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«Dovie’andi se tovya sagain» disse Olver, tirando i dadi. Rotolarono lungo il pavimento di tela della tenda. Olver sorrise mentre si arrestavano. Tutti puntini neri, niente linee ondulate o triangoli. Un tiro davvero fortunato.

Olver mosse il suo pezzo lungo la plancia di stoffa del gioco di Serpenti e Volpi che suo padre aveva fatto per lui. Vedere quel tabellone faceva star male Olver ogni volta. Gli ricordava suo padre. Ma lui teneva le labbra serrate e non lo faceva sapere a nessuno. I guerrieri non piangevano. E inoltre un giorno lui avrebbe trovato quello Shaido che aveva ucciso suo padre. Allora Olver avrebbe ottenuto la sua vendetta.

Quello era il genere di cosa che faceva un uomo, quando era un guerriero. Supponeva che Mat l’avrebbe aiutato, una volta che avesse terminato con tutta questa faccenda dell’Ultima Battaglia. Allora Mat sarebbe stato in debito con lui, e non solo per tutto il tempo che Olver aveva trascorso come suo messaggero personale. Per le informazioni che lui gli aveva dato sui serpenti e sulle volpi.

Talmanes occupava una sedia accanto a Olver. Quell’uomo stoico stava leggendo un libro, prestando attenzione al gioco solo vagamente. Non era così bravo a giocare quanto Noal o Thom. Ma d’altra parte Talmanes non era stato mandato a giocare con Olver quanto a sorvegliarlo.

Mat non voleva che Olver sapesse che era andato alla Torre di Ghenjei, lasciandolo indietro. Be’, Olver non era uno stupido e sapeva cosa stava accadendo. Non era arrabbiato, non davvero. Noal era una buona scelta e se Mat poteva portarne solo tre, be’... Noal sapeva combattere meglio di Olver. Perciò aveva senso che fosse stato lui ad andare.

Ma la volta successiva sarebbe stato Olver a scegliere. E allora Mat avrebbe fatto meglio a comportarsi bene, oppure lui sarebbe stato lasciato indietro.

«Sta a te tirare, Talmanes» disse Olver.

Talmanes borbottò qualcosa, allungando una mano e tirando la manciata di dadi senza perdere il segno nel libro. Era un tipo a posto, anche se un po’ rigido. Olver non avrebbe scelto un uomo come lui per trascorrere assieme una buona notte di bevute e di caccia alle cameriere. Non appena Olver fosse stato abbastanza grande da andare a bere e dare la caccia alle cameriere. Immaginava che sarebbe stato pronto in un anno o giù di lì.

Olver mosse i serpenti e le volpi, poi prese i dadi per il suo tiro successivo. Aveva già previsto tutto. C’erano parecchi Shaido là fuori e lui non aveva idea di come trovare quello che aveva ucciso i suoi genitori. Ma gli Aelfinn potevano rispondere alle domande. Lui aveva sentito Mat parlarne. Così Olver avrebbe ottenuto le sue risposte, poi avrebbe dato la caccia a quell’uomo. Facile come stare in sella a un cavallo. Doveva solo addestrarsi con la Banda prima, in modo da poter combattere abbastanza bene da portare a termine quello che andava fatto.

Gettò i suoi dadi. Un’altra corsa completa. Olver sorrise, muovendo il suo pezzo di nuovo verso il centro della plancia, in parte perso nei suoi pensieri e nei sogni del giorno in cui avrebbe finalmente avuto la sua vendetta, com’era opportuno.

Mosse il suo pezzo lungo un’altra linea, poi rimase immobile.

Il suo pezzo era nel punto centrale.

«Ho vinto!» esclamò.

Talmanes alzò lo sguardo, la pipa che si abbassava tra le sue labbra. Inclinò la testa, fissando il tabellone.

«Che io sia folgorato» borbottò. «Dobbiamo aver contato male o...»

«Contato male?»

«Voglio dire...» Talmanes pareva sbigottito. «Non puoi vincere. Non si può vincere a questo gioco. Non si può e basta.»

Quelle erano sciocchezze. Perché mai Olver avrebbe giocato se non si poteva vincere? Sorrise, rimirando la plancia. I serpenti e le volpi erano a un lancio dal prendere il suo pezzo e farlo perdere. Ma stavolta lui era riuscito ad arrivare fino all’anello esterno e poi a tornare indietro. Aveva vinto.

Ed era un bene. Aveva cominciato a pensare che non ci sarebbe mai riuscito!

