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Un enorme esercito di Progenie dell’Ombra si sta muovendo per le Vie verso Caemlyn. Non so quando siano partiti esattamente, ma dovrebbe esserci il tempo per fermarli. Devi raggiungere la regina e persuaderla a distruggere la Porta delle Vie. Può essere fatto; murarla non basterà. Se non riuscite a distruggerla, la regina deve radunare tutte quante le sue forze a guardia di quel luogo.

Se fallite in questo, temo che Caemlyn sarà perduta prima che il mese sia terminato.

Cordialmente,
Verin Mathwin

Olver si sfregò il mento. Cos’era una Porta delle Vie? Pensava di aver sentito Mat e Thom parlarne. Prese la lettera e uscì dalla tenda.

Talmanes era in piedi proprio fuori dalla tenda, e guardava a est. Verso Caemlyn. Una foschia rossastra era sospesa all’orizzonte, un bagliore sopra la città. Uno più vasto di quello che c’era stato altre notti.

«Che la Luce ci preservi» mormorò Talmanes. «Sta bruciando. La città sta bruciando.» Scosse il capo, come per schiarirselo, poi lanciò un’adunata. «Alle armi! Trolloc a Caemlyn! La città è in guerra! Alle armi, uomini! Che io sia folgorato, dobbiamo entrare nella città e recuperare quei draghi! Se cadono nelle mani dell’Ombra siamo tutti morti!»

Olver abbassò la lettera che aveva tra le mani. Trolloc a Caemlyn? Sarebbe stato come gli Shaido a Cairhien, solo peggio.

Si precipitò dentro la tenda di Mat, inciampando sopra il tappeto, e si gettò in ginocchio accanto al suo giaciglio. In tutta fretta strappò via le cuciture sul lato. La lana di cui era imbottito spuntò fuori attraverso l’apertura. Lui ficcò dentro una mano, frugando in giro, e tirò fuori il grosso coltello che aveva nascosto lì dentro. Era avvolto in un fodero di cuoio. L’aveva preso da uno dei furieri della Banda, Bergevin, quando lui non stava guardando.

Dopo Cairhien, Olver aveva giurato a sé stesso che non si sarebbe mai più dimostrato un codardo. Strinse il grosso coltello nelle mani, le nocche bianche, poi schizzò fuori dalla tenda.

Era il momento di combattere.

Barriga barcollò nell’arrancare oltre il ceppo di un albero caduto. Sangue dalla sua fronte colava al suolo e le ortiche chiazzate di scuro parevano assorbirlo, nutrendosi della sua vita. Si portò alla fronte una mano tremante. La benda era ormai intrisa.

Non c’è tempo di fermarsi. Non c’è tempo! Si costrinse a mettersi in piedi e si precipitò frettolosamente tra segafoglia bruna. Cercò di non guardare le chiazze nere sulle piante. La Macchia, era entrato nella Macchia. Ma cos’altro poteva fare? A sud imperversavano i Trolloc; le torri erano cadute. Kandor stesso era caduto.

Barriga inciampò e cadde a terra. Gemette, rotolando e annaspando. Era in una trincea fra due colline a nord della Torre Heeth. Il suo abbigliamento un tempo elegante — giacca e farsetto di ricco velluto — era lacero e macchiato di sangue. Puzzava di fumo e, quando chiuse gli occhi, vide i Trolloc. Che sciamavano sul suo convoglio, massacrando i suoi servitori e soldati.

Erano caduti tutti. Thum, Yang... entrambi morti. Luce, erano tutti morti.

Barriga rabbrividì. Come era arrivato a questo? Era solo un mercante. Avrei dovuto dare ascolto a Rebek, pensò.

Del fumo si levava dalla Torre Heeth dietro di lui. Era lì che era diretta la sua carovana. Com’era possibile che stesse accadendo questo?

Doveva continuare a muoversi. A est. Si sarebbe diretto verso l’Arafel. Le altre Marche di Confine non potevano essere cadute, vero?

Si arrampicò su per una collina, le mani che tiravano dei rampicanti corti e attorcigliati. Come vermi tra le sue dita. Stava diventando intontito. Raggiunse la sommità del colle; il mondo stava girando. Cadde lì, il sangue che filtrava dalla sua benda.

Qualcosa si mosse di fronte a lui. Barriga sbatté le palpebre. Quelle nubi là sopra erano una tempesta. Di fronte a lui, tre figure vestite di nero e marrone si avvicinarono con una grazia fluida. Myrddraal!

