in pugno, i due avanzarono in punta di piedi… Videro una forma vaga stagliarsi nella nebbia.
— Chi va là? — gridarono insieme, e fecero fuoco.
Uno venne mancato di pochi centimetri, l’altro fu ferito a un braccio. Lontano, oltre il cancello, qualcuno sparò in aria a un immaginario levitante, centrando un banco di nebbia.
Raven guardò verso il basso per osservare quello che stava succedendo nel cortile. Charles invece alzò di scatto la testa.
— Sento qualcosa. Non te ne sei accorto?
— Sì. Sta arrivando qualcuno. Ho la sensazione che sia il nostro uomo.
Si udiva il rumore delle grosse eliche di un elicottero che volava a considerevole altezza: stava arrivando da est, e volava sopra la coltre di nebbia.
Un sottile raggio di luce arancione partì da una delle torri del castello e rimase fisso nella notte. L’elicottero cominciò a scendere verso il faro e il rumore delle eliche diventò assordante. Infine l’apparecchio venne a trovarsi sopra il castello.
Guidato dagli strumenti di bordo o da istruzioni radio impartite da terra, l’elicottero s’immerse nella nebbia e toccò terra nello spiazzo di fronte al cancello. Il faro arancione si spense. Poi tre o quattro persone attraversarono di corsa il cortile per andare incontro ai nuovi arrivati.
— Raggiungiamo il comitato di ricevimento — disse Raven.
Si sporse dal muro e si lasciò cadere nel cortile. Ma non andò giù come avrebbe fatto un levitante. Scese alla stessa maniera con cui era piombato nella foresta. Una caduta normale, e un’improvvisa decelerazione a pochi centimetri dal suolo.
Charles lo seguì imperturbabile.
Attorno all’elicottero, si agitavano una decina di persone che cercavano di parlare tutte contemporaneamente. Quelli di guardia al cancello stavano scrutando nella nebbia, in direzione dell’apparecchio, e non fecero caso ai due che varcarono di corsa il passaggio per poi sparire.
I due fecero soltanto pochi passi in direzione dell’elicottero, il tanto necessario per togliersi alla vista di quelli fermi al cancello, poi descrissero un ampio giro per andare dietro l’elicottero. Nessuno fece caso a loro. La foschia era molto fitta e la discussione assorbiva troppo il gruppo.
Un uomo era fermo in cima alla scaletta dell’apparecchio e ascoltava cupo quello che urlavano gli uomini a terra. Sembrava il gemello dello sventurato Greatorex.
Le menti di quelli radunati ai piedi della scaletta rivelavano una curiosa situazione. Nessuno sapeva con certezza se il vero Thorstern era morto e se loro stavano parlando con uno dei sosia, o se era morto un sosia e loro si trovavano di fronte a Thorstern in persona… o se riferivano i fatti a un altro dei sosia.
Con autoritaria abilità, l’aspirante dittatore del mondo aveva condizionato i suoi uomini a rispettare la sua quadruplicità e a considerare ogni suo sosia come il vero Thorstern. Si erano tanto abituati a questa idea che per loro il vero Thorstern e i tre malleabili erano diventati una sola persona con tanti corpi. Era un grande tributo all’uomo che li comandava e un tributo ancora più grande ai tre sosia.
Il trucco riusciva a essere di utilità estrema. Nessuno scrutacervelli avversario poteva stabilire le sostituzioni che avvenivano nella camera protetta dagli schermi. Sarebbe stato necessario trovarsi in presenza diretta di Thorstern per poterlo identificare… se fosse stato possibile trovarlo.
Nessuno dei subalterni di Thorstern aveva mai accarezzato l’idea di commettere un attentato, sia perché le possibilità erano tre contro una, sia per timore delle rappresaglie che sarebbero seguite. All’interno dell’organizzazione, per quella esistenza dei sosia, era venuto a crearsi uno stato di dubbio che scoraggiava chiunque avesse voluto tentare una scalata al potere mediante il tradimento.
Ma, una volta tanto, nonostante le precauzioni, l’uomo che si trovava in cima alla scala era stato colto di sorpresa. Nessuno schermo d’argento proteggeva il segreto dei suoi pensieri. Si trovava allo scoperto ed era preoccupato di comprendere con la massima rapidità che cos’era successo. Poi avrebbe deciso se gli conveniva restare lì.
La sua mente ammetteva che si trattava di Emmanuel Thorstern e nessun altro, circostanza che avrebbe fatto felice il gruppo vociante di uomini che lo attorniava, se tra loro ci fosse stato un telepatico. Thorstern stava già pensando di tornare a Plain City a intensificare la caccia, mandando al castello un sosia nel caso avessero deciso di sferrare un secondo colpo contro la sua persona.
— Allora questo tale l’ha fissato negli occhi come per dire spero che tu possa cadere stecchito - continuò quello più vicino a lui. — Ed è stato proprio così! Lasciate che ve lo dica, capo, non è una cosa naturale. Quei due saprebbero mettere lo scompiglio in un intero gruppo di paranormali, figuratevi quindi con gente normale come noi. — Sputò a terra con rabbia. — Quando due esseri che non sono normali possono entrare tranquillamente…
— Superando il cancello e i sistemi di allarme — lo interruppe un secondo — come se non esistessero. Poi sono usciti da una sala chiusa da serrature complicatissime.
Una terza voce espose proprio quello che stava passando nella mente dell’uomo in cima alla scala. — Io sono preoccupato per questo… se l’hanno fatto una volta possono farlo ancora, e ancora, e ancora…
Thorstern fece un mezzo passo indietro. — Avete setacciato il castello? Bene?
— Centimetro per centimetro, capo. E non abbiamo trovato traccia di nessuno dei due. Ora aspettiamo una muta di gatti selvatici e un gruppo di superdotati, richiesti in città. Il fuoco si combatte con il fuoco.
Quasi a conferma di quanto era stato detto si sentì in lontananza il rabbioso miagolìo dei gatti selvatici.
— Non serviranno a niente — dichiarò con pessimismo il primo uomo. — A meno che non si imbattano per caso in Raven e in quel suo socio panciuto. Ormai hanno troppo vantaggio. Sweeny e i suoi ragazzi non li intercetteranno più, e nemmeno le squadre di città… E neppure io, se posso evitarlo.
Thorstern decise improvvisamente di aver ascoltato abbastanza. — Tutto considerato è meglio che io torni in città. Ordinerò alle autorità di prendere decisioni drastiche. Non mi manca certo l’influenza per farlo.
— Certo, capo. Certo.
— Tornerò non appena mi sarò reso conto che viene fatto tutto il possibile. Fra due o tre ore al massimo.
Lo disse sapendo benissimo che non sarebbe tornato fino a quando la situazione poteva rappresentare un pericolo per la sua persona: avrebbe mandato uno dei sosia.
— Se qualcun altro mi viene a cercare, dite che sono partito e che non sapete dove ero diretto. Se chi mi cerca è Raven, o se gli somiglia, o se parla e agisce come lui, o se vi nasce il sospetto che abbia le sue stesse idee, non state a discutere. Sparate. E sparate bene. Nel caso di un errore di persona, io mi assumerò tutte le responsabilità.