Olver si alzò in piedi, stiracchiandosi le gambe. Talmanes scese dalla sua sedia, acquattandosi accanto al tabellone e grattandosi la testa, il fumo che si arricciava indolente dal fornello della sua pipa.

«Spero che Mat torni presto» disse Olver.

«Sono certo che lo farà» disse Talmanes. «Il suo incarico per Sua Maestà non dovrebbe impegnarlo ancora molto.» Quella era la bugia che avevano detto a Olver: che Mat, Thom e Noal se n’erano andati per qualche incarico segreto per la regina. Be’, quello non era che un altro motivo per cui Mat sarebbe stato in debito con lui. Davvero, Mat poteva essere così rigido a volte, comportandosi come se Olver non fosse in grado di badare a sé stesso.

Olver scosse il capo, dirigendosi verso il lato della tenda, dove si trovava una pila di carte di Mat ad attendere il suo ritorno. Lì, a far capolino tra due fogli, Olver notò qualcosa di interessante. Un pezzo di rosso, come sangue. Alzò una mano, facendo scivolare una lettera consunta tra due dei fogli. Era sigillata con un grumo di cera.

Olver si accigliò, rigirando la piccola lettera. Aveva visto Mat portarla in giro. Perché non l’aveva aperta? Quello era proprio maleducato. Setalle aveva lavorato sodo per spiegare la buona educazione a Olver e, mentre buona parte di quello che diceva non aveva senso — lui si limitava ad annuire in modo che lo lasciasse accoccolarsi contro di lei — era certo che si dovevano aprire le lettere che la gente ti inviava e poi rispondere in modo gentile.

Rigirò di nuovo la lettera, poi scrollò le spalle e ruppe il sigillo. Olver era il messaggero personale di Mat, ufficiale e tutto quanto. Non c’era da meravigliarsi che Mat a volte si dimenticasse delle cose, ma era il compito di Olver badare a lui. Adesso che Lopin non c’era più, quello era ancora più impellente. Era uno dei motivi per cui Olver rimaneva con la Banda. Non era certo di cosa avrebbe fatto Mat senza di lui.

Spiegò la lettera e tolse un piccolo pezzo di carta rigida all’interno. Si accigliò, cercando di distinguere le parole. Stava diventando piuttosto bravo a leggere, perlopiù grazie a Setalle, ma alcune parole gli davano problemi. Si grattò la testa. «Talmanes,» disse «probabilmente dovresti leggere questo.»

«Cos’è?» L’uomo alzò lo sguardo dal gioco. «Ehi! Olver, cosa stai facendo? Quella non andava aperta!» L’uomo si alzò, andando verso Olver per togliergli il foglio dalle mani.

«Ma...» iniziò Olver.

«Lord Mat non l’ha aperta» disse Talmanes. «Sapeva che ci avrebbe fatto invischiare nella politica della Torre Bianca. Ha aspettato tutte quelle settimane! Ora guarda cos’hai fatto. Mi domando se possiamo infilarla di nuovo dentro...»

«Talmanes» disse Olver con insistenza. «Io penso che sia importante

Talmanes esitò. Parve combattuto per un momento, poi tenne la lettera in modo che la luce vi risplendesse meglio. La lesse rapidamente, con l’aria di un ragazzo che rubava del cibo dal carretto di un ambulante e se lo ficcava in bocca prima di poter essere scoperto.

Talmanes sussurrò un’imprecazione sottovoce. Lesse di nuovo la lettera, poi imprecò a voce più alta. Afferrò la spada dal lato della stanza e schizzò fuori dalla tenda. Lasciò la lettera sul pavimento.

Olver la guardò di nuovo, pronunciando ad alta voce le parole che non aveva capito la prima volta.

Matrim,

se stai aprendo questa mia, io sono morta. Avevo in programma di tornare e liberarti dal tuo giuramento entro un solo giorno. Ci sono molte complicazioni potenziali nel mio compito successivo, però, ed è molto probabile che io non sopravviva. Dovevo immaginare di aver lasciato indietro qualcuno che poteva portare a termine questo lavoro. Per fortuna, se c’è qualcosa su cui posso contare, è la tua curiosità. Sospetto che tu sia durato qualche giorno prima di aprire questa lettera, un tempo che mi sarebbe stato sufficiente a tornare se avessi potuto. Pertanto, questo compito ricade su di te.

C’è una Porta delle Vie a Caemlyn. È sorvegliata, barricata e ritenuta sicura. Non lo è.