No. Scacciò via le lacrime e il sangue dagli occhi. No, quelli non erano Myrddraal. Erano uomini, che indossavano veli rossi sopra le loro facce. Camminavano accucciati, esaminando il terreno, portando delle lance corte sulla schiena.

«Sia lodata la Luce» sussurrò lui. «Aiel.» Era stato nell’Andor quando era giunto Rand al’Thor. Tutti sapevano che gli Aiel seguivano il Drago Rinato. Lui li aveva domati.

Sono al sicuro!

Uno degli Aiel si avvicinò a Barriga. Perché il velo dell’uomo era rosso? Quello era insolito. Gli occhi scuri dell’Aiel erano vitrei e duri. L’Aiel si tolse il velo e rivelò un volto sorridente.

I denti dell’uomo erano stati limati fino a essere appuntiti. Il suo sorriso si allargò e fece scivolare un coltello dalla sua cintura.

Barriga balbettò, guardando quelle fauci terrificanti e la gioia negli occhi dell’uomo mentre si avvicinava per uccidere. Questi non erano Aiel. Erano qualcosa d’altro.

Qualcosa di terribile.

Rand al’Thor, il Drago Rinato, sedeva tranquillo nel suo sogno. Inspirava l’aria fresca, gelata. Nubi bianche fluttuavano gentilmente attorno a lui, baciandogli la pelle con la loro condensa.

Il suo trono per quella notte era un macigno piatto su un pendio montano; guardò giù attraverso le nubi verso una valle stretta. Questo non era il luogo vero. Non era nemmeno il Mondo dei Sogni, quel luogo dove aveva combattuto i Reietti, il posto che gli era stato descritto come così pericoloso.

No, questo era uno dei suoi normali sogni. Lui li controllava ora. Erano un posto in cui poteva trovare pace per pensare, al sicuro grazie a protezioni mentre il suo corpo dormiva accanto a Min nel loro nuovo accampamento, circondato da uomini delle Marche di Confine, montato nel Campo di Merrilor. Egwene era lì, gli eserciti chiamati a raccolta. Lui era pronto per quello. Ci contava.

Al mattino, avrebbero sentito le sue richieste. Non quello che lui avrebbe domandato per non rompere i sigilli: quello l’avrebbe fatto, a prescindere da cosa aveva detto Egwene. No, queste sarebbero state le richieste che faceva ai monarchi del mondo in cambio di andare a Shayol Ghul per affrontare il Tenebroso.

Non era certo di cosa avrebbe fatto se avessero rifiutato. Avrebbero scoperto che era molto difficile farlo. A volte poteva essere utile avere la reputazione di agire in modo irrazionale.

Inalò a fondo, pacifico. Qui, nei suoi sogni, le colline erano verdi. Così come le ricordava. In quella valle senza nome lì sotto, riparata dalle Montagne di Nebbia, aveva cominciato un viaggio. Non il primo, per lui, e non l’ultimo, ma forse il più importante. Uno dei più dolorosi, di sicuro.

«E ora sono tornato indietro» sussurrò. «Sono cambiato di nuovo. Un uomo cambia sempre.»

Provava un senso di unità nel tornare qui, nel posto in cui si era confrontato per la prima volta con l’assassino dentro di lui.

Il posto dove aveva cercato di fuggire per la prima volta da coloro che avrebbe dovuto tenere vicino. Chiuse gli occhi, godendosi quella tranquillità. La calma. L’armonia.

In lontananza, udì urla di dolore.

Rand aprì gli occhi. Cos’era stato quello? Si alzò in piedi, ruotando. Questo posto era creato dalla sua stessa mente, protetto e sicuro. Non poteva...

L’urlo giunse di nuovo. Distante. Si accigliò e alzò una mano. La scena attorno a lui scomparve, come uno sbuffo di nebbia. Lui rimase lì nel buio.

, pensò. Era un lungo corridoio con pannelli di legno scuro. Lo percorse tra i tonfi dei suoi stivali. Quell’urlo. Scuoteva la sua pace. Qualcuno stava soffrendo. Aveva bisogno di lui.

Rand cominciò a correre. Raggiunse una porta al termine del corridoio. Il legno rossiccio dell’uscio era nodoso e increspato, come le spesse radici di un albero antico. Rand afferrò la maniglia — semplicemente un’altra radice — e aprì la porta con uno strattone.