— Signor Raven, volete dire che… — Le mani di Glaustrab cominciarono a tremare. — Credete veramente che lui…
— Non lo credo affatto. Parlava seriamente. Kayder avrebbe voluto sdraiarsi su cuscini di seta e gioire delle mie grida mentre gli insetti mi divoravano.
— Allora perché… Perché? — chiese Glaustrab, confuso.
— Preferisco uccidere un uomo con le mie mani piuttosto che fargli perdere anni in una prigione. In ogni modo, non penso che Kayder debba essere rinchiuso soltanto perché ha gridato delle minacce. — Guardò fisso Glaustrab. — Che ne pensate?
— Chi? Io? No… No di certo! — Glaustrab si mosse a disagio. — Avete intenzione di comparire al processo per difendere il mio cliente?
— No, se c’è un sistema più semplice.
— Potreste rilasciarmi una dichiarazione giurata — suggerì l’avvocato, con un tono misto di dubbio, sospetto, e speranza.
— Per me va bene. Dove devo giurare?
Glaustrab afferrò il cappello, cercò gli occhiali sulla scrivania, li trovò sul naso e fece segno a Raven di seguirlo. Scesero di due piani ed entrarono in un altro ufficio dove c’erano quattro uomini. Col loro aiuto preparò il documento, e Raven, dopo averlo riletto attentamente, firmò.
— Eccovi a posto, Sam.
— È stato molto generoso da parte vostra, signor Raven. — Strinse il foglio tra le dita e con la mente vide la scena che si sarebbe svolta al processo, quando si sarebbe alzato in mezzo alla sala silenziosa per presentare il documento. Un vero colpo di scena. Per una volta tanto, Glaustrab era felice. — Molto generoso — ripeté. — Il mio cliente apprezzerà il vostro gesto.
— È quello che voglio — disse Raven cupo.
— Sono sicuro che potrete contare su di lui e… — Improvvisamente Glaustrab cambiò espressione. Gli era venuto il terribile sospetto che la dichiarazione firmata da Raven avesse un prezzo. — Come avete detto?
— Voglio che il vostro cliente apprezzi il mio gesto. Voglio che mi consideri una specie di Babbo Natale, capite? — Puntò l’indice contro il petto dell’avvocato. — Quando un branco di tipacci vuole la tua pelle, basta un po’ di gratitudine per creare discordia nelle loro file.
— Davvero? — Glaustrab osservò che quella mattina certi concetti gli sfuggivano. Si portò una mano alla tempia.
— Questa volta li avete in tasca — disse Raven, e uscì.
16
La casa era piacevolmente silenziosa, e Leina lo stava aspettando. Raven lo sapeva con certezza. La vostra donna, aveva detto Thorstern in tono di riprovazione. Tuttavia la loro unione, per quanto non convenzionale, era perfettamente priva di immoralità.
Si fermò vicino al cancello a osservare la specie di cratere che si era aperto nel campo vicino. Era abbastanza grande per contenere un taxi antigravità. A parte la strana buca, i dintorni della casa erano esattamente come li aveva visti l’ultima volta. Alzò lo sguardo verso il cielo per osservare la scia bianca di un’astronave da carico diretta verso Marte.
Avviandosi alla porta girò la maniglia e scostò il battente servendosi della forza telecinetica, come aveva fatto Charles per aprire il cancello della fortezza di Thorstern. Leina lo stava aspettando in soggiorno. Teneva le mani intrecciate sulle ginocchia e aveva gli occhi scintillanti di gioia.
— Sono leggermente in ritardo. — Raven non disse altro, né la baciò. La loro felicità era evidente e non aveva bisogno di futili espressioni fisiche. Non l’aveva mai baciata, non aveva mai desiderato di farlo, né l’avrebbe mai fatto. — Mi sono trattenuto per togliere Kayder dai guai. Prima della mia partenza era necessario metterlo in condizioni di non nuocere. Ora non è più necessario. Le cose sono cambiate.
— Le cose non cambiano mai — disse Leina.
— Mi riferivo alle piccole cose, non alle grandi.
— Sono le grandi che contano.
— Hai ragione, Occhi Lucenti, ma non sono d’accordo su quanto vuoi dire. Anche le piccole cose hanno una loro importanza. — Sotto lo sguardo fermo di Leina, Raven giudicò opportuno giustificarsi — Non vogliamo che si scontrino coi Deneb… ma non vogliamo neanche che si distruggano da soli.
— La seconda soluzione sarebbe il minore dei due mali… Spiacevole, ma non disastrosa. I Deneb non apprenderebbero niente.
— Non potranno mai essere più edotti di quanto sono.
— Può darsi — disse Leina. — Ma tu hai gettato alcuni semi di conoscenza proibita. Prima o poi, sarai costretto a estirparli.
— Intuizione femminile, vero? — Raven sorrise come un bambino malizioso. — Anche Mavis la pensa come te.
— E ha ragione.
— Quando arriverà il momento, i semi potranno venire distrutti, dal primo all’ultimo. Lo sai benissimo.
— Certo. Tu sarai pronto e io sarò pronta. Dove andrai tu verrò anch’io — disse Leina con fermezza. — Tuttavia penso ancora che il tuo intervento non sia stato opportuno. Hai corso un grosso rischio.
— A volte è necessario. Comunque, la guerra è finita. E in teoria l’umanità è ora in condizioni di concentrarsi e di proseguire il suo cammino.
— Perché dici in teoria?
Raven si accigliò. — Può darsi che si scateni un nuovo e diverso conflitto.
— Capisco. — Leina andò alla finestra e rimase a osservare il paesaggio. — David, in un caso simile, intendi intervenire una seconda volta?
— No, decisamente no. Questa guerra verrebbe scatenata contro quelli che sono della nostra stessa specie e contro quelli ritenuti come noi. Non mi sarà data la possibilità di intervenire. Verrò colpito senza il minimo avvertimento. — Si avvicinò a Leina e le mise una mano sulla spalla. — Potranno colpire anche te, nello stesso modo e nello stesso momento. Ti preoccupa?
— No, finché ogni cosa può rimanere nascosta.
— Potrebbe anche non accadere. — Raven spostò lo sguardo fuori della finestra, e all’improvviso cambiò argomento. — Quando compri le anatre?
— Le anatre?
— Da mettere nello stagno — disse Raven indicando il cratere. — Cos’è successo? — chiese.
— Venerdì pomeriggio, quando sono tornata dalla città, nell’attimo di aprire la porta ho sentito qualcosa nella serratura.
— Cos’era?
— Una piccola pallina azzurra con un puntino bianco, l’ho vista con la niente. Era messa in modo che introducendo la chiave avrei toccato il punto bianco. L’ho teleportata dalla serratura al campo accanto, poi ho scagliato un sasso sul puntino. La casa ha tremato fino alle fondamenta.
— Il lavoro di un microtecnico — commentò Raven — e del telecinetico che l’ha introdotta nella serratura. — L’ultima frase rivelò di nuovo la sua insensibilità. — Se il trucco fosse riuscito avresti provato una bella sorpresa.
— Ma ci sarebbe stata una persona ancor più sorpresa di me — disse Leina. — Tu.
La notte era eccezionalmente limpida e il cielo era punteggiato di stelle. I crateri che si allungavano sul limite della faccia illuminata della Luna erano perfettamente visibili a occhio nudo. Da un orizzonte all’altro, la volta dello spazio somigliava a un drappo di velluto nero cosparso di punti luminosi, alcuni a luce fissa, altri con bagliori intermittenti di tutti i colori, bianchi, azzurri, gialli, rosa e verde pallido.
Semisdraiato su una poltrona inclinata, sotto la cupola di vetro del tetto, Raven studiava quella scena di incomparabile maestosità. Poi chiuse gli occhi per mettersi in ascolto. Accanto, su una poltrona identica, Leina stava facendo la stessa cosa. Quelle erano le loro notti intime. Sotto la cupola, in osservazione e in ascolto. In quella casa non c’erano camere da letto, né letti. Non ne avevano bisogno. A loro bastavano le poltrone e la cupola.